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ALESSANDRO GUIDI.

CANZONE.

Al Signor Cardinale EMANUELLO TEODOSIO DI BUGLIONE, Decano del Sacro Collegio.

Celebrandosi il Di Natale di CRISTINA, Regina de Svezia.

CHI me vedrà fra' chiari lampi ardenti

Delle Muse guidare il carro eterno

Su

per le vie de' venti,

Dirà che in alto il corso mio governo
Per celebrar d'Italia illustre impresa,
O che all'albergo di Guerrier felice

Io porto d' inni alma corona accesa.

Ma non è del valor sola nutrice

Questa bella del mondo altera parte,

Chè Giove ancor comparte

Altrove i doni suoi ;

Nè d'Itaca lo scoglio è senza eroi.

SVEZIA, porrò su la tua terra il piede,

E se d'eterne glorie auriga io sono,

Ti recherò mercede.

Meco non ho d'eccelsa tromba il suono

Per far lusinga al gran pensier dell' armi,
Che sul cor del tuo Re s'infiamma e splende ;

Ma pure ho l'arte de' famosi carmi

Che lungo Dirce di trattar si apprende,

E tento i modi del Cantor Tebano,

E forse non invano

seguo l'altero volo ;

NON E CARO AGLI DEI PINDARO SOLO.

Vedrò posar su' tuoi gran geli Aprile,

E le rimote tue rupi e foreste

Spiegare ombra gentile.

Che cosa entro il tuo regno hai di celeste,

Che tanto inchina a rallegrar Natura,
Nè già ti lagni della lunga notte

Che vie più dell' usato il Sol ti fura ?
Per sì bella cagion turbate e rotte

Son nel tuo cielo le ragioni al giorno,

Che forse Grecia intorno

Men caro orror si vide,

Allor che Tebe concepiva Alcide.

Nascer prole maggiore oggi discerno,

E già cerca col guardo il fero lume

Dall' usbergo paterno ;

Ma l'auree Grazie lor gentil costume
Adopran seco in addolcire il lampo

De' begli occhj feroci, emuli alteri

Di quei che volge il Genitore in campo,
Occhj pieni d'ardore, occhj guerrieri;

E le governan le terrene membra

In guisa tál che sembra

L'alto aspetto reale

Nova scesa fra noi cosa immortale.

Ben quella man che alla bell' alma in Cielo,

Presenti i sommi Dei, l' ambrosia porse,

Formolle anco il bel velo;

Unir la gentil Ebe allor si scorse

Tante felici ed ammirabil tempre,

Onde la nobil spoglia ella compose,

Che scintillar vedransi e rider sempre

Sul sembiante real faville e rose.

Vennero al gran Natale i maggior lumi,

Come ordinaro i Numi,

E magnanimi e lieti

Guardavansi fra loro i gran pianeti ;

E concordi versàr quanto era in loro

Di saggio, d'invincibile, e d' augusto,
E tutto il lor tesoro.

Sparta o Roma non vide eroe vetusto
A cui tanto inchinassero gli Dei:
Volle Giove spogliar sul gran momento

Di moto e lume tutti gli astri rei,

Nè cometa improvvisa ebbe ardimento

Di scior l'irato sanguinoso crine,

Ma ben per le divine

Piagge più grandi e belle

Della Tindarea stirpe arser le stelle.

Pensa il volgo talor schernir miei detti,

Ma commerzio col cielo il saggio crede
Aver nostri intelletti ;

Tra prudenti il mio dire abbia pur fede,

Che i pensier della plebe al vento ho sparsi. Veggio Minerva e Berecintia ir carche

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