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dell'autore, ebbe a chiamare quel commento il più dotto e meditato tra i moderni. 1

Fu nel 1888 che il Pasqualigo cominciò a dettare i suoi pensieri sull' allegoria della Vita Nova; ma di poco potè avanzare lo studio, chè altro ideale doveva ritorcere tutta la sua cura. Voleva egli fondare una rivista di cose dantesche, che dovesse rappresentare fedelmente, fin là dov'è possibile, tutto quanto avviene entro l'ambito degli studî danteschi nella penisola e fuori; che dovesse trattare questioni importanti non solamente circa la Divina Commedia, ma ancora sopra le Opere Minori; che si ingegnasse di sciogliere l'ancor chiuso enigma della Vita Nova e di ridurre alla più probabile lezione il Convito. 2 Vasto, bello ed utile era il programma; ma alla sua attuazione si frapponevano mille difficoltà materiali e morali. Con animo però che vince ogni battaglia, seppe egli superare ogni ostacolo, seppe vincere ogni difficoltà e nell'aprile 1890 mandava in luce il primo fascicolo della rivista, alla quale aveva dato nome L'Alighieri. E così finalmente per merito ed iniziativa di questo veneto patrizio veniva colmato un vuoto, che certo non faceva onore al

bel paese ove il sì suona.

La pubblicazione di questo periodico, pubblicazione che a detta di alcuni suoi intimi gli faceva perdere il sonno e i polsi, non gli impedì di continuare a stendere il commento alla Vita Nova. Tutti i ritagli di tempo, che gli sopravanzavano alla direzione e collaborazione

1 Salvadori G.

La poesia giovanile e la canzone d'amore di Guido Cavalcanti, studî. Roma Società editrice Dante Alighieri 1895, a pag. 70.

2 Vedi l'Alighieri anno I, pag. 1-4.

della rivista, egli dedicava ad esso; e già l'aveva condotto assai bene innanzi, quando morte crudele lo tolse agli studî ed all'affetto dei suoi cari.

Il figlio Dott. Luigi, giovane coltissimo e nelle legali e nelle letterarie discipline, incominciò a dare alle stampe l'incompiuta opera del padre in due fascicoli dell'Alighieri e cessato questo periodico, tutto compreso come era d'amore e venerazione per la cara immagine paterna, pensò di offrirla agli studiosi in un volume, e per sua cura uscirono i primi fogli. La sua bell'anima però presto nauseata della caducità dei beni mondani a null'altro anelava, che a ricongiungersi coll' amato genitore nei gaudii eterni del Paradiso. E purtroppo immaturamente cessava di vivere questo fiore, che tanta speranza aveva destato di sè.

Alla edizione dell'opera allora attese il fratello Prof. Cristoforo, ed ora è pubblicata per cura dell'altro figlio tenente Marc' Antonio, che intende così di onorare la memoria del Padre, e assecondare l'ardente brama del fratello.

L'opera, come dissi, è incompleta non essendo arrivato il chiaro autore a commentare che i primi tre paragrafi dello scritto di Dante. Pure può dirsi completa per questo, che la tesi della spiritualità di Beatrice e del vero significato della allegoria contenuta nella Vita Nova vi è trattata pienamente ed in modo affatto esauriente.

Non molti oggigiorno condivideranno le opinioni del Pasqualigo, lo so; tutti però dovranno ammirarne la straordinaria coltura, e la forza dell'argomentare. Così pure tutti potranno ritrarre qualche utile dalla lettura di questo dotto scritto.

NICOLÒ DE' CLARICINI DORNPACHER

Vita Nuova. Questo è il titolo vero, e non La Vita Nuova. Quando si fa precedere l'articolo, s' intende, elitticamente, quel libretto di Dante che si chiama Vita Nuova. Il Convito menziona tre volte la Vita Nuova: due volte ha « nella Vita Nuova » e una volta « della Vita Nuova », ma nel senso suddetto; perocchè la preposizione articolata qui si riferisce a nome di cosa nota e determinata. Così chi dice « il Convito di Dante » nomina quel noto suo libro, il cui vero titolo è Convito. BOCCACCIO, Vita di Dante: « Compose un suo volumetto, il quale egli intitolò: Vita Nuova ». Il titolo in tutte le antiche edizioni e codici venutici a mano, è senza l'articolo; il quale incontra la prima volta nell' edizione fiorentina annotata dal Fraticelli del 1839, e vedesi spesso nelle successive. Nel frontespizio può stare l'articolo, semprechè apparisca separato dal titolo; ma in capo al testo è da ommettere, scrivendo semplicemente: Vita Nuova. L'articolo determinativo incluso nel titolo disdice, perchè non fa se non limitare e impicciolire quella significazione larga, varia, indefinita, e direm quasi arcana che intese dare l'Autore alla parola Vita Nuova conforme alla natura del componimento. Potrebbe stare l'articolo determinativo se per Vita Nuova si dovesse intendere solamente la prima età del Poeta, o altrimenti

la rigenerazione in lui operata da Amore, o altra cosa particolare. Ma ciò non è, come si vedrà andando innanzi.

S. I.

In quella parte del libro della mia memoria, dinanzi alla quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit Vita Nova. Sotto la qual rubrica io trovo scritte molte cose e le parole, le quali è mio intendimento d'assemprare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenza.

In questo primo paragrafo si contiene il proemio di tutto il racconto.

IN QUELLA PARTE DEL LIBRO DELLA MIA MEMORIA. Si noti come il proemio cominci con una metafora, e come la metafora possa dirsi tolta dalla Scrittura. SAN TOMMASO, Somma Teol. 1, 24, 1: « Diciamo metaforicamente alcuna cosa essere scritta nel nostro intelletto, la quale noi teniamo ferma nella memoria, secondo quella parola (Prov. 3.) «Non dimenticare il mio insegnamento; e il tuo cuore guardi i miei comandamenti ». E poco dipoi dice « Scrivigli nelle tavole del tuo cuore ». Chè anche nei libri materiali alcuna cosa si scrive a fine di soccorrere alla memoria ».

Il testo (§. II, in fine) ha: Verrò a quelle parole, le quali sono scritte nella mia memoria sotto maggiori paragrafi. Non dice, nel libro della mia memoria, ma si sottintende. La memoria adunque è qui immaginata come un libro, e non come una persona che abbia il libro, In quella parte del libro della mia memoria. Il della qui non dinota relazione di appartenenza, ma di somiglianza; di che abbondano gli esempi. COMMEDIA, Purg. 1, 2: La navicella del mio ingegno. Ivi, Parad. 1, 113:

Lo gran mar dell' essere. Ivi, 26, 62: Il mar dell' amor torto. Ivi, Inf. 13, 108: Il prun dell'ombra sua molesta. Ivi, 16, 6: La pioggia dell'aspro martiro. Convito, 1, 2: Il coltello del mio giudicio. Ivi, 4, 24: La selva erronea di questa vita. Ivi, 3, 8: Finestre degli occhi. Ecc. Dove l'ingegno, l'essere, l'amor torto, l'ombra, l'aspro martiro, il giudicio, la vita, gli occhi, sono rassomigliati alla navicella, al mare, al pruno, alla pioggia, al coltello, ecc.

Eguale concetto troviamo altrove. COMMEDIA, Parad. 23, 54: Del libro che il preterito rassegna; per dire, della memoria. L'intelletto nostro registra nella memoria, a quella immagine che la mano scrive in un libro, quelle cose di cui egli abbisogna per pensare, intendere, ragionare e volere. RIME, Canz. E' m'incresce di me, ecc. Secondo che si trova Nel libro della mente che vien meno. Dove mente sta per memoria. COMMEDIA, Inf. 2, 8: O mente che scrivesti ciò ch'io vidi. Qui per mente pare s'intenda non la memoria, ma l'intelletto, come quello che scrive nella memoria, ossia nel libro della memoria. BIBBIA, Apoc. 3, 5. « Non cancellerò il nome di lui dal libro della vita ». Simili metonimie sono frequenti ne' libri sacri. COMMEDIA, Parad. 15, 50, chiama Dio il maggior volume U' non si muta mai bianco nè bruno. Ivi, 33, 86, vede in esso Dio Legato con amore in un volume - Ciò che per l'universo si squaderna. Ecc.

Altri immaginò la memoria fatta non come un libro, ma come un luogo molto spazioso e di gran contenenza. SANT'AGOSTINO, Confess. 10, 8 e 14. « Larghi campi e spaziosi ricetti.... gran sala.... gran seno.... ampio ripostiglio e infinito della memoria. Chi è colui che l'abbia mai penetrato sino al fondo?... Gli antri suoi, le caverne sue innumerabili, ed innumerabilmente piene d'innumerabili sorte di cose ».

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