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stra quanto impegno avesse nell' animare e proteggere le scienze così scrivendogli: - Defuit quorundam ingeniis imperatorum favor, qui non secus doctrine deditas mentes irrigare atque alere consuevit, quasi cliviosi tramitis supercilio rivus elicitus scaturientibus venis arva arentia temperavit. Sæculo meo scribentes, dicentesque non aliter benignus auditus quam lenis aura prosequitur: denique etiam studiis meritum a me testimonium non negatur etc. - Te stimonio ancor più chiaro e sicuro del favore di Costantino prestato alle scienze, è la legge a tal fine da lui pubblicata. Ella è inserita nel Codice di Giustiniano (1), e in essa egli comanda, che i medici, e singolarmente gli archiatri e i grammatici, e tutti generalmente i professori delle belle arti, e i dottori delle leggi, insiem colle mogli, co' figli, e con tutte le cose loro esenti siano da ogni pubblica gravezza, e che niuno ardisca recar loro ingiuria o noja di sorte alcuna, e che loro si paghino i dovuti stipendi, acciocchè più agevolmente possano instruir molti nelle arti e negli studi. Tre leggi di Costantino di somigliante argomento, e che concedono ai medici ed ai professori i privilegi medesimi, trovansi ancora nel codice di Teodosio (2); se non che ivi dichiara, che i professori delle scienze, benchè non debbano essere costretti ad accettare le cariche della repubblica, possono per altro accettarle, quando lor piaccia - Fungi eos honoribus volentes pemittimus, invitos non cogimus- • Un'altra prova del suo amore per le scienze diè Co

(1) Lib. X tit. III c. VI.

(2) Lib. XIII tit. III. lib. I. II. III.

stantino ne' privilegi, e nella libertà, di cui onorò Atene, ove esse fiorivano felicemente; di che ci ha lasciato memoria lo stesso suo nemico e biasimatore Giuliano (1). Ciò non ostante gli eruditi Enciclopedisti, o, a dir meglio, il signor Diderot, sembrano accusar Costantino, come se fosse così rozzo, che appena sapesse leggere, (2) quando Eutropio afferma di lui, che - Civilibus artibus, et liberalibus studiis deditus erat, assectator justitiae et amoris -. Spero che tali notizie non siano dispiaciute ai miei leggitori ad onta di una forse troppo prolissa digressione, ma voluta in certo modo a giustificazione di Costantino.

Dopo aver parlato della nobiltà che acquista l'uomo nato non nobile e dichiarato cavaliere dal sovrano e di essermi esteso a lungo sul merito, che conduce alla cavalleria l'uomo scienziato, l'artista eccellente, il militar virtuoso, vuole l'assuuto intrapreso che, progredendo ad indicare i privilegi concessi ai cavalieri dello Speron d'oro, riferisca l'opinione di molti, e particolarmente di alcuni giureconsulti che sostengono passare ai figli la nobiltà di quello che fu della Croce insignito. Ascoltiamo in primo luogo la decisione del giureconsulto monsignor Luigi Ricci che parla di quest'Ordine equestre conferito dall'Imperatore Carlo V ad uno non nobile. Descendens quoque a stipite equitis calcaris aurei dicitur nobilis. Nobilitas enim ab uno acquisita descendit ad alios ex suo stipite venientes; et cum honor hujus militiæ, et, ut nos dicimus, cavalleria, tribuatur a prin

(1) Oratio I.

(2) Enciclop. T. IV artic. Ecletisme.

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cipe immediate, vel ab alio ab eodem principe potestatem habente honorem hunc tribuendi intrat de plano conclusio, quod beneficium principis est late interpretandum – (1).

Il pontefice Pio IV concesse a' suoi cavalieri Pii moltissimi privilegi, come vedemmo; ma fra gli altri volle che tutti quelli, i quali venissero aggregati a quell'Ordine, essi non meno che i loro discendenti fossero riputati nobili, come ce ne assicura il cavaliere abate Giustiniani. Si è veduto di sopra che questo pontefice, volendo maggiormente qualificare i suoi cavalieri, decretò che ipso jure s' intendessero aggregati all' antichissimo Ordine Aureato, o sia dello Speron d'oro. È ben credibile che egli sapesse che quell' ordine godeva di quelle prerogative; poichè l'aggregare a titolo di maggiore onoranza un cavaliere già dichiarato nobile co' suoi discendenti ad altro Ordine, che non avesse in se una marca consimile di distinzione sarebbe stato più tosto un volere dar lustro che riceverlo: lo che a buona ragione non è credibile. Lo stesso aveva pur fatto Sisto V co' suoi cavalieri Lauretani; lo che prova che da una tale aggregazione onor ne venissc. Ma usciamo dall'Italia. Carlo Loisen tra francesi nel suo trattato degli Ordini della nobiltà nel lib. 1, cap. 6, num. 37, e cap. 9, numer. 8, sostiene che chiunque vien fatto cava

liere dal Sovrano è assolutamente nobile con tutti i suoi posteri Monsignor de la Roque (2) cita mol

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ti altri scrittori, che provano la stessa cosa, cioè

(1) Decision. 183 n. 5.

(2) Trattato della nobiltà. Cap. 22.

Renato Chopin sopra il 93 articolo del costume d'Angiò; Fiorentino di Theriat nel suo trattato della nobiltà civile part. 2, num. 151; l'autore del libro intitolato - Jurisprudentia heroica de nobilitate -; Ottotone di Fresingue; Andrea Favin; e fra gl'italiani giureconsulti nomina Baldo ed altri, i passi dei quali possono vedersi presso il medesimo.

Si è detto che la cavalleria onoraria si dà dai sovrani per guiderdone al merito di coloro, che si sono segnalati per i loro rari talenti e grandi qualità, o per considerabili servigi prestati alla religione, al principe, allo stato cc. Cotesta dignità, a sentimento del lodato padre Onorato, dà a colui che n'è fregiato dei privilegi o dei diritti che non hanno i nobili ed i gentiluomini che hanno anche il titolo di conti: ed il grado di onore, e di gloria a cui innalza la Cavalleria, ha sovente eccitato il desiderio in questi di aggiungnere ai loro titoli quello di cavaliere. Non è dunque da supporsi mai che questo grado possa andare disgiunto dalla nobiltà. Il celebre Codè con altri scrittori francesi paragonano la cavalleria al Patriziato dei Romani, che non solo omnem natalium maculam eluebat, ma che ad altri onori e gradi l'innalzava.

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Che poi l'ordine aureato o sia dello Speron d'oro accresca lustro alle famiglie, anche prima nobili, ce ne assicura il dotto ed erudito monsignore Francesco Agostino Della Chiesa vescovo di Saluzzo nella sua opera intitolata - Corona reale di Savoja dove fa gloriosa memoria di alcuni cavalieri dello Speron d'oro usciti da molte nobilissime case di quelle città che insignite di quest' Ordine hanno avuti im-

pieghi molto ragguardevoli presso gran principi, ambascerie presso monarchi, pregiandosi, che nella sua famiglia per armi, per toghe, croci e mitre nobilissima, vi siano stati dei suoi agnati, ed ascendenti.

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Fuvvi chi sul cadere del secolo XVII poco o nulla forse informato della nobiltà di quest' Ordine e della sua vera origine, osò dire che egli era non solamente decaduto in gran parte di riputazioae per la qualità dei cavalieri creati in diversi tempi, per lo che erasi ridotto in minore stima presso le corti dei principi; ma aggiunse, che egli poteva essere levato dal numero degli ordini cavallereschi senza incontrare la menoma disapprovazione, volendo con un erroneo discorso che il difetto particolare venga ad oscurare il merito in generale: non lasciando poi di protestare, che egli parlava solamente in ordine agl' indegni di quest'Ordine, riserbando l'onore alle persone degne, che colla nobiltà, e molto più colla virtù, fanno onore a questo cavalierato. Ma a quell'ardito censore ben rispose nel suo trattato il Bergamaschi con fargli rilevare i pregi tutti dell' Ordine, finendo poi con queste espressioni: - Dunque non si parli di avvilire la dignità, l'ordine, ed il cavalierato ma se si vuol fare il censore si taccia ciò che può tacciarsi, si censuri il soggetto particolare se si crede meritevole di censura; ma non si tocchi la dignità, l'ordine, il cavalierato. Chi ha avuti i principj della logica saprà benissimo che dal particolare all'universale è un mal modo di argomentare Vero è che, forse per una inavveduta facilità di alcune rispettabili famiglie d'Italia, alle quali i sommi pontefici accordarono il privilegio

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