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ini comprobò il re cristianissimo al mio partire, il qual ini disse ch'egli amava grandemente vostra serenità perchè l'amor suo era naturale, per conservarlo, e quello d'altri ( volendo innuir Cesare) era per commandargli; e che sapeva che la risposta che gli aveva fatta vostra sublimità nelle proposizioni ultime, vostre signorie illustrissime non potevano fare altrimenti per la fede loro 1. L'estimazione ancora di potenza è attribuita a vostra serenità; perchè reputano che questi sette anni passati, ella abbia disposte le sue cose in modo che danari non gli possono mancare, e che lo stato suo sia così forte che ciascuna delle sue terre porteria difensione di due anni. Di modo che gli pare che l'impresa contro vostra serenità sia d'infinito travaglio: e così la buona fortificazione dello stato suo non solamente gli assecura lo stato, ma fa ancora che li prencipi si diffidano di perturbarla; onde tal fortificazione gli genera più lunga pace. Aggiungono alla sua fortezza, che li popoli suoi siano tanto fedeli, che nè incendii nè preda possa mutare l'animo loro, nè la morte ancora mettergli terrore: e confermano questa fortezza con l'aver messo lo Sforza duca di Milano in

Francesco I avendo pur sempre l'animo al ducato di Milano, intesa appena la morte dello Sforza spedì a Venezia monsignor di Biores onde sollecitare il senato a porsi in lega con lui, e far quella impresa « per la qual proponeva » loro onoratissimi premj. Alle quali cose non parendo tempo opportuno di >> prestare l'orecchie, fu con parole generali risposto: la Repubblica per an»tico suo istituto avere sempre desiderata e procurata la pace, e a questo tempo >> convenirsi tanto più di seguire gl'istessi consigli, quantochè per gl'incomodi » delle lunghe, e gravi guerre passate, era in istato d'aver bisogno di riposo, e >> quantoche i presenti travagli della cristianità, per le tante eresie suscitate in » diverse parti, persuadevano a dovere anzi volgersi ad estinguere queste, che » ad implicarsi in altre nove guerre. Tuttavia rendere molte grazie al re di » questa offerta e di questa confidente comunicazione; delle quali cose, come » carissime, si sarebbe fatta conserva, e forse venirebbe tempo più opportuno » d'usarle. » (Paruta P. I, L. VII, sotto l'anno 1535).

stato, e in quello mantenuto, dicendo apertamente che alcuno non può tener lo stato di Milano se non con la buona volontà della serenità vostra . Quel re ama anco vostra serenità perchè dice che l'amor che gli porta è naturalissimo, ed utile per l'uno e per l'altro. E m'ha affirmato che mai ha sperimentato alcun compagno e confederato che sia andato più al gran cammino, cioè ch'abbia proceduto più realmente che vostra serenità; e che mai ha fatto bene se non quando è stato con lei. Ed a me, per rispetto di vostra serenità, con tutti quei signori, m'ha fatto grandissimo onore. E non desidera altro che stringer l'amicizia con vostra serenità, perchè con quella egli reputaria che la grandezza di Cesare non fosse tanta, e per conseguente non la temeria; e con lei ritorrebbe il ducato di Milano e la contea d'Asti. E cerca di affidare vostra serenità, dicendo che l'assecuraria con ogni modo possibile, e che non la lassaria mai per alcun partito che gli potesse far Cesare. E son certo che verrebbe a tutti quelli accordi che questo stato volesse. Nè lo muove che vostra serenità sia collegata con Cesare, se bene il fatto gli è stato molestissimo; perchè ammette la ragione che vostra serenità l'abbia fatto per necessità.

E perchè le cose di Milano hanno certa colliganza con vostra serenità, perchè, o ad una via o all' altra, esse ponno alterare la fortuna sua, dico che se bene il re cristianissimo ha per principale obietto la grandezza di Cesare, non però si parte dalle ragioni di successione che

Le sollecitazioni del Senato affrettarono la restituzione della città di Como e della fortezza di Milano al duca, al quale offersero ancora i Veneziani di prestare il denaro pel riscatto, e ne quietarono lo stato da molti torbidi che innanzi quella restituzione si fomentavano dai partigiani di Francia.

egli dice avere nello stato di Milano e nella contea d'Asti: aggiognendovi il gran desio che egli ha di allogare monsignor d'Orliens in quello stato, per il dubio che ha che egli non vogli aver la duchea di Bertagna. Della recuperazione dello stato di Milano sua maestà ha avuto diverse speranze. L'una era nella morte di Cesare, per la quale sperava di averlo, avendo minore avversario; l'altra era nella morte del duca di Milano, nel qual tempo egli stimava che la confederazione di vostra serenità fusse rotta e che vostra serenità, venuto il caso della morte del duca, per la quale Cesare intrasse in possesso di quello stato, si movesse gagliardamente non solamente a consentire che esso re venisse in Italia per torre il ducato di Milano, ina a chiamarlo ancora: giudicando che a vostra serenità non debba piacere, a tanta grandezza di Cesare essere aggiunto ancora il ducato di Milano. Donde è venuto che, essendo accaduta la morte del duca di Milano, il re cristianissimo dice aspettare che vostra serenità lo chiami, nè volersi movere altrimenti.

Dove, se io fossi domandato se il re cristianissimo, non chiamato da vostra serenità, venisse in Italia, direi che sua maestà cristianissima sarà in questa reputazione di non voler venire in Italia se non chiamato fino che egli non concordi col re anglo a difendere il regno suo di Francia, occorrendo, e fino che non veda che il Turco sia a Constantinopoli pronto e parato ad assaltare la Germania per terra, e l'Italia per mare, onde si faccia l'impresa più facile. E già si pente che non abbia assalito l'Italia nel tempo che il Turco andò in Germania, e Cesare alla difensione, o quando Cesare andò a Tunisi. E fu gran parte causa il gran maestro, il qual perchè consenti quella opinione che a quel tempo non dovesse

andare in Italia, ha avuto qualche carico e biasmo dal re cristianissimo. Che se la cosa del Turco non lo potesse favorire, ma il re anglo fosse confederato seco, come è detto, crederei che egli in tal caso venisse, se non con speranza che fosse grato a vostra serenità, con giudizio che quello che ella non vuol fare prima che egli sia potente d'amici e d'esercito, facesse vedendolo accompagnato con il re anglo, e vedendolo già armato in Italia (per l'interesse che esso giudica che vostra serenità abbia che alla grandezza di Cesare non sia gionto Milano); e se concorresse ancora il pontefice a volere il re cristianissimo in Italia, allora son certo che egli veneria, presupponendo avere più facilmente vostra screnità. Ma non chiamandolo vostra serenità e facendogli intendere a lei non piacere, anzi volere essere contra lui con l'armi, son certo che sua maestà non veneria se non con l'aiuto, e non poco, del Turco.

Con l'illustrissimo duca di Savoja, che fu fratello della quondam madre di questo re cristianissimo', nou tien conto d'amicizia per aver ricevuto la contea d'Asti da Cesare, la quale il re cristianissimo pretende che sia de' suoi figliuoli3. Nè ammette escusazione del duca, che dice che manco male è che quella contea sia sua, ch'è suo parente e servitore, che di Cesare che è così

Vedi la nota quinta a pag. 152.

Vedi la nota seconda a pag. 8o.

3 Francesco I aveva, come è noto e come abbiamo detto più sopra, patteggiata la rinunzia al ducato di Milano e alla contea d'Asti nel trattato di Cambray. Ma perchè piegavasi a quelle condizioni soltanto pel miserabile stato delle sue cose e non con ferma volontà di rispettarle; volendo in qualche modo accordare la sua coscienza colla pensata violazione dei patti che allora giurava, neil' atto di apporre la ratifica al trattato protestò solennemente, quantunque con molta secretezza, contro la cessione dei detti due stati; e d'ordine suo, e

grande. Item, per aver dato suo figliuolo a Cesare ', il che gli pare sia securissimo pegno dell'animo suo verso Cesare, e certezza della alienazione da quella maestà. La qual mala disposizione fu accresciuta dal rifiutare di dargli Nizza per l'aboccamento fra Clemente pontefice e sua maestà, che poi fu fatto a Marsilia . Onde procede che le differenze ch' avea il re cristianissimo sono cresciute, cioè di riaver Nizza, Villafranca, e altri luoghi, come mi disse il re cristianissimo, impegnati dal conte di Provenza, ove non è occorsa mai alcuna prescrizione per esser stati spesse fiate addimandati 3. È suscitato ancora che il re cristianissimo vuole certa porzione di beni mobili spettanti alla quondam sua madre;

con egual secretezza, un giurecosulto della corona insinuò una protesta allo stesso oggetto, allorquando la ratifica del trattato venue registrata in parlamento a Parigi. Con questo artifizio indegno di un re e distruttore della fede pubblica, e della mutua fiducia su cui riposano i patti fra le nazioni, pensava questo re, che passa presso molti per sinonimo di onore, essersi coscienziosamente svincolato dall'obbligo di rispettare la fede data, e mantenuto nel diritto di quei possessi.

Carlo III duca di Savoja richiesto nel 1533 dall' imperatore di concedergli il principe di Piemonte suo primogenito per condurlo in Ispagna ad educare in corte insieme al proprio figlio Filippo, acconsenti : ma il giovin principe vi mori poi intorno l'epoca di questa Relazione, lasciando libera la successione al suo minore fratello Emanuel Filiberto splendore della sua casa. Il duca di Savoja era legato alla casa d' Austria per Beatrice di Portogallo sua moglie, cognata di Carlo V.

Francesco le Clemente VII erausi accordati di abboccarsi in Nizza, ed ivi celebrare il matrimonio di Caterina de' Medici col duca d'Orleans, e il duca di Savoja aveva acconsentito in principio a prestare a tale cffetto quel luogo: ma conosciuta l'avversione di Cesare al parentado ed all'abboccamento vi si nego; onde poi quelle conclusioni ebbero luogo in Marsilia.

3 Francesco I mentiva scientemente allegando questo preteso diritto, perche nessuno sapeva meglio di lui come gli Angioini signori di Provenza, nel 1388, in tempo dei loro travagli in regno di Napoli, avessero consentita l' alienazione di Nizza e di Villafranca in favore di Amedeo VII di Savoja, detto il conte Rosso. Vedi Guichenon, histoire généalogique de la Maison de Savoye, L. Il, c. 34.

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