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danno; lo sdegnarsi fortemente contro degli uomini non soggetti a sè, anzi liberi e di sè maggiori; e quel ch'è più con quegli stessi dai quali uno è stato generato; e lo sforzarsi inoltre, a tutto potere, di nuocere a quei più saggi di lui, perchè non si pone ad effetto quel tanto che vien comandato, il che eseguendosi tornerebbe a danno di chi comanda? Pertanto, se mirasi alla debolezza delle membra fanciullesche, ella è innocente; ma se mirasi all'animo, non è tale: ed io ho veduto e conosciuto per esperienza un cotal fanciullino geloso e invido in modo, che, avvegnachè non sapesse ancora parlare, mirava nondimeno con viso pallido e con amaro sguardo un altro fanciullo che seco insieme dalla stessa donna era allattato ».

Dal che tutto si scorge che l'appetito d'animo, ovvero di volontà, incomincia d'ordinario a prodursi nel fanciullino verso il declinare dell'infanzia, altrimenti detta prima infanzia, la quale prende il primo anno della vita estrauterina; e se diremo che ciò avvenga in generale intorno dell'ottavo mese dal nascimento, certo non parrà che ci dilunghiamo molto dal vero.

Il bambino nell'età di otto mesi incomincia a mostrare nelle infantili voglie l'indole sua. È allora ch'egli incomincia a dar segno della sua bontà; in altri termini è allora che nobiltà già prima seminata e infusa, e alcun tempo stata nascosta nella sua anima, germoglia in lui. COMMEDIA, Purg. 16. 85.

Esce di mano a lui che la vagheggia

Prima che sia a guisa di fanciulla,
Che piangendo e ridendo pargoleggia,

L'anima semplicetta, che sa nulla,

Salvo che, mossa da lieto fattore,
Volentier torna ad ciò che la trastulla.

Di picciol bene in pria sente sapore;

Quivi s'inganna e dietro ad esso corre,
Se guida o fren non torce il suo amore

Ivi, 18. 19.

L'animo, ch'è creato ad amar presto,

Ad ogni cosa è mobile che piace,
Tosto che dal piacere in atto è desto.
Vostra apprensiva da esser verace

Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,

Sì che l'animo ad essa volger face.

E se, rivolto, in ver di lei si piega,

Quel piegare è amor, quella è natura,
Che per piacer di nuovo in voi si lega

Però, là onde vegna l'intelletto

Delle prime notizie uom non sape,
E de' primi appetibili l'affetto,
Che sono in voi, sì come studio in ape

Di far lo mele; e questa prima voglia
Merto di lode o di biasmo non cape.
Or perchè a questa ogn'altra si raccoglia,
Innata v'è la virtù che consiglia,

E dell'assenso dee tener la soglia.
Quest' è il principio là onde si piglia

Cagion di meritare in voi, secondo

Che buoni o rei amori accoglie e viglia.

La prima voglia di cui parla il Poeta è quella voglia istintiva, ossia quell'appetito d'animo naturale, che negli uomini provetti di età può essere frenato e dominato dalla ragione. Questa prima voglia è appunto quella dell' uomo infante, da' Greci, come sopra si disse, chiamata hormen. Ella è quella voglia, quell'impeto che fa agire i poveri pazzi furiosi, paragonabili in questo agl' infanti. SANT'AGOSTINO, Città di Dio, 19. 4. « Li frenetici quando dicono, e fanno molte cose istolte, e straniere da buono costume e da buono proponimento, anzi contrarie in tutto, o che le veggiamo o pensiamo, se le consideriamo bene, appena possiamo ritenere le

lagrime, o forse non possiamo...... Certo l'impeto ovvero l'appetito della operazione, se chiamano bene in latino, quella che in greco si chiama hormen, perocchè eziandio la reputano tra le prime cose della natura, or non è esso quello per lo quale si fanno quelli miserabili movimenti ed atti delli pazzi, e tanto orribili fatti, quando si perde il conoscimento ed affogasi la ragione?».

Dante rassomiglia la nobiltà umana a un angelo. Molti cercano la felicità nelle cose di questo mondo, e non la trovano, essendo ella altrove; siccome le tre Marie che andate al sepolcro per trovare il Salvatore, trovarono invece chi lor disse: Egli non è qui. CONVITO, 4. 22. Gli epicurei, gli Stoici, e gli Peripatetici vanno al monimento, cioè al mondo presente, che è ricettacolo di corruttibili cose, e domandano il Salvatore, cioè la beatitudine, e non la trovano: ma uno giovane trovano in bianchi vestimenti, il quale, secondo la testimonianza di Matteo ed anco degli altri, era angelo di Dio. E però Matteo disse: « L'angelo di Dio discese dal cielo, e vegnendo volse la pietra, e sedea sopr'essa, e'l suo aspetto era come folgore, e le sue vestimenta erano come neve. » Questo angelo è questa nostra nobiltà, che da Dio viene, come detto è, che nella nostra ragione parla, e dice a ciascuna di queste sette, cioè a qualunque va cercando beatitudine nella vita attiva, che non è qui; ma vada e dicalo alli discepoli e a Pietro, cioè a coloro che 'l vanno cercando, e a coloro che sono sviati, siccome Pietro che l'avea negato, che in Galilea li precederà, cioè nella speculazione. Galilea è tanto a dire, quanto bianchezza. Bianchezza è un colore pieno di luce corporale più che nullo altro; e così la contemplazione è più piena di luce spirituale, che altra cosa che quaggiù sia. E dice: « e' precederà, >> e non dice « e' sarà con

νοί », a dare ad intendere che alla nostra contemplazione Dio sempre precede, nè mai lui giungere potemo qui, il quale è nostra beatitudine somma. E dice: « quivi lo vedrete, siccome e' disse »; cioè: quivi avrete della sua dolcezza, cioè della felicitade, siccome a voi è promesso qui; cioè siccome è stabilito che voi aver possiate.

Notisi in fine cosa che non conviene dimenticare. Questa nobiltà, o seme di felicità, o principio di bene, che dire si voglia, è tanto stretta in amicizia con la filosofia, che l'una non può stare senza dell'altra. CONVITO, 4. 30. Dico ad essa (cioè alla Canzone): di' a questa donna (cioè alla filosofia): « Io vo parlando dell' amica vostra. » Bene è sua amica nobiltade; che tanto l'una con l'altra s'ama, che nobiltà sempre la domanda, e filosofia non volge lo sguardo suo dolcissimo ad altra parte. Oh quanto e come bello adornamento è questo che nell' ultimo di questa canzone si dà ad essa, chiamandola amica di quella, la cui propria ragione è nel secretissimo della divina mente!

E procedendo troveremo che la filosofia dispettò Dante per cagione di Beatrice; la qual cosa raffrontata con la detta amistà che è tra la filosofia e la nobiltà darà occasione di fare a suo luogo delle utili considerazioni. V. N. §. XXXVIII. Voi (parla a' propri occhi) solevate far piangere chi vedea la vostra dolorosa condizione, ed ora pare che vogliate dimenticarlo per questa donna (la filosofia) che vi mira, e non vi mira solo in quanto le pesa della gloriosa donna (Beatrice) di cui pianger solete.

Abbiamo veduto poco addietro che i frutti della umana nobiltà sono di quattro maniere: 1° le buone disposizioni da natura date, cioè pietà e religione; 2o le laudabili passioni, cioè vergogna, misericordia; e altre molte; 3° le intellettuali e le morali virtù; 4° le corporali

bontadi, cioè bellezza, fortezza, ecc. Nella nobiltà sono tutte queste buone cose. La nobiltà tutte le comprende, come il cielo comprende tutte le stelle. Il primo lume che nel cielo della nobiltà apparisce è l'appetito d'animo; ossia quella buona disposizione da natura data che pietà s'addomanda. Ma pietà in quanto s'oppone a crudeltà. E a meglio comprendere il senso di questo vocabolo gioverà riferire la definizione che ne dà il Poeta. CONVITO, 2. 11. Due cose sono queste che.... massimamente congiunte (l'umiltà e la pietà) fanno della persona bene sperare, e massimamente la pietà, la quale fa risplendere ogni altra bontà col lume suo. Per che Virgilio, d' Enea parlando, in sua maggior lode pietoso il chiama: e non è pietà quella che crede la vulgar gente, cioè dolersi dell'altrui male; anzi è questo un suo speziale effetto, che si chiama misericordia; ed è passione. Ma pietade non è passione, anzi una nobile disposizione d'animo, apparecchiata di ricevere amore, misericordia, ed altre caritatevoli passioni.

Questa buona disposizione da natura data, che si chiama pietà incominciò a mostrarsi in Dante sul declinare della sua prima infanzia; e se per quello che diremo via via, sarà provato che Beatrice è appunto la pietà, sarà anche chiaro perchè ella sia venuta nel mondo presso a otto mesi dopo nato il Poeta.

Ella apparvemi vestita di nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno, cinta ed ornata alla guisa che alla sua giovanissima etade si conveniva.

La nobiltà adunque è rassomigliata a un cielo privo di ogni lume.

Ella è un campo oscuro apparecchiato a ricevere la luce delle bontà, delle laudabili passioni, delle virtù intellettuali e morali, ecc. Ella è insomma in potenza tutte queste cose. Le virtù vengono dalla nobiltà, come

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