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cetto della virtù, vedendo come viene ricompensata e distinta. È massima certa, dice il celebre monsig. de la Roque che un uomo, per la virtù reso comTM mendabile, viene nobilitato dalla cavalleria, essendo la nobiltà nella intenzione del principe, e seguendola la cavalleria (1) –. La nascita ( scrive l'autore del dizionario portatile degli Ordini militari ) fa il gentiluomo; la virtù sola fa il cavaliere -. E che la cosa sia di questa maniera, gettiamo un'occhiata sulla storia di tutti i tempi, e di tutte le civilizzate nazioni. Interrogato Falaride primo re di Agrigento e uomo assai dotto, da Assioco, in che credeva consistere la nobiltà, benchè tiranno rispose :- Io non trovo altra vera nobiltà che la virtù : tutte le altre cose sono soggette alla gran volubilità dell'instabil mondo, ed uno, quantunque nato in basso ed umile stato, purchè sia virtuoso e buono, può divenire nobilissimo. - Democrito, quel gran filosofo diceva: - La nobiltà degli uomini non in altro consiste, che nella virtù, e nella bontà de'costumi-. S. Gian Crisostomo, quel gran dottore, scrisse : -La virtù dell'animo e non la nobiltà de' nostri maggiori fa l'uomo nobile chiaro, ed illustre. - Leggiamo Giovenale nell'ottava delle sue satire.

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» Tota licet veteres exornent undique cerae

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Atria, nobilitas sola est, atque unica virtus.,, Ornin pur (cosi l'illustre traduttore) simulacri in doppia fila

Gli atri capaci, nobiltà verace

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(1) Trattato della nobiltà cap. 22.
(2) Satira VIII.

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Cicerone, rispondendo a quanto contro di lui diceva Salustio suo capitale nemico, proruppe in queste espressioni, in cui chiaramente ci fece conoscere qual fosse il parer suo intorno alla vera nobiltà :- Ego meis majoribus virtute mea præluxi, ut si prius noti non fuerint, a me accipiant initium memoriæ suæ. In tuis vita, quam turpiter egisti, magnas obfudisti tenebras; ut etiam, si fuerint egregii cives, certe in oblivionem venerunt. Quare noli mihi antiquos viros objectare; satius enim est me meis rebus gestis florere, quam majorum opinione niti, et ita virtute, ut ego sim posteris meis nobilitatis initium, et virtutis exemplum Ed oh! come ben Giovenale descrive quest' uomo nella satira ottava, e quanto eccellentemente ce lo rappresenta in versi italiani l'erudito ed eloquente Cesarotti, allorchè dalle trame di Catilina e Cetego salva Roma.

Quest' uom novello
Quest'oscuro Arpinate, e sol poc' anzi
Municipale cavalier, or solo,

Mentre ognun tace di terror compreso,
Forza adopra, e consiglio, e lingua ed arte.
E provvede, e ripara, e s' affaccenda
Di tutti a scampo. Quindi a lui la toga
Più gloria meritò, che non n'estorse,
In Leucade e Tassalia, Ottavio un tempo
Colla spada tuttor lorda e grondante
Di sangue cittadin. Ma te senz' arme,
Tullio divin, te salvator, te padre,
D'un sol grido esclamò libera Roma (1).

(1) Satira 8. I nobili pag. 285.

Fabio Quintiliano (1) fu del medesimo parere, allorchè scrisse: Quis generosissimus? Nonne qui optimus? Non qui claritate nascendi, sed qui virtute maxime excellit -. E il maestro della morale non ci lasciò scritta una tal verità in questi termini ? Quidam avitas, paternasque flagitiis obscurarunt immagines. Quidam ignobiles nati fecerunt posteris genus. In illis non servasse quod acceperunt, maximum dedecus. In his, quod nemo dederat, fecisse, laudabile - (2). Dionigi d'Alicarnasso, e Valerio Massimo non ci riferiscono che Tarquinio Prisco, che fu re segnalato degli antichi romani, nacque di padre mercante, e di madre serva? E chi fu egli Mario, se lo consideriamo nello stato in cui nacque, di bassa estrazione, ma divenuto grande per le moltiplici azioni sue virtuose? Eccovelo quest' altro Arpinate, che dall' aratro passa a liberatore della patria, di Roma; ed eccovelo ben dipinto da Giovenale stesso, dall' eccellente suo traduttore a noi così ben presentato (3).

L'altro d'Arpin chi non rammenta? Ei prima

Prezzolato bifolco iva sudando

Sull'aratro non suo; passato al campo

Fu posto il vallo ad afforzar, fors' anco

Battuto a colpi di nodosa vite,

Se a maneggiar la pialla era men pronto.
Pur sol da questo villanzon negletto
Roma tremante nel fatal cimento

(1) Lib.5 cap. 11.

(2) Seneca.

(3) Satir. sud. pag. 285.

e

Trovò schermo e salvezza. Egli de' Cimbri
Le ruinose smisurate posse
Affrontò, sperperò. Stupiro i corvi
Volanti in fretta al sanguinoso pasto,
Nel mirar que' cadaveri giganti
Non mai veduti. Tutta a lui se stessa
Dovè la patria. Ella de' nomi il pregio
Meglio distinse 'I nobile collega (1)

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Cesse al plebeo del primo lauro il vanto.

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Pertinace era figlio di un carbonaro. Giustino I era sortito dalla casa di un bifolco e Marziano che sposò Pulcheria dopo la morte di Teodosio il giovane, era di una nascita oscurissima. Sentite per l'ultimo cosa ne scrisse ne' suoi pensieri a' nostri giorni il conte d'Oxenstirn (2) - Melius est clarum fieri, quam nasci. Virtutem, si vis nobilis esse cole. - Sola virtus homines honestat; haec est perennis unda nobilitatis, honoris, gloriæ (3). Negli antichi esempj di sopra proposti eccovi un'idea del vero merito e chiaramente accennata la vera strada, e la più legittima per salire alla nobiltà. E per quale altro mezzo s'innalzarono anche a' giorni nostri gli uomini li più volgari, se non per la strada del merito e della virtù? Il principe che lo conosce, con l'onorifica marca di cavaliere ne proclama l' estimazione e nell'atto che premia i meritevoli eccita gli altri a divenir virtuosi.

(1) Catullo unico di famiglia nobilissima fu collega di Mario nel comando della guerra contro i Cimbri. Egli partecipò mate rialmente del suo trionfo, ma il merito e la gloria furono unicamente di Mario.

(2) Pensieri, e riflessioni morali pag. 10.

(3) Carol. Paschal. Censura animi ingrati pag. 14 edit. Parisiis 1601.

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Non v'ha dubbio che a risvegliare l'emulazione, produttrice dell'eccellenza e perfezione, giovano mirabilmente gli onori e il Sovrano, nel dispensarli, osserva sempre le leggi della ragione, dell'intelligenza della giustizia. Senza di queste la società rimarrebbe priva d'un'infinità di macchine, dalle quali le più gloriose mosse e le azioni più nobili derivano. Se la corona castrense se la navale se l'ossidionale, la murale, la civica, non avessero da' greci i romani derivata e nella loro società stabilita, forse niuno de' suoi soldati si sarebbe scagliato a penetrare il primo nel campo nemico, pochi avrebbero battute le flotte navali, pochissimi salvate avrebbero le assediate città, la vita de'cittadini, e montati i terrapieni. Questa moneta in se stessa vilissima, questi serti di quercia, di mirto, di fieno, faceva d'uopo tenere in pregio per avere i Scipioni, i Cammilli, i Metelli. Senza d'essa le mura romane non avrebbero vedute ovazioni né trionfi. Le Aquile latine portato non avrebbero e sottomesso all' augusto dominio i Cimbri, i Galli, i Sarmati, e l'ultima Tule, ed il suolo di Quirino prodotto non avrebbe che sozze greggie di Epicurei, molli ed inutili Sibariti, Giulie, Messaline, Poppee.

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Il valore nelle armi unito ad una fina prudenza, lo studio delle lettere che guida al gabinetto de' principi, alle cattedre più luminose, alla giudicatura, ai governi, e situa gli uomini in un grado meritevole di premi e munificenze del principe, traggono dalla mediocre e sovente da vile estrazione i popolari, e li collocano nella più rispettabile situazione, investendoli di un carattere di distinzione. Ma la sola fatica, lo studio, ed una buona morale conducon l'uomo a

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