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tutti gli altri debbono essere subordinati sempre che si tratti di conoscere o lui o le sue opere.

E per vero, mentre i biografi di Dante, non esclusi i più prossimi a lui di tempo, ce ne danno un ritratto, nei cui lineamenti e nelle cui tinte mal armonizzanti, non possiamo ravvisare il cantore della Rettitudine, come piacque a lui stesso d'intitolarsi, e come lo fanno vedere le sue Canzoni filosofiche; nè il cantore della Regenerazione Sociale, quale si mostrò nella Divina Commedia; le sue opere, lette ponderatamente e senza prevenzioni, ne presentano un' imagine che porta per iscritto espressi i caratteri del grande cittadino, del grande filosofo cristiano, del grande poeta, che d'accordo ai suoi principj, alle sue dottrine, alle sue tendenze, ai suoi costumi imprende i canti della Rettitudine e della Regenerazione Sociale per ricondurre l'uomo e la società sulla via tracciata loro dalla Provvidenza. Mentre pei suoi apologisti stessi egli è un cittadino che per odio di parte muta la sua fede politica; i suoi scritti tutti, di qualunque epoca siensi, non ne propugnano se non un identico principio, e sempre con quello zelo che lo caratterizza. Per essi, egli che sa di dover istare

"... come torre, fermo, che non crolla

Giammai la cima per soffiar di venti“ 1);

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che si propose, rimossa ogni menzogna, di far manifesta tutta sua visione ), in cui gli furono mostrate,,Pur l'anime che son di fama note", le quali egli si fa ad onore di percuotere facendo come'l vento Che le più alte cime più percuote"); egli, dico, per essi è timido e si lasciò consigliare da paura allor che studiossi, forzando le sue rime, di farci credere che vi sieno allegorie e simboli a celebrare bellezze intellettuali là, dove non vi erano che battiti di cuore per bellezza mortale. E cosi accade a chi vuol credere più a sè o ad altri che a Dante stesso.

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Ma, supposta vera questa sola asserzione, ne seguirebbe che Dante mentisse allorchè ci diceva che la donna gentile non fu una creatura umana, ma,,la bellissima e onestissima figlia dell' Imperadore dell' universo... Filosofia"); ch' egli tenesse un linguaggio d'ipocrita allorchè, accennando a quell' amore, scriveva:,,Temo l'infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le soprannominate Canzoni, in me avere signoreggiato" 5); che si mo

1) Purg. 5. v. 14.
5) ivi I. c. 2.

2) Par. 17. 127. 3) ivi. 134.

4) Conv. II. c. 16.

strasse ben semplice allorchè confidava di provvedere al suo nome soggiungendo: „la quale infamia si cessa, per lo presente di me parlare, interamente; lo quale mostra che non passione, ma virtù sie stata la movente cagione"; che mentisse pure allorchè voleva farne sapere che l'anno medesimo che nacque questa Canzone (la seconda del Convito) per affaticare lo viso molto a studio di leggere" 1) s'era guasta la vista: mentre avrebbe dovuto dire più veracemente, che lo splendore d' un bel volto ne lo aveva abbacinato; che mentisse allorchè voleva farci credere, senza acquistar per ciò maggior merito, che il senso di quelle Canzoni era scientifico e morale; che mentisse quindi anche arrogandosi impudentemente un titolo che non gli competeva, come fece nel libro de Vulgari Eloquio, quando asseriva ch' egli, l'amico di Cino, aveva in quelle Canzoni cantato la Retti tudine 2); e quando nel Convito scriveva:,,proposi di gridare alla gente che per mal cammino andavano, acciocchè per diritto calle si dirizzassono, e cominciai una Canzone, nel cui principio dissi: Le dolci rime d'Amor ch' io solia"); in breve, che quasi tutto ciò che Dante nel Convito raccontò di sè e de suoi studj, e dell' effetto intellettuale e morale da essi ritratto, e, possiamo dire anche, tutto quello che intorno ad essi egli s'era riservato ancora di dirci negli altri undici trattati dell' opera stessa, non fosse che pretta menzogna. Chi potrebbe a tali tratti ravvisare l'autore della Divina Commedia ? Eppure tutto ciò, e più ancora, ne consegue dal modo di sciogliere una questione accessoria, o che per lo meno come accessoria viene trattata!

Non sarà dunque tempo nè opera gittata se colla scorta delle opere di Dante imprendo ad indagare in quale epoca sia stata da lui scritta la Vita Nuova; poichè la diversa soluzione anche di questo quesito riflette diversa luce sopra altre questioni di maggior rilievo, come avremo occasione di accertarcene.

I. Dante chiude il libro della Vita Nuova con queste parole: „Appresso a questo Sonetto apparve a me una mirabile Visione, nella quale vidi cose che mi fecero proporre di non dir più di questa benedetta, in fino a tanto che io non potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì come ella sa veracemente. Sicchè se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivono, che la mia vita per alquanti anni perseveri, spero di dire di lei quello che mai non fu detto di alcuna. E poi piaccia a Colui,

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eh'è Sire della cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria della sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, che gloriosamente mira nella faccia di Colui, qui est per omnia saecula benedictus". V. N. §. 43.

Nella solennità di questi detti si sente l'espressione di un' anima profondamente commossa: commossa dall' affetto per la sua donna; commossa dalla grandezza del suggetto o dall' eccellenza del piano di un lavoro suggeritogli dalla Mirabile Visione; commossa dalla compiacenza che prova nell' occuparsene; commossa dall' ardente brama di compierlo. Egli non dirà più per la sua donna nè Sonetti, nè Ballate, nè Canzoni, perchè vuole più degnamente onorarla. Le farà un poema che dovrà tenerlo occupato più anni; un poema, in cui dirà di lei quello che non fu mai detto di alcuna. E quando avrà soddisfatto questa brama del suo cuore, quando avrà innalzato a lei questa perenne memoria di sua devozione, che lo collocherà sesto nella scuola del Signore dell' Altissimo Canto 1), allora, non prima, sarà pago che sia tronco il filo di sua vita; poichè allora saranno ormai finiti tutti i suoi terrestri desiderj. E il suo voto fu avverato: poichè quell' anima eminentemente cristiana, appena finito quel suo canto votivo, rifece il viaggio all' Empireo per non più lasciarlo!

mente.

In questo brano della Vita Nuova ci viene dunque detto: Primo che una Mirabile Visione lo fece risolvere di non dire più in onore di Beatrice sino a tanto che non potesse trattare di lei più degnaMa poichè nella V. N. non vi sono in onore di Beatrice se non sonetti, ballate e canzoni, forme cioè di poesia lirica; possiamo ritenere che con quel proponimento, di non dire più di quella benedetta, egli abbia voluto dirci che non l'avrebbe più celebrata con poesie liriche. Secondo, che Dante studiava già a tutto potere su quel lavoro più onorifico per Beatrice, suggeritogli dalla Mirabile Visione, e che n'era tanto innanzi che ne presentiva già tutta l'eccellenza. Ma, poichè sappiamo che Dante oltre alle poesie liriche non iscrisse in onore di Beatrice altro che la Commedia; e poichè quest' è di un' eccellenza maravigliosa e tale che oggidì pure dopo tanti secoli non si vede ancora chi a tanta altezza siasi neppure avvicinato; possiamo, senza tema d' errare, ritenere, che Dante colla promessa di quel poema votivo, in cui avrebbe detto della sua donna quello che mai non fu detto di alcuna, alludesse alla divina Commedia,

1) Inf. 4. v. 95.

Non credo che da alcuno mi sarà seriamente opposto che quel lavoro votivo potrebb' essere, anzichè la Commedia, le Canzoni comentate nel Convito; benchè siavi stato chi asserì, che Dante nella donna gentile, a cui quelle Canzoni sono sacrate, avesse onorato Beatrice. Rispetto il nome di chi tanto asseriva; ma per me, in simili questioni, l'autorità di Dante va sopra ogni altra. Se non vuolsi far conto della rivalità, che nel racconto della V. N. si legge esservi stata tra l'amore per Beatrice e quello per la donna gentile, e delle fasi che nella lotta subirono quei due amori, l'uno sull'altro a vicenda trionfanti, ciò che dovrebb' essere più che sufficiente per non identificarli in un oggetto solo; si badi per lo meno alla dichiarazione espressa di Dante, il quale ci afferma (come vedremo appresso), che la donna gentile del Convito è la stessa della V. N. e a quello che senza velo ne disse al capo nono del trattato secondo del Convito, ove si espresse :,,sarà bello terminare lo parlare di quella viva Beatrice beata, della quale più parlare in questo libro non intendo". Se quelle Canzoni sono in lode di Beatrice, com'è che Dante, in sul principio dell' opera, dichiarava di non voler più parlare di lei in quella? Dunque Beatrice non è la donna delle Canzoni, poichè di questa egli continua a dire; anzi al capo primo del trattato quarto ne dichiara espresso: „Per mia donna intendo sempre quella che nella precedente Canzone è ragionata, cioè quella virtuosissima Filosofia". Nè le Canzoni dunque, nè il loro comento sono quell' opera, in cui Dante si riservava di parlare di Beatrice più degnamente, e in cui sperava di dire di lei quello che mai non fu detto di alcuna, ma la Commedia, ove ripete lo stesso pensiero dicendo: „L' aqua ch'io prendo giammai non si corse" 1).

Posto ciò ne consegue che Dante, quando fu al termine della V. N., lavorava già con amore alla Commedia. Possiamo anzi asserire ch' egli ne aveva già fatto il maraviglioso piano, ed avutone di già tale saggio di quella divina poesia, da esserne ormai sicuro del felice esito, pel quale di null' altro più abbisognava se non del tempo:,,che la mia vita, pregava egli soltanto, per alquanti anni perseveri!"

Ma oltre a questa conclusione, ne possiamo trarre un' altra, ed è, che Dante si accinse a scrivere la Vita Nuova dopo quella Mirabile Visione, la quale lo fece risolvere di non dire più per Beatrice poesie liriche.

1) Parad. 2. v. 7.

Di fatti, si confronti quell' ultimo paragrafo della V. N. col primo della stessa, che ne è come l'introduzione, e se ne sarà convinti.

„In quella parte del libro della mia memoria, scrive Dante, dinanzi alla quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica, la quale dice: Incipit Vita Nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole, le quali è mio intendimento d'assemprare in questo libello, e se non tutte almeno la loro sentenzia" 1). La Vita Nuova non è dunque un libro compilato contemporaneamente alle poesie che vi si leggono, o di mano in mano che quelle nascevano; ma posteriormente quando Dante si pensò di assemprarle nello scopo di dare non una completa e semplice raccolta di quante ne aveva sino allora scritte, sì bene un saggio a fine di farne conoscere la sentenzia. E poichè questo assempramento finisce col sonetto, appresso al quale gli apparve la Mirabile Visione, nella quale vide cose che lo fecero proporre di non dir più di Beatrice infino a tanto che non potesse più degnamente trattare di lei, ragion vuole si dica che Dante siasi accinto a quell' assempramento posteriormente a quel sonetto, ch'è l'ultimo dell' opera, e che Dante ha creduto necessario di riportare a fine di farne conoscere la sentenzia delle sue ultime poesie di quel periodo, e quindi anche dopo la Mirabile Visione che gli apparve appresso a quel sonetto, e col cenno della quale chiuse il racconto della Vita Nuova.

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Se non avessimo delle ragioni fondate per ritenere che Dante debbe avere, almeno una volta, o interamente o in parte modificato, cangiato il piano del suo poema; posto che la visione fittizia di questo è nella primavera dell' anno 1300, potremmo dalle cose predette conchiudere con sicurezza che la Visione del poema è quella stessa Mirabile Visione annunziata nella chiusa della Vita Nuova e quindi anche fermare fin d' ora che la Vita Nuova non fu da Dante finita innanzi la primavera dell' anno 1300, sì bene qualche mese dopo, quando Dante era già alquanto innoltrato nel lavoro del Poema. E siccome la V. N. è un libro che non dovrebbe avere occupato molto tempo un Dante; potremmo del pari ragionevolmente dire che non deve esservisi egli neppure accinto molti mesi innanzi all' epoca, in cui lo ebbe terminato.

Ma, poichè per testimonianze autorevoli, che trovano pure appoggio nelle parole di Dante: „Donne che avete intelletto d'Amore“ *), ebbe egli molti anni innanzi al 1300 l'idea di un lavoro, in cui

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