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ricordandosi di lei, mirabilmente operava. La seconda comincia quivi: La vista; la terza quivi: Ed è negli atti.

PER LEI ERANO ONORATE E LAUDATE MOLTE. << Così l'onesto parlare di Virgilio onora lui e quei ch' udito l'hanno: Inf. II, 114 »: GIULIANI.

COME LA SUA VIRTU ADOPERAVA NELLE ALTRE. << Cioè: come operava, quali effetti produceva; Purg. XXVII, 131: Quinci Letè, così dall' altro lato Eunoè si chiama, e non adopra Se quinci e quindi pria non è gustato»: CARDUCCI.

QUELLE CHE VAN CON LEI ec. Cfr. nel Sonetto: Di Donne io vidi ecc. Dunque beata chi l'è prossimana. Il CAVALCANTI (Son. XVI): Le donne che vi fanno compagnia Assai mi piacen per lo vostro amore, Ed io le priego per lor cortesia Che qual più puote, più vi faccia onore, E aggia cara vostra signoria Perchè di tutte siete la migliore. E CINO (ed. Ciampi, p. 33): Vedete, donne, bella creatura Com' sta fra voi maravigliosamente: Vedeste mai così nova figura O così savia giovine piacente? Ella per certo, l'umana natura E tutte voi adorna similmente..... Quanto potete a prova l'onorate, Donne gentili, ch'ella voi onora, E di lei in ciascun loco si favella. E il BARBERINO (Regg., p. 10): Come da specchio ricevon lor vista Tutte le donne che vanno con voi. E anche p. 96: Ed è maggior la grazia ch' ella apporta Che fa saggia ed accorta Ciascuna donna che parla con lei.

CHE NULLA INVidia all' altre NE PROCEDE.- « Ne dà la ragione CINO nella Canz. L'alta speranza: Non dà invidia quel ch'è meraviglia, Lo quale vizio regna ov'è paraggio »: Carducci.

E questo è il massimo della lode: il non eccitar invidia in cuor femminile: ma tanto ella supera le altre donne per comun sentimento, che vince anche l'invidia. E ciò perchè la sua bellezza, oltre che meramente corporea, è intima e morale, come figura di divina virtù.

FA OGNI COSA UMILE. Toglie baldanza, eccessivo amor di sè alle cose belle di questo mondo: non arrogantemente abbassandole ma dolcemente piegandole, umiliandole con soavità, e come partecipando ad esse la propria perfezione.

IN DOLCEZZA D'AMORE. Cfr. l'ult. v. dell' antecedente Sonetto. E nota che questo componimento per interiore bellezza e per vaghezza poetica non cede all'altro, ma forse gli nuoce il venir subito dopo quello.

§ XXVIII.

Appresso ciò cominciai a pensare un giorno sopra quello che detto avea della mia donna, cioè in questi due Sonetti precedenti; e veggendo nel mio pensiero ch' io non aveva detto di quello che al presente tempo adoperava in me, pareami difettivamente aver parlato; e però proposi di dire parole, nelle quali io dicessi come mi parea esser disposto alla sua operazione, e come operava in me la sua virtude. E non credendo ciò poter narrare in brevità di Sonetto, cominciai allora una Canzone, la quale comincia:

Si lungamente m' ha tenuto Amore,
E costumato alla sua signoria,

Che, sì com' egli m'era forte in pria,
Così mi sta soave ora nel core.
Però quando mi toglie sì 'l valore,
Che gli spiriti par che fuggan via,
Allor sente la frale anima mia
Tanta dolcezza, che 'l viso ne smuore.
Poi prende Amore in me tanta virtute,
Che fa li miei sospiri gir parlando;
Ed escon fuor chiamando

La donna mia, per darmi più salute.
Questo m'avviene ovunque ella mi vede,
E sì è cosa umìl, che non si crede.

-

PROPOSI DI DIR PAROLE ecc. << Il poeta voleva esporre nella Canzone come dall'un dei lati la lunga signoria d'amore l'aveva disposto a ricevere degnamente i benefici influssi che procedeano della sua donna, aveva dunque condotto in lui a maggior perfezione la potenza; dall' altro lato, come quegli influssi virtuosi operavano in lui, riducevano in atto quella potenza »: WITTE.

UNA CANZONE. -<< Così va letto con la sermartelliana e la pesarese, col Fraticelli, col Torri e col Giuliani; e non questa canzone con la biscioniana e la trivulziana, per la ragione che gli editori

pesaresi arrecano:

Il p. nè mai compose, che si sappia, nè qui ri porta che la prima stanza della Canzone. Leggere questa canzone supporrebbe che si avesse intera

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>>: CARDUCCI.

Con questo frammento finiscono le rime appartenenti al secondo periodo dell' amore di DANTE e alla seconda parte della V. N. A parer nostro appartiene però a questo tempo anche la leggiadra Ballata: Io mi son pargoletta bella e nuova, ove trovasi già nelle parole: Io son del cielo e tornerovvi ancora una corrispondenza con le altre: Lo cielo che non ave altro difetto, della Canzone: Donne che avete ecc.

COSTUMATO. Avvezzato; ma la forma qui adoperata significa ridotto a conformità di costumi.

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MI TOGLIE SÌ 'L VALORE. Quando, cioè, Amore prende il luogo degli spiriti fuggenti (v. Son.: Coll' altre donne, e: Ciò che m'incontra). Se non che prima questa era una battaglia, anzi una sconfitta, insomma un combattimento doloroso: ora è cagione di soave ed inusata dolcezza.

CHE FA LI MIEI SOSPIRI GIR PARLANDO. << II TRIVULZIO e il TORRI prescelsero la lez.: Che fa gli spirti miei andar parlando. Non so perchè: la espressione degli affetti e de' pensieri data ai sospiri è imagine dantesca che vediamo più volte ripetuta nelle di rime qui innanzi »: CARDUCCI.

-Vuol dire che gli aneliti del suo petto e del labbro diventano parole amorose.

PER DARMI PIÙ SALUTE. - Perch'ella mi dia più salute, perchè mi conforti. Invece il GIULIANI: « a maggiormente confortarmi, inebriandomi di dolcezza »; e lo ricopia il Witte.

OVUNQUE ELLA MI VEDE. - Ogniqualvolta e in qualsiasi luogo ed occasione ella mi veda, ella volga a me il suo sguardo. E si E COSA UMIL. Ed è cosa di tanta dolcezza, placidezza, mitezza, generatrice di così soave contrizione al cuore, che non è credibile.

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Quomodo sedet sola civitas plena populo! facta est quasi § XXIX. vidua domina gentium. Io era nel proponimento ancora di questa Canzone, e compiuta n' avea questa sovrascritta stanza, quando lo Signore della giustizia chiamò questa gentilissima a gloriare sotto la insegna di quella reina benedetta, Virgo

Maria, lo cui nome fue in grandissima reverenza nelle parole di questa Beatrice beata. Ed avvegna che forse piacerebbe al presente trattare alquanto della sua partita da noi, non è mio intendimento di trattarne qui per tre ragioni: la prima si è, che ciò non è del presente proposito, se volemo guardare nel proemio, che precede questo libello; la seconda si è, che, posto che fosse del presente proposito, ancora non sarebbe sufficiente la mia lingua a trattare, come si converrebbe, di ciò; la terza si è, che, posto che fosse l'uno e l'altro, non è convenevole a me trattare di ciò, per quello che, trattando, converrebbe me essere laudatore di me medesimo, la qual cosa è al postutto biasimevole a chi 'l fa; e però lascio cotale trattato ad altro chiosatore. Tuttavia, perchè molte volte il numero del nove ha preso luogo tra le parole dinanzi, onde pare che sia non senza ragione, e nella sua partita cotale numero pare che avesse molto luogo, conviensi qui dire alcuna cosa, acciò che pare al proposito convenirsi. Onde prima dirò come ebbe luogo nella sua partita, e poi ne assegnerò alcuna ragione, perchè questo numero fu a lei cotanto amico.

QUOMODO SEDET SOLA. << Barbari, ci si conceda di soggiungere, barbari coloro, che in questo interrompimento, in questa reminiscenza della Sacra Scrittura, in quel rassegnato, ma venuto a stento, Signore della giustizia, in quella gentile e che non potè essere immaginata rimembranza del nome di Maria stato frequente in bocca alla sua donna, non sanno vedere i segni tutti della verità e della passione. E stretti di cuore e di spirito coloro, a cui, nati e vivuti in prosa, par falsità tutto ciò che è detto in poesia, la quale non è pure se non un altro, forse più vero aspetto delle cose umane; e coloro i quali misurando ogni altro uomo alla propria misura, non intendono un dolore espresso in un modo diverso dal loro. Chè siccome infiniti sono i dolori quaggiù, infinite sono le espressioni vere di esso, secondo le età, il sesso, le condizioni, la

cultura, od anche la ignoranza e gli errori di ciascuno. Alle quali tutte all'incontro sapranno compatire gli animi gentili: e così ripensando alle condizioni dei tempi di Dante, compatiranno e alla discussione ch' ei fa sulla data della morte di sua donna, ai 9 Giugno del 1290, e ai numeri che vi trova, e alla lettera latina ch'egli ne scrive sul testo citato di Geremia ai principi della terra ec. »: BALBO, Vita di Dante, p. I, cap. VII.

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Il BOCCACCIO, Lett. dedic. del Filostrato: Ohimè, quante volte per minor doglia sentire, si sono (gli occhi) spontaneamente ritorti da guardare i templi, le logge, le piazze e gli altri luoghi, ne' quali già vaghi e desiderosi cercavano rivedere, e tal volta in essi videro la vostra sembianza, e dolorosi hanno il cuore costretto a dire con seco quello verso di Geremia: Oh come siede sola la città la quale in addietro era piena di popolo e donna delle genti!

LO SIGNORE DELLA GIUSTIZIA CHIAMÒ QUESTA GENTILISSIMA A GLORIARE SOTTO LA INSEGNA DI QUELLA REINA BENEDETTA, VIRGO MARIA. << In fatti nel XXXI del Parad., Maria apparisce trionfante ne' primi sedi, nei secondi a piè di lei Eva, nei terzi, sotto Maria ed Eva, da una parte Rachele dall' altra Beatrice »: CARDUCCI.

-Parad. XXXI, 67: E se riguardi su nel terzo giro Del sommo grado, tu la rivedrai Nel trono che i suoi merti le sortiro. E XXXII, 7: Nell'ordine che fanno i terzi sedi Siede Rachel, di sotto da costei Con Beatrice, sì come tu vedi.

TARNE.

DELLA SUA PARTITA DA NOI, NON È MIO INTENDIMENTO DI TRATMolto probabilmente se DANTE avesse voluto darci maggiori particolari della malattia e morte di Beatrice, avrebbe qui trovato luogo la Canzone: Morte, perch' io non trovo a cui mi doglia, fatta quando la donna amata era mortalmente inferma. E avrebbe anche potuto aggiungervi la Canzone di CINO DA PISTOJA in morte di Beatrice, o almeno accennar ad essa.

SE VOLEMO GUARDARE NEL PROEMIO, << Perchè ivi si propone di trattare pur della vita nuova o d'amore: « la quale vita mi venne a mancare nel partirsi di lei che negli suoi portava Amore>>. Quindi abbiamo altro argomento a tenere che vita nuova nel titolo del libro non può significare se non vita amorosa »: GIULIANI.

A TRATTARE COME SI CONVERREBBE DI CIÒ. << Intendi, quanto fu bella la morte di Beatrice, che in mezzo agli spasimi dell' agonia non solamente rimaneva rassegnata nella volontà divina, ma sembrava già trionfare colle glorie del Paradiso »: WITTE.

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