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e schianta dalla radice il concetto erotico dantesco che dall'affetto profondo trae nascimento e in esso si avviva, sostituendovi una fredda allegoria scientifica, figlia della sola astrazione intellettuale. Se non che niuno vorrà far grave rimprovero al buon Canonico, se egli, dotto in tante altre cose, in codesti misteri del cuore umano si addimostrasse, quale doveva essere, meno esperto.

Ma questo sistema interpetrativo, così precisamente esposto dal Biscioni e da lui recato a spiegare gli episodj più notevoli della Vita Nuova, era già stato enunciato in termini più generali, anche da altri scrittori di età più antica. Accennerò soltanto la strana interpretazione di Francesco da Buti (1), il quale in Beatrice ritrova, quanto al senso letterale, la madre della Contessa Matilde. Se non che il butense considerando poi che codesta Madonna Beatrice moritte in Pisa innanzi al 1116, vale a dire un secolo e mezzo circa prima della nascita di Dante, ne trae la conseguenza che però appare questo innamoramento sia finto, e ciò che ne dice si dea intendere allegoricamente. Così il difetto di ragionevole interpretazione letterale e storica, lo trae di necessità alla spiegazione allegorica; e dal confessare ch'ei fa poco appresso: questo pensieri m' abbo fatto per cagione solamente de' nomi, si vede ch' egli ignorava la esistenza della Portinari, che non conosceva l'esplicita testimonianza del Boccaccio, e che solo per trovare una Beatrice storica, facea ricorso alla figlia dell'Imperador di Costantinopoli, la quale a lui e al suo pisano uditorio era notissima, perchè morta e sepolta in Pisa (2). Ma poi, naturalmente non soddisfatto di questo pensieri fatto solamente per cagione de' nomi, Messer Francesco si prova ad una interpreta

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(1) Commento alla Divina Commedia, Purgatorio, C. xxvii, vol. II, pag. 647. Pisa, Fratelli Nistri, 1860.

(2) < Moritte a Pisa.... e sotterrossi nella tomba che è ora nela mura de la chiesa maggiore pisana inverso lo campanile ». E ricordo che non son molti anni, un Cicerone del Camposanto pisano perpetuava ancora la strana confusione fatta dal Buti, mostrando il monumento della Contessa Beatrice come contenente le ceneri della amata di Dante.

zione allegorica, e scopre in Beatrice il simbolo della Teologia, della quale il nostro autore si innamorò in fin ch'elli era fanciullo o vero garzone; e però finge ch'ella fusse giovanetta, imperò che puerilmente la studiava e la intendeva: e poi finge che la santa donna morisse, cioè che cresciuto lo intendimento a lui, sicchè intendea già le cose grande, a lui venne meno lo desiderio di tale studio, e questo fu lo morire e partirsi da questo mondo, imperocchè si parti della fantasia sua occupata da' beni ingannevoli del mondo, ma non sì che sempre non sentisse nella mente sua un grande desiderio di ritornare ad essa ed amarla ferventissimamente ('). Qui ogni parola vorrebbe una confutazione,

(4) Alcuni fra gli antichi commentatori danno, come è noto, la preferenza all'interpretazione mistica nell'esporre i simboli della D. C., e quindi ritrovano in Beatrice, la Teologia o altra consimile significazione. Il BUTI, Inf. 11, (pag. 65, ed. Nistri): « Per questa che Dante figura qui donna, e che di sotto la nomina Beatrice, allegoricamente si dee intendere la sacra Teologia, la quale accompagnante con la grazia cooperante e consumante, beatifica l'uomo, ammaestrandolo a conoscere et amare Iddio, la quale qualunque uomo perfettamente conosce, quanto è possibile all'umana specie, sì l'ama perfettamente, e amandola perfettamente è beato in questa vita per grazia, e nell'altra per gloria, e però ben li si conviene questo nome Beatrice, imperocchè molti sono stati già grandi teologi che sono stati dannati e non beatificati. E Beatrice si dice, perchè beatifica ec... E PIETRO DI DANTE (p. 512, ed. Vernon): « Auctor vult figurare quod jam dilexit studium Theologiae, et in eo postea cessarit... De quo Beatrix, idest scientia theologiae, in eo et in suo pectore reprehendit eum. Ideo.... vocatur ab ipsa Theologia nomine proprio, quia prout nominatus erat auctor Dantes, ita dabat sive dedit se ad diversa: scilicet primo ad Theologiam, secundo ad poetica ». E JACOPO (p. 9, ed. Vernon): • Beatrice, dicendo la qual per tutto questo libro la Divina Scritura s'intende, sicome perfetta e beata ». Le CHIOSE SOPRA DANTE (p. 21, ed. Vernon ): « E per Beatrice dei intendere la santa Teologia nella quale Dante istudiò ». Il LANA (vol. I, p. 320, ed. Scarabelli): Beatrice la qual figura Teologia ». Altri però non tacciono che nel senso litterale, Beatrice è l'amata di Dante: L'OTTIMO (Furg. xxx, Proem. vol, II, p. 525. ed. Torrij: « Introduce qui Beatrice la quale pone per la teologica scienza.... E più laicamente si potrebbero sporre a lettera le parole di Beatrice, prendendo lei semplicemente per quella madonna Beatrice, ch' egli amò con pura benivolenza, siccome mostra nelle sue Canzoni e nella sua Vita Nuova, la quale, partita dal mortal corpo, tosto dimenticò, ed amò quella per la quale disse: lo mi son pargoletta bella e nova ». E al verso Alcun tempo il sostenni (p. 539): E questa lettera ha

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benchè più d'una si confuti da sè stessa; ma procederemo oltre, chè la via lunga ne sospinge.

Giovan Mario Fidelfo (1), posta la massima degnissima di un retore, che i poeti molte cose fingono per solo esercizio di stile

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due sposizioni: l'una puoi riferire ch'ella parli di Beatrice in quanto ella fu tra' mortali corporalmente, che aveano tanta forza le sue bellezze in Dante, che toglievano di lui ogni malo pensiero, e inducevano e cercavano ogni pensiero buono, secondo che appare in sue Canzoni e in suoi Sonetti, e ancora di Messer Cino da Pistoja dov'elli disse di lei; e qui cadrebbe una lunga dimostrazione, la quale per brevitade è da lasciare: l'altra è da referire a spirito ed intelletto, che l'autore incominciando lo studio di teologia infino da fanciullo, al quale era ottimamente abituato, come dice cap. xv Infern. quivi: Veggendo il cielo a te così benigno ec., che questo studio per più tempo il sostenne e difese da non cadere nelle lascivie e viziositadi del secolo». L'ANONIMO RICCARDIANO (vol. I, 42, ed. Fanfani): « Chi fosse Beatrice è da sapere che nella verità questa fu una donna da Firenze, la quale Dante amò in sua gioventù con grande affezione, et fece per lei molte cose in rima, canzon morali et ballate. Fu questa giovane figliuola di Folco Portinari et moglie di Messer Simone de'Bardi: ma allegoricamente s'intende per questa Beatrice la santa Teologia ». E anche più sotto (p. 51): « Amò costei XVI anni, come egli racconta nella sua Vita Nuova, però che quando ella morì aveva ella xxIII anni et egli xxv, et questo chiarisce egli nel Purgatorio, dov'egli dice ch' era stato dieci anni senza vedere Beatrice: però che l'autore cominciò questo suo libro i xxxv anni. Egli amò questa Beatrice con grande affetto. Ancora allegoricamente s'intende per Beatrice la Teologia ». L'ANONIMO del Vernon (p. 31): «Questa donna si fu Beatricie, e come è detto a dietro, parla di lei Dante; avegna che fosse una donna di cui esso Dante già sentì amore, ora ne parla in questo libro per quella vertù che fa beate le cose ».. Il testo laurenz. citato dal Selmi (p. 11) legge invece: « E come è detto a dietro là dove Dante parla di Biatrice. avvegnachè fosse una donna fiorentina, non è Biatrice di cui Dante sentì già corale amore: egli ne parla qui pure per quella virtù che fa biate le cose >. II BOCCACCIO, finalmente (ed. Moutier, 1, 143) scrive: Apparisce in più luoghi in questo volume, Beatrice essere stata una gentildonna fiorentina, la quale l'autore onestamente amò molto tempo.... E perciocchè questa è la primiera volta che di questa donna nel presente libro si fa menzione, non pare indegna cosa alquanto manifestare, di cui l'autore in alcune parti della presente opera intenda, nominando lei; conciosiachè non sempre di lei allegoricamente favelli. Fu dunque questa donna, secondo la relazione di fede degna di persona la quale la conobbe, e fu per consanguineità strettissima a lei, figliuola di un valente uomo chiamato Folco Portinari ». () Vita A. D., pag. 20, Flor., 1823.

(exercendi ingenii gratia), volle recarne prova spiegando Dante, e vide in Beatrice una favolosa Pandora arricchita dall'Alighieri di ogni corporea ed intellettuale bellezza, e da lui formata ed immaginata a quel modo, come oggetto e termine di poetico culto. Pel Filelfo adunque la poesia erotica di colui che cantò: To mi son un che quando Amore spira, noto; ed a quel modo Ch'ei detta dentro, vò significando, sarebbe mero esercizio di stile; e la donna celebrata nel verso, nome senza soggetto, inventato da Dante per comodo, al solo scopo di illudere sè stesso con artificioso entusiasmo, e 'l lettore con falsa apparenza di verità. Che si pensassero e scrivessero queste cose in tempi, ne' quali la crescente corruzione del costume aveva inaridito e svigorito gli affetti forti e gentili, e la poesia era tenuta come imitazione ed arte di far versi sopra illustri esempj, di leggieri si comprende. E si comprende anche, come non potendo immaginare l'indole propria dell'affetto di Dante, venisse il Filelfo a quest'altra prova contro la esistenza di Beatrice, o almeno contro la veracità dell'affetto descritto dall'Alighieri: Nessuno, egli argomenta, fu più incorrotto più innocente e più moderato di Dante; possiam dunque manifestamente congetturare esser egli stato amico soltanto della onestà e della virtù, imperocché coloro che veggono il sommo bene soltanto nella gloria immortale, non si pongono sotto l'imperio delle voluttà che ci conducono in rovina. Bellissima sentenza! Se non che, da quel verso, da quale immagine, da qual parola avrebbe potuto il Filelfo dedurre che Dante abbia trattato amori profani e voluttuosi? quale indizio storico o tradizionale poteva fargli confondere la casta fanciulla fiorentina con le Lesbie, con le Corinne, con le Cinzie e le Delie de' suoi prediletti poeti latini?

Circa alla interpretazione data da Gabriele Rossetti dirò poche parole, dacchè mio disegno non è tanto di negare e combattere le speciali significazioni allegoriche alle quali vuolsi accomodare il nome di Beatrice, quanto di negare e combattere il sistema di farne una astrazione, un simbolo senza entità reale, sia esso filosofico o politico. Dappoichè, quando si disconosce l'amore di

Dante e la esistenza storica di Beatrice, tanto vale una spiegazione morale, quanto una d'altra natura: chè in un modo o nell'altro si giunge sempre a quest' ultimo punto comune, di negare, cioè, la ispirazione che vien dall'affetto, negando a Dante, giovane di venticinque anni e poeta, quei sentimenti che si concedono, non dirò ad altri poeti, ma a tutti quanti gli uomini.

Pel Rossetti, adunque, non solo la Vita Nuova e la Commedia ma tutta la nostra antica letteratura, non è altro che perpetuo simbolismo e linguaggio settario. E non solamente i poeti, ma anche i prosatori di cotesta età, vanno intesi altrimenti da quello che suona la parola nel suo proprio e comune significato. Liriche, poemi, novelle del dugento e del trecento non sono opere ispirate dall'arte, ma meditata combinazione e faticoso accozzamento di parole e di forme con speciale senso allegorico; la chiave del quale ritrovata ai dì nostri dal Rossetti, era in allora posseduta soltanto da taluni adepti. Dopo la strage degli Albigesi, la caduta degli Svevi e il sormontare di parte guelfa in tutta Italia, fu necessario ai Ghibellini, secondo pensa il Rossetti, l'adoperare cotesto linguaggio di convenzione; nel quale anche la parola Beatrice ha un suo proprio valore datole da Dante, che sostituì questa alla forma generica di donna o madonna, per significare con essa la Monarchia Imperiale, in contrapposto di suono e di senso con Meretrice che designava la Corte di Roma (1).

Molto corredo di erudizione storica e filosofica ha raccolto il sig. Francesco Perez per venire a concludere che la donna celebrata da Dante, non « altro può essere se non la intelligenza attiva, illuminatrice dell' intelletto possibile che unendosi a

(') I sogni del Rossetti trovarono poco favore in Italia, anche forse perchè le scritture dell'esule napoletano vi furono poco conosciute. Il solo, a nostra notizia, che se ne mostrasse persuaso fu GIUSEPPE LA FARINA, come si vede dal suo Epistolario (Milano, Treves, 1869, I, passim.). Ardente seguace delle idee ghibelline, infiammato d'amore per la libertà d'Italia, cospiratore sin dalla gioventù, non è strano che lo scrittore e patriotta messinese facesse sue le dottrine del Rossetti.

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