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ad tractandum faciendum et complendum una cum dictis D. Comite Maynardo et hominibus seu sindicis Utini et Glemone pacem, concordiam et composition em, si commode esse poterit. . . . ecc. ecc. Da una copia esistente in Udine presso i sig. Fabrizio. P. G. Bianchi“.

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...

E poichè da quest' altro documento, a p. 49 dello stesso volume, si ritrae che nel 1302 Riccardo da Cammino fosse in guerra con Ottobono, Patriarca d' Aquileja; ne verrebbe che Gherardo morisse o negli ultimi mesi del 1301, o nei primi dell' anno seguente:

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1302. Notizie intorno al Patriarca Ottobono estratte dal libro ,de Antiquitatibus di Fabio Quintiliano Ermagora.

„Ottobonus Patavinus Episcopus LXIX. Patriarcha grave bellum gessit cum Carinthiae ducibus et Ricardo Caminensi, cui plures tunc „Forijulienses tum Carni Castellani adhaerebant. . . . ecc. ecc. „Da una copia esistente presso l' Ab. Pirona.

,,P. G. Bianchi".

Nè quelle parole di Cunizza nel nono del Paradiso :

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colle quali allude alla morte di Riccardo, porranno punto in contraddizione l'Allighieri, come crede il sig. Fraticelli, quasi che Dante ci avesse voluto con esse dire, che Gherardo fosse già morto, e che gli fosse già succeduto nella signoria di Treviso il figlio Riccardo. L'Ottimo nel suo Commento ci fa intendere, che Cunizza tiene li un linguaggio profetico: „Poi che ha satisfatto all' Autore quanto al nome e alla sorte sua, qui antidice la morte di messer Riccardo da Cammino, e le future guerre de' Padovani e de' Vicentini, ed il futuro male che riceverà la città di Feltre". T. 3. E per vero molto egregiamente.

Se Cunizza le insidie contro Riccardo, che pur furono, come si sa dalla storia, appena nel 1312, le dice come se fossero presenti: „Che già per lui carpir si fa la ragna"; perchè il signoreggia e va con la testa alta, ch'è la causa di quelle insidie, si vorrebbe rapportarlo all' anno

1300, e dedurre da ciò contro l'autorità della stessa Divina Commedia, che Riccardo fosse già Signore di Treviso, e che Gherardo fosse morto? Il tempo a cui si allude col,,signoreggia e va con la testa alta", è lo stesso che quello del „si fa la ragna". Se non che, ora che sappiamo che Riccardo era già in guerra col Patriarca di Aquileja nel 1302, e che forse fin d'allora si tramava alla sua vita; non potremmo vedere nella prossimità del fatto una ragione di ciò che l' allusione al signoreggiare di Riccardo e al suo andar colla testa alta sian espressi col modo presente, mentre che le sventure dei Padovani, e il tradimento del pastor di Feltre, che dovevano succedere molto più tardi, sono annunziate col tempo futuro? Oppure, e non potrebbe Dante averci voluto far sapere con quella forma di dire, che Riccardo, vivente ancora il suo vecchio padre, andasse colla testa alta, e la facesse da Signore, e così si preparasse già fin da quel tempo l'odio che doveva più tardi fargli la ragna per carpirlo?

Ma si creda pur ciò che si vuole di quei versi, resterà ciò non pertanto ad evidenza provato, che Gherardo da Cammino viveva nel 1300, come disse Dante, poichè viveva, come ne attesta il riferito documento, anco nell' anno seguente: e quindi anche, che il trattato quarto del Convito, in cui si accenna a Gherardo già morto, e ad Alberto ancora vivo, non può essere nè anteriore alla fine del 1301, nè posteriore al 1308.

L'epoca poi precisa di questo trattato sta indicata nel capo 29 con questi detti: „Potrebbe dire ser Manfredi da Vico, che ora Pretore si chiama e Prefetto"; e gli amatori di Dante dovrebbero indagare chi sia questo Manfredi ed in qual anno fosse egli Pretore e Prefetto.

Il primo trattato, che è l' Introduzione all' opera intera, dev' essere stato scritto quando Dante aveva già in pronto la materia di tutti i quattordici trattati che dovevano seguirlo, ai quali nulla più mancava che darne l'ultima mano e ritoccarli specialmente per migliorarne lo stile. Scrivendolo, egli sa già alcune parti accessorie dell' ultimo: „Per che sì caro costa quello che si priega non intendo qui ragionare, perchè sufficientemente si ragionerà nell' ultimo trattato di questo libro". Dov'è da notare quel sufficientemente; con che parerebbe dirne anche l'estensione data alla pertrattazione. Scrivendo il terzo, al c. 15. dice, che le virtù talvolta per vanità o per superbia si fanno meno belle o meno gradite, siccome nell' ultimo trattato veder si potrà". Al capo 24 del trattato quarto fa noto che nel trattato settimo si parlerà del freno della Temperanza. Al capo

27, pure del quarto, si legge: „Ma perocchè di Giustizia nel penultimo trattato di questo libro si tratterà". E al capo primo del trattato secondo sta: nel penultimo trattato si mostrerà per che per li savii sia trovato il senso allegorico".

Tutti questi accenni illustrano benissimo quelli detti al capo primo dell' opera: „quello ch'io a poco a poco ricolgo", e ci danno diritto a ritenere che la materia dei diversi trattati sia stata raccolta ad epoche diverse, e ch' egli, scrivendo il primo, le dava l' ultima

mano.

A qual' epoca ciò avvenisse, se negli ultimi anni della gioventù di Dante innanzi al 1310, se più tardi, non è facile a stabilirsi. Però la calma, il patetico dell' allusione al suo lungo e travagliato esilio, ch' ei ne fa al capo terzo, potrebbe farci inclinare piuttosto per un' epoca di parecchi anni posteriore al 1310. „Ahi piaciuto fosse al Dispensatore dell' universo, che la cagione della mia scusa mai non fosse stata; chè nè altri contro a me avria fallato, nè io sofferto avrei pena ingiustamente: pena, dico, d'esilio e di povertà. Poichè fu piacere de' cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gettarmi fuori del suo dolcissimo seno (nel quale nato e nutrito fui fino al colmo della mia vita, e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto il cuore di riposare l'animo stanco e terminare il tempo che m'è dato) per le parti quasi tutte, alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando, contro a mia voglia, la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertà: e sono vile apparito agli occhi a molti, che forse per alcuna fama in altra forma-mi avevano imaginato; nel cospetto de' quali non solamente mia persona invilío, ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già fatta, come quella che fosse a fare".

Che queste aggiunte poi e questi schiarimenti sulle epoche dei quattro trattati del Convito, anzichè indebolire, rafforzino le ragioni portate nella dissertazione a definire il senso delle parole: „e in questa di poi quella già trapassata“, è, come può giudicarne chiunque, per sè manifesto.

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