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che il Turco suo confederato sia talmente impedito dal soffi', che da lui non solamente non possa sperare ch'egli impedisca Cesare per metterlo in necessità d'alcuno accordo, ma nè anco aiuto, se esso re cristianissimo fosse assalito. Ferma adunque conclusione è, che il re cristianissimo teme Cesare e l'ha in odio, sì per la grandezza sua, come ancora perchè tiene rancore contra Cesare del mal trattamento fatto al delfino e a Orliens suoi figliuoli, li quali furono messi in galera; oltra che gl' impose obligazione, come dicono, troppo grande per la loro recuperazione, ed oltra la ragione.

Da tutte le sopradette cose nascono diversi dubbi. Se Cesare volesse dare il ducato di Milano con condizione che il re cristianissimo gli desse aiuto contra il Turco, giudico che il re volentieri accettaria il partito; perchè a questo modo sua maestà averia il ducato di Milano; e di quello che si recuperasse dello stato del Turco, si divideria tra quelli che facessero la spesa; e così Cesare non si faria maggiore; e perchè in tal modo pareria al re cristianissimo cancellare e levar la macchia contratta l'amicizia del Turco: anzi questo partito è proposto per dalli Francesi a Cesare. Ma se Cesare volesse dar lo stato di Milano al re cristianissimo, acciocchè gli permettesse

■ Tamas re di Persia, col quale Solimano fu in quasi continua guerra. Il prezzo del riscatto fu, come è notorio, di due milioni di scudi; dei quali ottocento mila essendo stati pagati in diverse assegnazioni non rimancvano a sborsarsi che un milione e dugento mila nell'atto stesso della liberazione. Questo denaro espressamente coniato fu trasportato alla frontiera di Spagna in quarantotto casse scortate dal gran maestro di Francia, Montmorency, e da un numeroso corpo di truppe; del quale adombrato il contestabile di Castiglia, e temendo che fosse stato ivi condotto con inganno, ossia per impossessarsi dei principi senza sborsare il denaro, rifuggì velocemente con loro verso l'interno del regno, finchè adottate tutte le necessarie cautele, il cambio ebbe luogo il 1 luglio del 1530.

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rovinare il re d' Inghilterra', dico che egli non accetterebbe il partito. E non metto in costruzione che l'ammiraglio abbia detto più volte ad ambidui noi oratori * (il che è stato ancora confirmato dal re cristianissimo) che non lassar rovinare il re d'Inghilterra, e che contra quelli che vorranno offendere con armi temporali il re d'Inghilterra, egli è per opporsi con tutte le forze sue, e con la persona: ben dicendo che, quando il concilio determinasse alcuna cosa, saria un altro termine. Perchè rovinandosi quel re, il regno verrebbe a quello che fosse marito di madama Maria, figliuola di questo re e della regina Caterina, o vero al re di Scozia, figliuolo di una sua sorella. Madama Maria potria esser consorte del del

■ Carlo V odiava il re d'Inghilterra per le ragioni del divorzio e dell' eresia esposte nella precedente Relazione.

2 Non saprei bene determinare se il Giustiniani andesse in questa legazione insieme ad altro oratore, come talvolta solevasi, e se qui inteude parlere del suo collega, o se alluda a Giovanni Pisani spedito ambasciatore straordinario nel 1531 e che poi con lui fosse rimasto ambasciatore ordinario, o se riferisca il discorso al suo successore Giovanni Basadonna, col quale ancora si fosse alcuni giorni trattennto alla corte.

3 Sono note le vicissitudini di successione della corona d'Inghilterra nel sedicesimo secolo. A Enrico VIII, morto il 29 gennaio 1547, succedette Edoardo VI suo figliuolo avuto da Giovanna Seymour sua terza moglie. Edoardo morendo (6 luglio 1553) legò il trono a Giovanna Grey del sangue dei Tudor per Maria sorella di Enrico VIII maritata in prime nozze a Luigi XII di Francia poi al duca di Suffolk, del quale era Giovanna la primogenita. Ma la principessa Maria della quale parla in questo luogo la Relazione, figlia di Enrico VIII, e della prima sua moglie Caterina d'Aragona, benchè fosse nel divorzio del padre dichiarata illegittima, trovò seguito sufficiente per farsi riconoscere erede legittima, e il fu; e Giovanna Grey, per la gloria non desiderata di nove giorni di regno, perdè la vita sul palco. A Maria, morta senza figli nel 17 novembre 1558, successe la famosa Elisabetta figlia essa pure di Enrico VIII e d' Anna Bolena sua seconda moglie, non ostante che nella decapitazione della medesima Enrico avesse pure dichiarata questa sua figlia illegittima. A Elisabetta poi, morta il 3 aprile 1603, successe Giacomo VI Stuardo re di Scozia, che fu Giacomo I d'Inghilterra, figlio della infelice Maria Stuarda, nata di Giacomo V unica prole di Margherita, sorella essa pure di Eurico VIII, quella al cui fi

fino, ma l'imperatore non lo soporteria mai, perchè in tal caso Francia ed Anglia sariano del re di Francia; ed allora Francia averia talmente circondata la Fiandra,che facilmente si faria suddita di Francia; luogo che Cesare ama sopra tutti i suoi paesi. Se si desse ad altri, come sariano Inglesi e non Francesi, il re cristianissimo non lo potria mai comportare; perchè colui che l'avesse riconosceria la consorte ed il regno da Cesare. E poi il re cristianissimo non potria aver alcun re d' Anglia con cui stesse nel modo che sta con il presente, il quale per l'alienazione dalla chiesa, e per il repudio della vera consorte, è talmente nudo e privato d' amici, che per necessità sta amico col re cristianissimo, e gli aderisce come quasi egli vuole. Quanto mò al re di Scozia, se bene è amicissimo e confidentissimo di questo re, pur, quando il re di Scozia fosse re d'Inghilterra, prenderia il medesimo affetto contra Francesi che hanno gl' Inglesi: ed allora il re di Scozia, essendo ancora re d'Inghilterra, saria troppo grande vicino non solamente a Francia, ma ancora a Cesare. E se ora il re cristianissimo teme il re d' Anglia solo, molto più temeria il re di Scozia quando egli fosse congiunto col regno d'Anglia. Però il re di Francia non può abandonar il re d'Inghilterra moderno, e ha per fermo che la rovina di questo saria la vigilia della sua.

Quanto poi alle parole dell'ammiraglio a noi oratori, che sua maestà vuole difendere il re d'Inghilterra contra ogniuno

gliuolo, il nominato Giacomo V, allude in questo luogo la Relazione. L'oratore non tien conto di Elisabetta, benchè allora già nata, perchè nella ipotesi ch'egli discute non avrebbe potuto mai esser presa in considerazione.

Il lettore ricorda che, assunta al trono, questa principessa sposò Filippo II, figlio del di lei cugino l'imp. Carlo V, e vedovo di Maria di Portogallo. 2 « L'un et l'autre avec tous et chacun leurs affaires n'etoient qu'une "même chose >> (Du Bellay. L. IV.)

che con l'armi temporali lo volesse rovinare, se ben fosse Cesare, ma che quando il concilio determinasse alcuna cosa, saria un altro termine; dico che questa eccezione del concilio è stata fatta perchè revera questo è l'articolo principale che ora si tratta tra il re di Francia ed il re d' Inghilterra. Rendesi il re di Francia difficile, perchè gli parc da dovero cosa difficile tor l'impresa di difendere un eretico contra le decisioni di tutta la chiesa cristiana, e forse pericolosa; o perchè con questo articolo così importante, fatto per sua maestà cristianissima così difficile, tiri il re d'Inghilterra a più larghe condizioni: o forse è stata fatta quella eccezzione perchè dicendo che egli vuol difendere il re d'Inghilterra contro le decisioni pontificali, gli par parola grande, e forse non molto religiosa, e però la vuole mitigare con quella eccezzione, che quando il concilio determinasse, sarebbe un altro termine. Potrebbe anco essere che egli avesse posto quella eccezione del concilio, sperando che non si facesse. Ma se Cesare volesse dare il ducato di Milano al re cristianissimo con patto di lasciar la difesa del re d'Inghilterra egli l'accettaria, non badando per questo fine alla rovina non che di uno ma di tutti i prencipi cristiani del mondo, comprendendo anco vostra serenità, quando però con quell'accordo Cesare non si facesse maggiore sproporzionatamente del re cristianissimo, sì che Francia non avesse che temere dell'imperatore. E ciò per il desiderio grande che ha il re cristianissimo di provedere al duca d'Orliens, secondo genito suo, al quale s'aspetta il ducato di Bretagna per li patti matrimoniali fatti fra il duca di Bretagna ed il re Carlo, che fu il primo marito della regina Anna, ed il re Luigi in secondo matrimonio: perchè dubita che esso Orliens dopo la morte sua voglia quel ducato, del

tal ca

quale egli ha fatto coronare il delfino, e che per gione nasca gran confusione e guerra nella Francia tra questi fratelli, con ajuto anco d'estranei, com'è Cesare, ed il re d'Inghilterra'. E però ha tanto affetto d'allogare Orliens nel ducato di Milano. Ma quando il detto partito facesse Cesare maggiore disproporzionatamente di lui, e lo mantenesse, non lo accettaria se non con opinione d'ingannarlo. Se mò fosse proposto il partito di dar Milano al re cristianissimo per grandissima somma di danari, certo il re di Francia gli ne darebbe gran quantità, e forse inestimabile.

Parlerò ora del rispetto ch'è tra il re cristianissimo ed il Turco, perchè mi pare che dopo il ragionamento ch'abbiamo fatto di quello che intercede fra il re di Francia e Cesare, opportunamente accada dire di quello del Turco.

La provincia o a meglio dire il ducato di Bretagna si reggeva tuttavia sotto il dominio de'propri duchi in governo indipendente, quando nel 1491 Carlo VIII sposò Anna unica figlia del duca Francesco II e conseguentemente erede di quel ducato. A Carlo VIII successe il suo collaterale Luigi XII che si ammogliò alla vedova regina Anna, di cui ebbe, unica prole, Claudia, nella quale si trasmise il diritto ereditario del ducato di Bretagna. Francesco I condusse questa principessa per moglie, la quale per testamento legò il ducato al Delfino suo primogenito, contrariamente ad una clausula del testamento di Anna sua madre, in virtù della quale istituivasi erede il duca d' Orleans secondogenito: conciossiachè è da notare che prima dell'ordinanza sui dominj del 1566, la quale riuni ed assimilò i dominj particolari del re ai dominj della corona, i re di Francia potevano liberamente disporre dei loro beni patrimoniali. Francesco I mantenne la disposizione di Claudio; e il Delfino fu coronato duca di Bretagna sotto il nome di duca Francesco III; ma poi per le rimostranze del cancelliere Duprat, che i figliuoli suoi fatti adulti avessero per tal causa a venire in contenzione tra loro, si persuase a rendere intera e definitiva la unione di quel ducato al regno dei re di Francia; lo che ebbe luogo per dichiarazione mercenaria dello stesso parlamento di Bretagna il 4 agosto 1532. Il caso presumibile di collisione fu però tolto di mezzo dalla morte prematura del Delfino.

2 Il gran Solimano.

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