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quello, si fa beatrice beata (1) ». Non a tutti, crediamo, questa affermazione sembrerà di « matematica evidenza»: e non che a quanti ascoltino per la prima volta il nuovo responso, neppur a coloro stessi i quali abbiano seguitato l'autore nel suo faticosocammino a traverso le età dei Padri e degli Scolastici, fra i neoplatonici di Alessandria e i filosofi arabi dell'Oriente e della Spagna. Nè noi negheremo che il simbolismo prevalesse nell' età di mezzo, e si estendesse ad ogni genere di discipline e ad ogni forma di artistica e dottrinale manifestazione; neghiamo bensì che il significato simbolico distruggesse al tutto la espressione letterale e la reale sembianza degli obbietti ai quali si sovrapponeva, e senza cui, anzi, non poteva sussistere. Certo, vuolsi, secondo le dottrine dell'età media, chiaramente espresse da Agostino, «anteporre il senso recondito al letterale, come l'anima al corpo ma ciò non vuol dire che l'uno, sebbene abbassato e diminuito di pregio, venisse dall'altro interamente annullato: e Dante stesso nel Convito esplicitamente professa che « sempre lo litterale deve andare innanzi, siccome quello nella cui sentenza gli altri sono inchiusi; e massimamente all'allegorico è impossibile, perocchè in ciascuna cosa che ha 'l di dentro e 'l di fuori, è impossibile venire al dentro se prima non si viene al di fuori (3) » . Or noi concederemmo che Beatrice allegoricamente raffiguri l' Intelligenza attiva o Sapienza (4), sebbene ci paia poco conforme all' alto ingegno e alla virtù plastica del poeta, ch'egli abbia talmente nascosto e involuto il suo concetto da volerci secent' anni prima che altri lo ponesse in luce: ma non possiamo punto concordare col Perez quando egli non appoggia il simbolo a nulla di reale e di vivente, e pretendendo che Beatrice sia designazione di qualità, vuol che cotesto nome si abbia a scrivere col b piccolo (5).

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(3) Convito, II, 1. Ma vedi tutto questo capitolo rilevantissimo, per ben conoscere il senso e l'uso dell'allegoria nelle opere di Dante.

(4) PEREZ, op. cit., p. 217.

(5) ID. id., p. 81.

Secondo il nostro autore, adunque, Beatrice vuol dire che bea, al modo stesso come donna vuol significare che signoreggia, predomina. Or questo fondamento di tutta la teorica del Perez, standosi tutto sopra una lettera minuscola anzi che majuscola, può parer facilmente infido e puerile; ma certo è che nelle opere di Dante molte volte, anzi il più delle volte, coteste due parole hanno un senso ben definito, e appellano a persona di questo secolo e a femmina vivente. Ed il Perez può bene nel sunto che dà della Vita Nuova chiamar sempre l'amata di Dante « la beatrice (') »: ma il fatto è che essa appare donna e non personificazione nella maggior parte dei luoghi ove di lei è fatta parola (2); e che resterebbe sempre a sapere che voglia dire allegoricamente l'altro nome di Bice (3), che sì di sovente vien dato dal poeta all'amata sua.

Povera Beatrice! A dir del Filelfo, essa non è altro che un vano oggetto di finti amori: secondo il Biscioni non è al più che una vicina di casa del poeta: al Rossetti serve soltanto per far contrapposto col suo nome gentile, all'infamato nome del vizio e della corruzione, e il Perez la condan na, senz'altro, alla maxima capitis diminutio! (4).

Ultimo (5) e non meno acerrimo oppugnatore della realtà sto

(1) ID. id., pag. 81 e segg.

(2) Io vidi monna Vanna e monna Bice (V. N. §. xxiv) Di tutto me pur per B e per ice (Purg. VII, 14).

(3) Potrebbesi fors' anco ammettere col PEREZ che il nome di Beatrice sia appellativo di virtù in alcuni passi: per es.: la gentilissima Beatrice (V. N., §. XXII): questa gloriosa Beatrice (Id. §. XL): Ellu ha perduto la sua Beatrice (Id. §. XL): quella gloriosa Beatrice ((onv. II, 2), ove però nulla osta che quel nome si prenda anche per appellativo di donna di questo mondo; ma certo non si piegano all'interpretazione del PEREZ questi altri passi: Ita n' Beatrice in l'alto cielo (V. N. §. XXXII): Chiamo Beatrice e dico: or se'tu morta? (Id. §. xxxII): Perocchè spesso ricorda Beatrice (Id. §. XLI);' quella viva Beatrice beata (Conv. II, 9) ec.

() Vi è perfino chi è giunto a scrivere: 0 il più mendace o il più scellerato ipocrita della terra sarebbe Dante se Beatrice nella V. N. non fosse un' allegoria. Risparmiamo al lettore la dimostrazione del terribile dilemma!

(5) Avrei voluto parlare anche della spiegazione della Vita Nuova e della Beatrice data dal Prof. Silvestro Centofanti, già onore e lume dell' Univer

rica di Beatrice, è il prof. Adolfo Bartoli, secondo il quale essa non è « la Sapienza, come voleva il Biscioni...non la Monarchia Imperiale del Rossetti, non l'Intelligenza attiva del Perez: ma la donna, la donna terrena contemplata nelle più nobili, più alte, più celesti sue qualità: guardata coll'occhio un po' mistico degli uomini medievali in genere, ed in ispecie dei Fiorentini Bianchi della fine del secolo XIII; la donna terrena che a poco a poco acquista qualche cosa dell' angiolo: un essere vago, astratto, impalpabile che si concretizza in ogni volto gentile di bella fanciulla, per tornar poi a sfumare nelle forme più aeree... La Beatrice dei poeti del nuovo stile non è altro che la oggettivazione di una intima profonda soggettività (1) ». Pel Bartoli adunque, non solo Beatrice, e chiediam venia se torniamo al B grande, non è persona reale: ma e Giovanna e Lagia e Selvaggia e tutte le altre donne celebrate dai poeti del dolce stil nuovo, non esistono anch' esse se non « dentro alla mente, alla fantasia, allo spirito (2) » dei loro cantori.

Non capovolgiamo la storia, dice a ragione il Bartoli (3): ed è questo appunto che noi pure chiediamo. « Anche noi moderni, osserva egli, abbiamo forse in certi momenti della nostra esistenza provato qualche cosa di simile. Abbiamo dato vita ad un sogno della nostra mente, abbiamo vagheggiata questa parvenza come cosa reale, ci siamo affezionati a questa illusione. Ma quanto più non doverono esser potenti quei cuori e quelle fantasie medievali nell'oggettivare i loro sentimenti (4)! ». Ma è qui precisamente il

sità di Pisa. Ma il suo sistema noto finora soltanto per una Lezione ultima sulla V. N. stampata a Padova nel 1845, e che ci offre gli ultimi resultati e non il processo critico della sua interpretazione allegorica; le affermazioni, non le prove. Se il sig. Leopoldo Tanfani, erede delle carte del defunto filosofo, pubblicherà, come ne ha intenzione, i lavori danteschi del Centɔfanti, ci sarà dato di meglio valutare tutto il suo sistema interpretativo. (1) Storia della lett. ital., Firenze, Sansoni, 1881, IV, 191-2.

(2) ID. ibid. p. 196.

(3) ID. ibid. p. 194. (*) ID. ibid. p. 192.

punto in che dissentiamo dall'amico nostro. Noi moderni, venuti dopo l'uso e l'abuso dell' analisi, dopo la critica della ragion pura e quella della ragion pratica, anzi dopo ogni sorta di critica esercitata a dritto o a rovescio sopra ogni cosa, sul relativo e sull'assoluto, sul reale e sull'ideale, sull'arte, sulla religione, sulla storia, sulla vita, noi moderni siamo capaci di coteste quintessenze del sentimento e del pensiero: ma non ne erano capaci le corpulente fantasie e i rudi ma gagliardi intelletti dell' età media, che miravano a riunire, assommare, condensare le cose nell' esser loro più compiuto, quanto noi invece a separarle e distinguerle nei loro elementi. La chimica è per noi entrata da per tutto: e noi moderni siamo ben capaci a forza di analisi, e come per lambicco, di arrivare al concetto ideale della donna, e dar ad esso una certa nebulosa parvenza: e a tal creazione fantastica, a siffatta cara beltà da noi fabbricata, consacrare il canto e la vita. Un poeta che canti la donna al modo come descrive il Bartoli, è possibile ai di nostri e potrà esser compreso dalla sua generazione; ma un intelletto del dugento non era a ciò adatto, nè l'età sua lo avrebbe capito. Cotesti antichi dal reale salivano su su, di collo in collo, all' ideale: non andavano all'ideale di slancio, nè avevano penne a tal volo. Oggettivavano, diremo così perchè queste formole piacciono al nostro dotto avversario, oggettivavano l'ideale, ma in qualche cosa di reale: anzi da questo partivano per giungere a quello. La Filosofia, la Filologia, l'Intelligenza, la Natura rivestivano di corpo umano, tanto abborrivano dall' astratto, dal vago, dall' impalpabile! Dante poi, e questo è ciò che lo distingue da Boezio e dai poeti francesi e loro imitatori, sfuggì la personificazione, che è pur un modo di concretar l'astratto, e volendo che sotto vesta di figura o di colore retorico si trovasse il reale, si giovò invece per l'arte sua della persona. Si guardi invero com'egli procede nell'uso degli enti allegorici introdotti nella Commedia. Prima abbiamo la persona, l'ente storico, vero, reale: poi, su di essa si adatta il simbolo. Egli non crea, scomponendo e ricomponendo, un tipo della ragione umana, della filosofia morale, ma a ciò si giova del per

sonaggio storico di Virgilio: non crea un tipo della umana libertà, della libertà interiore, ma dà questo significato al personaggio storico di Catone, e così via. Tutto il mondo sopranaturale ch' egli rappresenta ha come una entità reale: è costruito, è matematicamente architettato in numero, pondere et mensura: ogni individuo da lui effigiato non è generica figura di vizio o di virtù, ma essere umano effettivamente vissuto. E così è di Beatrice, che non è la donna in genere, « un essere vago, astratto, impalpabile, che si concretizza in ogni volto gentile di bella fanciulla »: ma una donna, vissuta al mondo, amata, celebrata, pianta da Dante, e da lui innalzata a rappresentare una idea di sublime perfezione fisica e morale. Conforme all'arte di Dante, per la quale non vi ha nulla di vuoto, di vacuo, di sfumato, di vaporoso, Beatrice è donna prima di esser simbolo, e può esser simbolo appunto perchè fu donna. Noi, contemporanei del Byron, del Goethe, del Leopardi, del De Musset, del Lamartine, che proviamo, come ben dice il Bartoli, tutte « le torture del sentimento, le sue raffinatezze, le sue malattie, il suo stato di orgasmo continuo (1) », noi possiamo ben avere di cotesti morbosi appassionamenti per le creazioni del nostro spirito, formate industriosamente col separare l'accidentale e l'individuale per giungere all'ideale essenza: ma i nostri antichi procedevano in altro modo, realizzando fortemente e scolpitamente l'astratto: e Dante poi in ciò superò i suoi coetanei, che del reale si fece scala all' ideale, e trovò così fra i due termini quel giusto contemperamento, dietro il quale invano si affatica l'arte moderna, che o si sottilizza e si evapora, o miseramente si ravvolge nel fango. Ma se l'arte è impotente a riprodurre i modi di Dante non li disconosca almeno la critica, nè voglia al secolo XIII recare le abitudini intellettuali del xix. (2).

(1) ID. ibid., p. 194.

(2) Non volendo nè potendo fare del sistema del Bartoli una compiuta esposizione e una continuata analisi critica, ci siamo contentati di darne una idea generale; ma, crediamo, compiuta ed esatta. Qui in nota aggiungiamo alcune osservazioni spicciole. - A pag. 193 ei dice: Come spiegherebbero

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