Condurrebbe dal Xanto La sfortunata misera Reina, Larva immensa di pianto. Non vegghierebbon l'aste a lor d' intorno, Chè dall' insidie sono O negletti o sicuri I poveri tugurj; Nè teme quivi il Sole Veder novo Tieste All' orrende d' Atrèo mense funeste. Ma (perchè spande il vero Alfin suoi raggi entro l' umane menti, Ecco dall' auree mura a noi sen viene Stuol d'illustri e potenti, Che cangia il chiaro suo stato sublime; Obblia le glorie prime, E i titoli fastosi Di pastorali nomi adombra e copre. Vago di placid' opre I suoi desir commette A nostre leggi, ed or che tanta parte Del mondo armata segue Il fero suon di Marte, Qui solo d'ascoltar prende diletto Le boscherecce avene, E gl' innocenti carmi, Non usi a provocar l'ira dell' armi. Non mai l'aspra dell' oro avida sete, Nè mai superba cura Di cittadini onori in noi s' accenda; Nè voglia invida oscura I nostri petti assaglia, Nè il parlar delle corti Arcadia apprenda. Pria che da me s' offenda Il nostro aureo costume, E la soave legge, Offran veleno i fonti, Ei suoi bei lampi ancora Alla capanna mia nieghi l' Aurora ! ALESSANDRO GUIDI. CANZONE. Al Signor Principe di Castiglione D. TOMMASO D'AQUINO, Grande di Spagna. La Promulgazione delle Leggi D' Arcadia. Io non adombro il vero Con lusinghieri accenti, La bella Età dell' oro unqua non venne; Nacque da nostre menti Entro il vago pensiero, E per le vie del ciel corse e ricorse, Intenta sempre a' suoi severi ufficj: Or se del Fato infra i tesor felici Il secol d' or si serba, Certo so ben che non apparve ancora Un lampo sol della sua prima aurora. Chiude nostra Natura In mente gli aurei semi, Onde sorger potrian l'Età beate; Ma il suo desir, che è cieco, |