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concedermi per

somma

grazia, ch'io possa,

con sentimento di profondissima venerazione e di gratitudine senza fine, raffermarmi per insino alle ceneri quale ho la gloria di essere

Della Peale Altezza Vostra

Umilism devotismo e fedelism. Servitore

Parigi, il primo di Novembre, 1821.

G. Biagioli.

BUONARROTI,

POETA.

È

avvenuto delle rime di Michelagnolo Buonarroti quello che, nel quinto del Paradiso di Dante, così scritto si legge :

Sì come 'l sol che si cela egli stessi

Per troppa luce, quando 'l caldo ha rose

Le temperanze de' vapori spessi;

voglio dire che l' immenso lume che spande quell' altissimo ingegno nei miracoli di scultura, di pittura, d'architettura, pare ch' abbia oscurato quello che nelle opere sue poetiche risplende sì, ch'egli abbaglia l'occhio che men trema; perciocchè, da quei pochi italiani in fuori i quali dal subbietto della loro vera e prima gloria non volgon viso, truovasi a fatica chi delle rime del Buonarroti abbia piena conoscenza; e sono pur isfuggite alla rapacità di coloro i quali a farsi ricchi delle altrui spoglie hanno l'occhio ben acuto, non già come api industri e feconde, sì come infingardi e sterili farfalloni. E se in Italia, dove ad alcun conforto del disonesto strazio di lei, quella che già fu donna di provincie, sogliono le anime belle e

a

amiche di virtù ricrearsi in quello che, nè per rivolgimento di fortuna, nè per impeto di nemica rabbia le potrà mai venir meno, era sì sconosciuto dall' universale questo inestimabile tesoro, che dovrem dire di quei di fuori, dove dannosi a credere d'avere l'idioma gentil sonante e puro apparato, come, con quelle quattro regoluzze del Donadello, sonosi addimesticati quegli autori, le opere dei quali meglio sarebbero nei profondi abissi del non essere intombate; e dove coloro che trascorrendo con facilissimo e leggerissimo sguardo gli eterni volumi dei più sommi de' nostri scrittori, per travedere quà e là in quelli alcun lampo, alcuna favilletta, alcun mal conosciuto splendore, credonsi tenere il campo; e, come s' abbattono in quello che colla loro natura, co' lor costumi, col loro vedere non si contempera, senza voler pur pensare le distinzioni che natura pone fra l' un popolo e l' altro, quasi fossero i sovrani giudici e correggitori dell' universo mondo letterario, menan la mazza a tondo, tagliano, e sfendono alla cieca, allogando a modo loro i nomi, e rimeritando improporzionalmente al loro vedere quei maestri reverendi, l' onorata nominanza dei quali si fa per tempo a più a più bella e più lucente?

Io dico per ver dire,

Non per odio d' altrui, nè per disprezzo.

Menato da volere, o fortuna, o destino, là dov' io adoperassi il mio poco ingegno e le fievolissime mie forze a quello a che i magnanimi d'Italia continua

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mente s' affaticano, vale a dire a mantenere intera, e diffondere l' italica gloria, quella che, eccedente ogni altra antica e moderna, nel divinissimo e malagevolissimo nostro idioma sta riposta, sì come quella che, con profetico spirito dai secoli avverato, disse Dante luce nuova, sole nuovo, il quale aveva a surgere ove l'usato tramontava, (come che a' di nostri caduto sia tanto di sua natìa purezza e nobilità, colpa e vergogna di coloro i quali, non sapendo ponderare le forze loro, vogliono pur quello che loro niega il cielo) non mi sentendo a maggiori imprese naturato, pensai ch' io fossi per acquistare alcuna lode appo i miei, e alcun merito e conoscenza coi forestieri, se, additando in prima l' arduo e malagevole cammino il quale nei sacri penetrali del sermon nostro, sicuro e luminoso riesce (1), riproducessi in luce le opere dei più famosi nostri maestri, disvelando con opportune dichiara

(1) Intendo della mia Gramatica italiana, opera di lunghissime veglie e fatiche, di caldi e freddi, e digiuni, la quale ridotta a nuova vita, come credo che sia nella quarta sua edizione, posso franco dire oramai mia; e perchè sa il mondo ch' io non mi muovo nelle mie imprese nè da van desio di lode, nè da ingordigia di vile guadagno, facendo scopo a' miei studj la gloria della mia lingua, e l'utile e il diletto degl' imparanti; e sa ancora che, se posso ben per ignoranza o per troppo volere ingannarmi, non sarà mai per rea malizia; oserò pur dire, che chiunque vorrà da quì innanzi apparar bene l' italica favella, ed entrerà per altra via che per quella la quale nella Gramatica nostra si segna, non ha a sperare, se fosse un Sansone, di pervenire giammai a cogliere quel dolce pomo, che può solo perre in pace la sua fame.

zioni e comenti all' altrui sguardo quello che di quelle, o vuoi per imperfetto vedere, o vuoi per adombramento di ragione, o per falsa preoccupazione, a loro si celasse; nella quale fatica io sono per avventura non meno meritevole di chi ristaura le dipinte tele guaste dal tempo, o dissotterra alcuno antico monumento, e rendelo alla maraviglia del mondo.

Proseguendo, siccome son per fare mentre in me s' accenderà una scintilletta di vita, in così fatta impresa, pensai che fosse per esser cosa sommamente accetta al mondo letterario, se, nel riprodurre con nuovi e meno scarsi comenti i volumi di quei due la cui fama col moto si misura, io ponessi in terzo con quelli le rime di Michelagnolo Buonarroti, il quale così acconciamente con Dante e col Petrarca s' intrea, come stella con stella s'alluoga; perciocchè, non che sia questo nuovo splendore una emanazione di quelli, e' mi pare ch' essi sieno tre in uno e uno in tre, vale a dire tre stelle, anzi tre soli volgentisi d' un giro e d'un girare medesimo, ognuno del proprio lume, e di riflessa luce risplendente, e facendosi di loro mutui raggi più vivaci ognora, e più belli.

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Del Buonarroti primeggiante fra gli antichi, e sì ancora fra' moderni, nelle tre nobili arti, pittura, scultura, architettura, nelle quali, non ch' egli le tornasse a nuova vita, segnò i riguardi da non oltrepassarsi giammai da uomo, se una, eterna, e però immutabile è natura, hanno molti chiari scrittori piene

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