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certamente a tutti affermare, ch' io con estrema affezione l'ho servita; dove la prego che non gli rincresca d'udire anco in escusazione mia qualche parola, ed intendere in qual condizione il servitore suo si ritrovi.

Voglio dunque che le signorie vostre eccellentissime sappiano di certo ch'io dopo che giunsi alli anni della discrezione, ebbi sempre in animo di prestare tutto il servizio che potevo alla patria mia, parendomi che ogni buon cittadino fosse obbligato a questo e con le facoltà sue e con la vita sua propria; ma a dir il vero ho ritrovato a questo desiderio mio sempre la fortuna contraria, perchè quand' io sarei stato forse più atto, allora non mi è vcnuto occasion di farlo; e quando poi io potevo meno vi sono stato

astretto.

M'aveva dopo la morte di mio padre la fortuna con una lunga e dannosa persecuzione tenuto faticato, ma poi per certo ben breve spazio lasciato in qualche quiete, quando, levatomi ogni ozio, convenne che anch' io, sebbene in tutto di tali negozj inesperto, ponessi cura alla recuperazione e governo delle cose mie familiari; le quali si ridussero con molta fatica e diligenza a tal che incominciavano alquanto a rassettarsi, e la quasi naufragata nave a ripararsi dalla tempesta passata, quando la medesima avversa fortuna, presto pentita di avermisi mostrata in qualche parte benigna, ne assalì poi in un tratto con impeto maggiore, che quasi in un medesimo punto mi tolse la moglie e la madre, lasciandomi tre piccoli figliuoli, delli quali il maggiore non aveva ancor finito quattr'anni, e casa mia senza alcun governo. Questo mi pose in tal travaglio, che, convenendo io solo prendermi il pensiero delle cose domestiche, che non aveva più avuto mai, ed insieme con li miei fratelli cominciar a mettere nuova disposizione alla eredità materna, che sola era tutta la facoltà nostra e ne aveva sommo bisogno, io non poteva applicar più l'animo non che l'opera mia ad altro. Ma pur allora parve a vostra serenità ch' io abbandonassi il tutto e andassi a Pesaro per ricondurre l'illustrissimo signor duca d' Urbino al servizio suo, e ridurlo quanto più presto si potesse al governo dell' esercito in Lombardia, il che, a confessar il vero, per le ragioni dette, mi fu grave assai; e pure per l'antico desiderio ch'io aveva di servirla, essendomi specialmente promesso di non m' intertenere in tal' espedizio

ne se non pochi giorni, non potei ricusare; e volse la buona fortuna di questa eccellentissima repubblica, la somma prudenza di vostra serenità, e la bontà di quel signore, che assicuratosi con le nuove provvisioni lo stato suo di Romagna, di che esso molto si temea, non solo si ricondusse facilmente e volentieri al servizio, ma innanzi che passassero due mesi, siccome desideravasi, si tornò al solito carico suo in Lombardia. Il che a me fu bene per benefizio della patria mia così grato, che poche cose mi potevan giungere in quel tempo più grate; ma pure alle cose mie familiari e a me giovò poco, che in tal tempo perdei lo suocero al cui governo aveva posto e lasciato i miei figliuoli, ed a me, appena giunto, occorse una egritudine tale che quasi mi condusse a morte: la qual poi che m'ebbe tenuto molti giorni oppresso pur mi lasciò, ma condizionato talinente, che per tutto il seguente inverno non potei ricuperare il pristino vigor mio, e ancora me ne risento.

Quando poi ricuperato pur un poco delle forze naturali appena avevo cominciato con i miei fratelli a disponer delle cose nostre, eccoti che un'altra volta volsero le signorie vostre, ancor che molti avessero di me migliori e più atti, astringermi a nuovo carico e mandarmi non pur a stare in luogo prossimo a casa mia, e per due mesi soli, ma a peregrinar di continuo seguitando la corte di un imperatore per diversi paesi lontanissimi dai nostri, senza saper quando dovessi di questa peregrinazione mia veder il fine. Nè mi fu concesso tempo pur d'una sola settimana non dico a poter lasciar qualche buon ordine alle cose mie, ed al governo de' miei poveri figliuoli, ma pure a fornirmi con manco interesse per le tenue facultà mie di quelle cose, che, per onorar almeno mediocremente questo eccellentissimo dominio, a me che ero del tutto sfornito necessariamente bisognavano; sì che convenni lasciare le cose nostre interrotte e tutte confuse e le mie poi proprie quasi senza ordine alcuno, ed abbandonar un'altra volta i figli, e questi, mancandomi ogn'altro modo, lasciar al governo di chi aveva tanto carico dei suoi proprj che a pena poteva sostenerlo. La qual cosa quant' io soffrissi duramente niuno credo potria stimarlo che non l'avesse provato; ma io so bene che lo provai poter veramente dire che a me tanto fu amaro che poco è più morte, vedendomi così assalito all'improvviso e sforzato abbandonar le cose mie più care, e lasciarle quasi tutte in mano della

fortuna. Pur tratto a forza dal medesimo volere e desiderio, non' seppi ancora negar tal peso, ma mettendovi le spalle, benchè assai deboli, sotto, mi posi ben con molte lacrime, come potei il meglio, in cammino. In questa mia peregrinazione mi convien pur dire, per esser così il vero, sento per li molti incomodi sostenuti in viaggi lunghi e sinistri, e stando fuor di casa mia in questa età, che non è già molto fresca, aver nella persona patito molto, e mi trovo aver dovuto spendere eccessivamente, prima in mettermi in ordine d'ogni cosa necessaria, e poi nel vivere o in cammino sopra le osterie, o stando dove erano ridotte le corti di un papa e d'un imperatore, e un esercito con moltissima o quasi tutta la nobiltà d'Italia, o dove si trovava il medesimo imperatore armato con un re e tutti quasi i principi e stati d'Alemagna insieme, in tempo d'una carestia sì dei fitti di casa come d'ogni cosa necessaria tale, che uomo non è che si ricordi d'una maggiore in Germania. Le quali cagioni hanno fatto che le spese mie sono state di sorte, che a forza in esse è andato le provvisioni avute appresso dalle signorie vostre illustrissime ed anco delle facoltà mia tanto, che alla tenuità d'esse è stata assai; ed infine ho conosciuto le cose mie di quà (per il poco ordine ch'io aveva potuto lasciar in esse, e per la egritudine sopragiunta a mio fratello che le teneva in governo, e per li altri carichi che aveva sì delle cose proprie sue come delle nostre comuni, a che non poteva solo senza me bastare) aver sentito non piccolo detrimento. Nondimeno per questa volta tutto ho sopportato e sopporto non solo pazientemente ma volentieri, sentendomi aver almeno questa soddisfazione e contento nell'animo mio, ch'io non sia stato nella patria mia per sempre inutil servo, ma a quella abbia qualche volta prestato il servizio mio qualunque esso si fosse, se non molto fruttuoso, anzi di poco valore, almeno quanto più si poteva da un cittadino suo diligente e fedele. Ma ora mi trovo ben giunto a tale che impossibile è che più mi pensi di poter partirmi di casa mia. E però supplico di grazia con le ginocchia in terra la serenità vostra, e le signorie vostre eccellentissime tutte che vogliano considerare, che non meno è obbligata la patria a procurar con ogni studio di conservar le facoltà ed i figliuoli dei cittadini suoi, ch'essi di porre, ove sia necessario, e quelle e questi per lei; e misurando l'affezion sola, grande quanto esser può, con che ho prestato

questo servizio mio, e non il poco sapere e deboli forze mie, gli piaccia averlo grato ed esser contenta, poi che la fortuna m'ha tolto il modo di poterle più lungamente servire in tali uffizj, avendomi lasciati li carichi familiari di sorte ch'io non posso più senza rovina di casa mia, e perdizione dei miei figliuoli, abbandonarli.

Questo ch' io ho fatto basti per la parte mia, avendomi per l'avvenire per iscuso e cercando di servirsi di quelli, che molti di questa eccellentissima repubblica, per gran bontà del nostro Siguor Iddio, a me forse di affezion pari ma ben certo di forze e d'ingegno e di sapere molto superiori, nè da figliuoli sono nè dall'angustia delle cose loro familiari tenuti oppressi come son'io. II che dico per esser gl' interessi e necessità mie tali, che certamente con parole esprimerle non potrìa, e a mal mio grado mi astringono a dire e far così non per fuggire ogni carico pubblico, e vivermi ozioso in casa mia, perchè nessun penso mi sarà dalla patria mia imposto mai ch' io lo ricusi; e benchè altro ancora non facessi che attender con ogni studio mio alla buona instituzione de' mici figliuoli, che certo hanno bisogno ormai d'una assidua cura del padre, spero eziandio in questo modo prestare non inutil opra alla patria comune. Che se mi sforzerò con ogni diligenza educarli, ed instituirli nelle lettere e buoni costumi quanto si conviene, e se non sarò impedito di far questo, e se potranno riuscire tali che al tempo loro nell' età seguente siano forse non inetti al servizio che da ogni buon cittadino si può aspettare in onore e benefizio della terra sua, e se il padre non avrà saputo o per li impedimenti suoi po tuto far più di quello che s'abbia fatto, essi supplendo a quanto io averò mancato pagheranno il loro e il paterno debito insieme. E con ciò quanto più posso alla serenità vostra ed alle signorie vostre eccellentissime mi raccomando.

RELAZIONE

DI

FRANCIA

DEL CLARISSIMO

MARINO GIUSTINIANO

TORNATO AMBASCIATORE

DAL CRISTIANISSIMO

L'ANNO 1535. ↑

Relations des Ambassadeurs Vénitiens sur les affaires de France au XVI siècle, recueillies par M. N. Tommaseo. Paris 1838, Tome I.

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