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da queste. Secondo Dante nella terza età,,l' anima nobile si è prudente, si è giusta, si è larga e allegra" 1). Dal che ne segue, che la Vita Nuova fu fervida e passionata, per ciò che in essa parlò in adolescenza; il Convito è temperato e virile, perchè in esso parlò in gioventute.

Potremo dunque stabilire a diritto il vero concetto della questionata sentenza essere: „E io in quella parlai dinanzi all' entrata di mia gioventute, e in questa parlai di poi, l'entrata di mia gioventute già trapassata", e non già: parlai all' entrata..., e parlai la gioventute già trapassata; perocchè in questo caso alla Vita Nuova non si converrebbe l' essere fervida e passionata, ma temperata e virile; e al Convito non l'essere temperato e virile, ma prudente, giusto ecc."- Traducendo ora queste due espressioni nelle loro rispettive epoche, ritroviamo che Dante ha parlato nella Vita Nuova dinanzi all' anno ventesimosesto, dinanzi al 1291, e nel Convito dopo trapassati i primi anni di sua gioventute. Egli entrò in gioventute nel 1291; adunque due o tre anni dopo, cioè dal 1294 e seguenti.

IV. Conosco bene che qui mi si opporranno le doglianze che fa l'Allighieri del suo esilio al capo terzo del trattato primo del Convito, e che vi sono espresse in modo da far ritenere che, quando egli scriveva quel trattato, vi fosse già da più anni in esilio: ma io potrò rispondere che secondo alcuni dalle cose dette nei trattati secondo e quarto risulterebbe, che questi fossero stati scritti innanzi al 1300. Ond' è che se l'epoca del primo contraria l'epoca di sopra stabilita, quella degli altri due la favorirebbero.

Ma, comechè questa potrebb' essere una risposta soddisfacente a quell' objezione, resta pur vero che le diverse epoche dei diversi trattati, anzichè sciogliere la questione, la complicano e la inviluppano; mentre anche il terzo trattato sembra essere posteriore al 1300. Opino quindi doversi cercare non nelle epoche dei trattati, ma altrove l'allusione di quelle parole di Dante:,,e in questa di poi quella già trapassata“.

Se nel Convito facciamo la distinzione dei due lavori poetico e prosaico, come abbiamo fatto per la Vita Nuova, e riferiamo alle Canzoni le parole:,,e in questa di poi quella già trapassata", non vi sarà più luogo a sospetti; chè abbiamo pur dimostrato che il temperato e virile spetta soltanto alla gioventù, e che Dante scrisse le poesie per la donna gentile tra il ventinovesimo e il

4) Con. t. IV. c. 27

trentacinquesimo di sua età, e quindi dopo trapassata l'entrata della gioventute.

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Nè si troveranno arbitrarie questa distinzione delle parti poetiche dalle parti prosaiche nelle due opere, e l'allusione da me fatta di quelle epoche, indicateci da Dante, alle poetiche piuttosto che alle prosaiche. Parecchie sono le ragioni che a ciò m' indussero. Una si è, perchè quella distinzione è basata sul fatto e sulla natura delle due opere. L'una e l' altra hanno due parti, le poesie cioè e il loro Comento, differenti come di forma, così pure di tempo. La seconda, perchè soltanto, col riferire quelle parole di Dante alle poesie, vengono sciolte tutte le questioni e ne sono dileguate tutte le contraddizioni. Abbiamo dimostrato ad evidenza che l' Autore della V. N. era filosofo e teologo; e tale Dante non fu nè dinanzi all' entrata, nè all' entrata di sua gioventù, ma fu ben poeta e a questa e a quell'. età: poichè egli dinanzi all'entrata di sua gioventute aveva fatto, eccetto i cinque ultimi sonetti, tutte le rime assemprate nella Vita Nuova. Ond' è che le parole:,,E io in quella dinanzi all' entrata di mia gioventute parlai", o non trovano alcuna applicazione nella V. N., o la trovano soltanto riferendole alle poesie che in essa vi sono, e che, come vedemmo, furono realmente scritte nell' adolescenza, nell' età fervida e passionata.

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Lo stesso si dica pel Convito. L' espressione: „e in questa di poi quella già trapassata", volendola riferire al Comento del Convito, se la s' intende: dopo trapassata la gioventute, si ha contrario Dante, il quale volle farci sapere di averlo scritto in gioventute allorchè disse: ch' era temperato e virile, come si conveniva all' età in cui fu dettato; se la s' intende: dopo trapassata l'entrata della gioventute, essa potrà convenire forse al trattato quarto e al secondo, non mai al primo e ne anche al terzo: e quanto poi agli altri undici trattati che dovevano seguire, certo nessuno può dirlo. Eppure Dante parlò di lavoro già fatto: parlai. Se invece applichiamo quella espressione alle poesie, che sono il testo del Comento, sta bene non solo alle tre Canzoni del Convito, ma quasi a tutte le filosofiche che di Dante abbiamo: anzi sta benissimo all'epoca intera dell' episodio della donna gentile, secondo il racconto fattone nella Vita Nuova, la quale, a detta di Dante, doveva púr essere giovata dalle illustrazioni del Convito, non già contraddetta.

La terza ragione si è, perchè Dante stesso ne fece quella distinzione nel primo capitolo del Convito, allorchè volle darne ragione dell' opera. „La vivanda di questo Convito, dic' cgli, sarà di quat

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tordici maniere ordinata, cioè quattordici Canzoni sì di Amore, come di virtù materiate, le quali sanza lo presente pane aveano d' alcuna scurità ombra, sicchè a molti lor bellezza più che lor bontà era in grado; ma questo pane, pane, cioè la presente sposizione, sarà la luce la quale ogni colore di loro sentenzia farà parvente" 1). Qui non v' ha bisogno di ragionamenti per convincersi della distinzione del Testo dal Comento, e delle loro diverse epoche. Si noti però che le Canzoni, non già le sposizioni loro, sono dette la vivanda del Convito, e che quindi esse sono la parte sostanziale dell' opera; mentre il Comento è il pane soltanto, che si associa alle vivande, quale ajuto al palato, perchè possano essere gustate, e forse allo stomaco per essere meglio smaltite.

Che se poi a questi detti di Dante uniamo alcuni altri, che li precedono, dovremo restar convinti anche di ciò, che Dante colle parole:,,e in questa di poi quella già trapassata", volle riferirsi appunto alle Canzoni, non al Comento.

,,E io adunque, che non seggo alla beata mensa, ma fuggito dalla pastura del vulgo, a' piedi di coloro che seggono, ricolgo di quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m' ho lasciati, per la dolcezza ch' io sento in quello ch' io a poco a poco ricolgo, misericordevolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale agli occhi loro già è più tempo ho dimostrata, e in ciò gli ho fatti maggiormente vogliosi. Per che ora volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale Convito di ciò ch' io ho loro mostrato, e di quello pane ch'è mestiere a così fatta vivanda, sanza lo quale da loro non potrebb' essere mangiata a questo Convito". ivi. Dante intende adunque imbandire un generale Convito di ciò ch' egli ha ai miseri mostrato, e di quel pane ch'è mestieri a così fatta vivanda. Se pel pane s' intendono le sposizioni, il Comento; per ciò che fu loro mostrato deve intendersene il Testo cioè le Canzoni, dette superiormente vivanda. Donde ne segue che le Canzoni furono da Dante agli occhi de' miseri già da più tempo mostrate e non il Comento: e che delle Canzoni poteva dire parlai non del Comento: il quale se anche in alcune parti già fatto, ora appena doveva essere ultimato e publicato, e quindi anche ora appena doveva mostrarsi ai miseri.

Aggiugnerò in fine che avendo Dante giustificato il passionato e fervido della V. N., il temperato e virile del Convito colla convenienza dei costumi proprj a ciascuna età; si vede chiaro ch' egli 1) Con. t. I. c. 1.

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non potè riferire quelle caratteristiche al Comento delle sue poesie e alle loro illustrazioni e divisioni, ma sì certamente alle poesie stesse; poichè il passionato e fervido, il temperato e virile si convengono alle poesie, come a quelle che sono l'espressione vera della sua passione, il risultato delle sue meditazioni, lo sfogo della sua anima, lo specchio in cui si riflettono i suoi costumi, e che contengono, come in embrione, tutto quello che conviene dirsi nel loro Comento e nella loro illustrazione.

Da tutto ciò concluderemo che quei due passi del Convito, che servirono ad altri per istabilire e alla Vita Nuova e al Convito epoche diverse, non ne possono dare che una sola per ciascuna delle due opere; e che questa, anzichè combattere le epoche da me stabilite alla Vita Nuova e alle poesie sacrate alla donna gentile, le favoriscono. Ond' è che s'ha tutta ragione di dire, non esservi alcun dubbio che la Vita Nuova non sia stata scritta dopo la Pasqua del 1300 e probabilmente nella primavera dell' anno stesso; e che Dante colle parole e in questa di poi quella già trapassata, non abbia inteso di dirne l'epoca della parte prosaica, ma della parte poetica del Convito, cioè delle Canzoni. I quattro trattati, che abbiamo, portano seco la testimonianza delle loro diverse epoche, e gli altri undici, che dovevano completare l'opera, erano forse ancora da farsi, o meglio da ultimarsi 1).

V. La via seguita per rintracciare quest' epoca della V. N. ci porse de' mezzi per definire questioni più importanti.

Per essi fu definita la questione sull'epoca da assegnarsi al Convito, e furono tolte le contraddizioni prodotte dalle epoche diverse dei quattro trattati.

Abbiamo veduto che Dante ebbe nel 1300 una Mirabile Visione, la quale fecelo risolvere di non dir più oltre poesie liriche in onore di Beatrice, per darsi interamente al lavoro della Commedia, alla quale egli stava già lavorando: ed, appoggiati sopra validi argomenti, abbiamo quindi supposto che quella Mirabile Visione sia o la stessa visione cantata nel Poema, o che sia dessa che gli suggerì il modo di ordire il piano nel Poema seguito:

Che Dante, essendosi proposto di non dire più oltre poesie liriche per Beatrice, risolse di assemprare in un libro, che intitolò Vita Nuova e che doveva essere tutto italiano, come desideravalo pure Guido Cavalcanti a cui lo dedicò, quelle delle sue poesie liriche, che bastassero a indicare la sentenzia di tutte quelle fino allora

1) Vedi in fine l' Appendice.

da lui dettate; e però essere stata sua intenzione di dare non una raccolta di tutte, ma un saggio di ciascun genere, à fine di far conoscere le fasi diverse percorse dalla sua Musa:

Che quando era alla fine del libro doveva essere di tanto avanzato col lavoro della Commedia, da poterne già presentire con sicurezza l'eccellenza: la quale supposizione diviene realtà per la testimonianza di Boccaccio, il quale ci racconta che Dante aveva scritti prima di andar in esilio alquanti canti dell' Inferno. Se poi questi fossero sette o più, poco monta.

All'epoca dunque del milletrecento, Dante non era solamente rinomato poeta e filosofo, ma anche dotto teologo: e quindi deve ritenersi falsa l'opinione di quelli che dicono aver Dante impresi gli studj teologici dopo il 1308, e quindi anche dopo compiuta persino la prima cantica della Divina Commedia, quasi che quella cantica potesse essere, non dirò, condotta a termine, ma soltanto impresa innanzi che fatto il piano generale del Poema; e che quel sì fatto piano potesse essere disegnato da chi non fosse profondo teologo!

Abbiamo inoltre veduto le fasi diverse della Musa di Dante. La prima, ch'è contenuta nei primi sedici paragrafi e nella quale il poeta innamorato arde di amore nobile, virtuoso, ma naturale, per la sua donna, ha due periodi. Nel primo il poeta dalle circostanze della vita, che hanno qualche rapporto alla sua donna, coglie l' opportunità di far delle rime per isfogo del suo cuore senza aver coraggio di far palese ad altri o alla sua donna stessa l'oggetto del suo amore, anzi usa anche la frode per trarne i curiosi in inganno; e a tale scopo fa rime per altre donne, trovando sempre luogo a lodare in pari tempo la sua. Nel secondo periodo, cessata da sè ogni finzione, dirige le rime alla sua donna, le apre l'amor suo, e protesta, ch' essa, non altra donna, fu sempre l'unico e solo oggetto dell' amor suo. Questa prima fase comincia coll' anno diciottesimo e finisce circa al ventiduesimo.

La seconda fase, che può dirsi contenuta tra li paragrafi 17o e 22o, è quella in cui il poeta si è prefisso di trattare materia nuova e più nobile della passata. La sua donna trova conveniente di negargli il beatificante saluto, ed egli si rassegna alla sventura, procuratasi colla propria imprudenza. Ma non potendo soffocare il suo affetto per lei, lo dirizza alle poesie che fa per onorarne le virtù nel simbolo della Scienza Divina. Non ama dunque più la donna, ma le dea; non più la persona, ma la memoria; non più la figlia del Portinari, o, forse meglio, la moglie del Bardi (poichè siamo già in

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