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dice Dante nel libro che di sopra s'accenna, cioè nel suo Convito, che quanto l'agente più al paziente se unisce, tanto più è forte, e però la passione, siccome per la sentenza del Filosofo, in quello di generazione, si può comprendere. Onde, seguita il testo, quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto il desiderio è maggiore, e l' anima passionata più si unisce alla parte concupiscibile, e più abbandona la ragione; sicchè allora non giudica come uomo la persona, ma quasi com' altro animale, pur secondo l'apparenza, non discernendo la verità. E questo è quello, conchiude il savio, perchè il sembiante onesto secondo il vero, ne pare disdegnoso e fero. A questa ragione, ch'è lume fra il vero e l'intelletto, e vince ogni avverso parere, per autorevole che sia, e su la quale dee l'accorto lettore meditare quanto l'importanza della materia richiede, puossi aggiugnere le seguenti: primieramente che, per quanto sia l'uomo trasumanato, anzi indiato, come fu Dante, il Petrarca, e il Buonarroti, egli è pur tuttavia uomo ; cioè di quella carne sì blanda, come dice Dante, che cade a così poco vento, mentre l'anima in noi si lega. Onde il Petrarca :

Tutte le cose di che 'l mondo è adorno

Uscir buone di man del mastro eterno,

Ma me,

che così addentro non discerno,

Abbaglia il bel che mi si mostra intorno.

Secondamente, e questo s' abbia in maggior riguardo

che il rimanente, vollero quei grandi lasciare moralità al mondo, ch'è proprio e vero fine d' ogni buon poeta, e primo sigillo d'eterna vita alle loro scritture, e però vestono alcuna volta altra persona che quella che veramente fanno, intesi massimamente a dimostrarne quanto agevole sia che, pur in questo divinissimo amore, vinca la ragione il talento, e meni a mal fine il passionato, come perde il freno quella che dell' assenso dee tener la soglia, dice Dante. Quindi i gemiti, l'angoscia, e il pianto della gentile donna che nell'edificio dell' uman corpo tien la cima, come mirabilmente si figura nel secondo dell' Inferno, ove dice, donna è gentil nel ciel che si compiagne ec. E il nostro Michelagnolo (infallibilissimo argomento di quello che in ultimo detto ho) ne insegna essere potentissimo rimedio, che non declini in sensibile amore quella vampa dell' anima, il pensiero della morte :

E se talor m' assale

Più dell'usato il fuoco in ch' io son corso,

Non trovo altro soccorso,

Che l'immagin di morte in mezzo 'l core;
Che dove è morte non appressa amore.

E ognuno sa, e possiamo veramente affermar noi, che quell' anima celeste non si potè un istante per quel terreno splendore torcere dal principio suo; non tanto per essere stato così innamorato Michelagnolo nell' età ch' ogni sua forza in noi perde l' altro amore,

quanto per quella divina che l'accese, cui dichiara egli stesso, e insieme all' universo :

Amor, nel dipartir l'alma da Dio,

Occhio sano me fece, e te splendore.

Beati adunque coloro i quali, se non possono alla celeste mensa coi pochi eletti sedere, concesso è loro almeno di raccogliere di quello che di quella cade! E miseri e degni di compianto quelli ai quali sì dolce nutrimento si niega! Voglio dire che dei tanti i quali imprendono lo studio di Dante, del Petrarca, e del Buonarroti, tanto sono da invidiare coloro i quali con la conoscenza vera delle cose dette s' accostano a quelli, quanto meritano che s' abbia pietà di loro quegli ai quali, per proprio difetto o per altra falsa preoccupazione, quelle stesse cose si celano; perciocchè siccome ineffabile diletto, e letizia ad ogni altra dispari sentono i primi, così i secondi di fuggevole passatempo si dilettano, e sovente gli vince la noia e il dispetto. Ma da tornare è là onde per giustissima cagione digressi siamo.

Alle rime di Michelagnolo hanno i più chiari scrittori del sermon nostro date quelle lodi delle quali per l' unanime consentimento dei sapienti meritevolissime s'erano già dichiarate. E primieramente, per quello che spetta alla ragione gramaticale, esse fanno testo. di lingua, e però citansi nei luoghi opportuni nella Crusca, siccome Dante, il Petrarca, e il Boccaccio, e gli altri degni di tanto. Il Varchi, nel cui giudicio si

convengono tutti i savj del bel paese, nell' orazione funebre che fece del Buonarroti, dove tocca del suo poetico ingegno e de' nobilissimi parti di quello, dice che componeva con nuove invenzioni e divinissime sentenze o sonetti o madrigali di diverse materie; e lo chiama eccellentissimo poeta. L'argutissimo Berni, pugnendo per obbliquo la pomposa vanità del maggior numero degli scrittori, che lascia tale impressione nell'animo qual fumo in aere od in acqua la spuma, scrive dell' Autor nostro, in quel suo capitolo a fra Bastiano del Piombo: ei dice cose, e voi dite parole. E appresso, a far cenno della tempera delle scritture di lui :

Ho visto qualche sua composizione;

Sono ignorante, e giurerei d'avelle

Lette tutte nel mezzo di Platone.

Il Vasari, il cui giudicio va del pari con quello degli anzi detti maestri, così parla di lui : « Oltre le altre arti e professioni, volle il cielo accompagnarlo della vera filosofia morale con l' ornamento della dolce роеsia, acciocchè il mondo lo eleggesse e ammirasse per suo singolarissimo specchio nella vita, nelle opere, nella santità de' costumi, e in tutte l'azioni umane. » Il Salviati afferma che tanta fu l'eccellenza di Michelagnolo in poetando, che meritamente gli si aggiunse per la poesia la quarta corona. In fine, lasciando mille altre autorità di pondo, l' Aretino, quell' Aretino che fu proprio un flagello nella repubblica delle lettere, disse: (odi memorande parole) « che gli scritti di Michela

gnolo Buonarroti meritan d'essere conservati in un' urna di smeraldo. » Le quali autorità avvalorate dai chiari secoli vincono ogni avversa opinione che sia, e sono possenti a stencbrare ogni mente da errore annebbiata, come purga l'aere d'ogni ingombro, quando soffia Borea da quella guancia ond'è più leno.

Adunque io debbo stare a speranza buona d' acquistarmi alcuna grazia appo i miei Italiani, nel riprodurre queste divine scritture di Michelagnolo, quasi tolte al generale riguardo, e sdimenticate affatto, siccome appo quelli fra gli strani che si dilettano delle cose belle ; nella quale ristampa s'è da noi ricopiata l'edizione che fece Michelagnolo il giovane in Firenze, in 4o., l'anno 1623, coi torchi de' Giunti, ch'è la allegata nel vocabolario della Crusca; avendo pure in riguardo, negli opportuni confronti, la medesima riprodotta dal Manni in Firenze, l'anno 1726. La quale stampa Michelagnolo il giovane collazionò col testo a penna della Vaticana, ch'è in gran parte scrittura dell' Autore. Alcune altre composizioni attribuite al Buonarroti, in diversi tempi tratte fuori, leggonsi sparse quà e là in diverse raccolte di rime, le quali, per la più parte smozzicate, da noi si tralasciano per quelle stesse ragioni che non dette loro luogo il primo editore nella prima stampa che fece. È probabile che molte delle rime di Michelagnolo si sieno smarrite, se vuolsi dar fede alle parole del Vasari, il quale dice che infiniti sonetti egli mandò a quella gran

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