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rea maestà e del re cristianissimo a Locat, loco mezzano tra Salses e Narbona, non esser riuscita tra questi dui signori, perchè non è giudicato suo benefizio dall' imperatore dare lo stato di Milano al re cristianissimo; nè il re cristianissimo senza Milano può far la pace coll'imperatore. Il malefizio che l'imperator ne può avere dando quello stato alla maestà cristianissima, ognuno per sua prudenza lo vede benissimo. Prima, contra la sua natura, si spoglieria di uno stato che il fa grande e securo in Italia. Dappoi, che investiria di esso il maggior suo inimico che abbia al mondo. Terzo, che con quella comodità il re porteria guerra nel regno di Napoli, e nello stato di Fiorenza, che è pur a sua devozione. E insomma che privaria sè stesso di una gran parte della sua grandezza, per darla ad uno che, se non al presente, certo col tempo, gli averia a far fortuna, e forse a torgli il resto. Onde volendo sua maestà cesarea lasciare lo stato di Milano, e volendosi assicurare di tutte queste cose, propose al re cristianissimo le grandi condizioni che vostre signorie eccellentissime hanno, per lettere dell' eccellentissimo orator Capello e mie, conosciute e forse intese anco per altre vie. Le quali condizioni, perchè toglievano de præsenti al re cristianissimo le ragioni sue, e delle forze, assai più che non gli dava la speranza dello stato di Milano; e ritrovandosi sua maestà cristianissima sull'avvantaggio della più parte dello stato de Savoja', di Edino (Hesdin) in Fiandra, e della guerra che il Turco ha coll' imperatore (nella qual stando esso imperatore occupato, non potrà dar molestia a sua maestà), essa non

ha voluto comprar la pace con tanto suo danno, quanto

· Non ne restava al duca quasi altro che Nizza.

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gli pareva di avere se avesse cesso all' imperatore la Borgogna, restituito Edino, e la superiorità di Artois, la Savoja al duca, ed alli nepoti del quondam monsignor di Borbon lo stato suo; e se avesse cesse le ragioni sue di Napoli e Milano, che sono nella capitolazione di Madrid; ed infine (lo che essa si reputava a gran vergogna) se avesse mandato per tre anni monsignor d'Orliens suo figliuolo in Spagna per ostaggio, e fosse stato sforzato far la guerra al Turco, ad utile e grandezza dell'imperatore, e astretto al concilio col qual perdeva la unione delli principi e stati di Alemagna, e d'altri capitani, e genti luterane, per sperar nella fede di quello che apertamente dice che non ha fede in lui di cosa alcuna. Onde per tutte le sopradette cause non è seguita la pace tra queste maestadi; la qual, sebbene alcuni credono che si saria fatta quando si fusse trovato modo che l'uno di questi dui signori si avesse fidato dell'altro, io nondimeno, serenissimo principe, sapientissimi miei signori, per quanto ho potuto conoscere e dal volto del re (che spesso suol dimostrare l'animo dell'uomo), e poi dalle parole e sue e della serenissima regina di Navarra, e degli altri grandi

Come in adempimento dell'articolo a ciò relativo del trattato di

Madrid.

2 1 re di Francia pretendevano, per antiche ed intricate ragioni, diritto di vassallaggio sopra questo ducato ed altri luoghi delle Fiandre; e Francesco I, nel gennajo del 1537, credendo forse trionfare del suo rivale, in una solenne seduta del parlamento ch' egli presiedette personalmente, fece dall'avvocato reale citare Carlo V come reo di fellonia per avere, essendo conte di Fiandra, dichiarata la guerra al suo signore, e conseguentemente bandire decaduto dal possesso di quei dominj, e questi per legittimo diritto devoluti alla corona di Francia. Ben disse chi denominò Francesco 1; le roi fanfaron. 3 Già confiscato per la ribellione del contestabile.

4 E forse soverchio che qui da noi si ripeta, le ragioni dei Valois sopra Napoli fondarsi nella pretesa eredità dei diritti della casa d'Angiò.

5 Margherita di lui sorella, conosciuta per donna di molta mente.

che sono in questa corte, dico che il re cristianissimo si saria fidato dell'imperatore se sua cesarea maestade avesse rimesso alcune cose della capitolazione di Madrid. Ma perchè sua maestà cesarea è stata ferma nella sua opinione, il maneggio è dissoluto nel modo che hanno saputo vostre signorie, con mala satisfazione di tutti i cristiani.

Seguono, mò, li altri impedimenti alla composizione che si ha da trattare, li quali sono assai, e molto grandi. Perchè la serenità vostra e le vostre eccellentissime signorie (che parte con la dottrina, parte con l'uso e lunga pratica, e l'ottimo suo giudizio, intendono benissimo le cose del mondo) sanno che sì come le amicizie tra particolari gentiluomini si contraggono per la mutua corrispondenza degli animi e per la similitudine dei buoni costumi, così tra i principi si fanno le amicizie o per la istessa corrispondenza di natura, o per giudizio che abbiano che loro torni bene lo stare amici insieme, o veramente per necessità, e fortuna, che al suo dispetto li astringa a starsi uniti. Tra questi dui signori (per quanto io ho, nel poco tempo che sono stato in Francia, conosciuto della natura del re cristianissimo, e per quanto ho inteso per varie relazioni in questo eccellentissimo consiglio; ed alla corte, ed altrove quella della cesarea maestà) trovo esser tale e sì digran scordanza, che (come in tal proposito mi disse la serenissima regina di Navarra, che è sorella del re cristianissimo, la quale è donna di molto valore, e spirito grande, e che interviene in tutti i consigli) bisogneria che Dio ritornasse a riformare uno di loro ad esempio dell'altro per volere che si accordassero ambidui. Perchè, dove il re cristianissimo vuole mal volentieri fatica di

pensieri grandi o di faccende, e che spesse fiate va alle caccie ed alli suoi piaceri; lo imperatore non pensa ad altro mai che a negozj, e a farsi maggiore. Dove il re cristianissimo è semplice, aperto e liberalissimo, e facile assai a rimettersi al giudizio e parere delli suoi consiglieri; l'imperatore è molto riservato, e tenace del suo, ed è duro nelle sue opinioni, governandosi più per sè stesso che per alcun altro. E così in tutte le altre cose sono di modo contrarii di natura, che il re medesimo disse un giorno all' eccellentissimo orator Capello ed a me, ragionando in materia delle tregue, che esso credeva che Cesare studiasse di esser tutto l'opposito suo; perchè se esso diceva che voleva pace, Cesare rispondea che non potea farla, ma che faria qualche composizione; e s'egli diceva di composizione, gli era risposto che erano meglio tregue; di modo che non si potevano mai incontrare di una volontà. Onde si potria concludere, che per diversi spiriti e contrarie nature che hanno insieme queste due maestadi, mal è da credere che si abbiano ad accordare.

Bisognaria adunque che col giudizio vedessero quanto comodo sentiriano tutti dui della unione che avessero insieme. Il qual giudizio, sì come credo che sia grande in ogn' uno di loro, così si vede manifestamente che gli è guasto e accecato in tutto dalle offese che sono seguite tra loro maestadi, dagli odii crudeli, e dalle passioni, che non li lasciano vedere il loro bene. Perciocchè lasciando stare tutte le altre offese, la presa del re cristianissimo, l'ostaggio dei figliuoli, la capitolazione di Madrid, la impresa di Francia, che fu tentata già dui anni dall' imperatore, e ultimamente la opinione del veneno del serenissimo delfino, da che sono nasciuti

odii infiniti '; hanno alterato si l'animo di sua cristianissima macstà, che essa mai non ragiona di alcuna di tali cose, che non si scaldi tutta di passione, e di ardore di vendicarsi un giorno. E poi il sospetto ed invidia che l'uno e l'altro ha in sè di non vedersi più grande e più potente, fa che, conoscendo lo imperatore che il re cristianissimo cerca con ogni suo sforzo e ingegno di ridur tutta la Francia sotto d'un capo solo, e che per ciò si è tanto affissato nello stato di Milano (perchè dando questo a monsignor d'Orliens, viene a metter nella corona la Bretagna, la quale per obbligazion di dote, avendo il re cristianissimo più di un figliuolo, doveria darla al secondo figliuolo 3; e li popoli di quella provincia difficilmente servono alla corona, che vorriano aver un proprio signore: e viene a metter d'accordo li fratelli; e si fa un fon

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« Della morte del delfino, accaduta il to agosto dell'anno 1536, è stato << molto e variamente discorso, benchè le circostanze che accompagnaronla a << noi sembrino di natura da escludere ogni arcana e stravagante supposizione. Il principe, giovine di delicata costituzione, groudante un giorno di sudore « per smoderato esercizio della palla, volle bere dell'acqua diaccia, la quale gli cagionò un' immediata infiammazione di petto, che in quattro giorni «lo condusse al sepolcro. Ma per sospetto naturale a que'tempi vinse l'idea del « veleno, e fu accusato il conte Sebastiano Montecuccoli suo coppiere di averglielo propinato in quella occasione. Per scoprire la verità, l' infelice

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« fu posto alla tortura, sotto i tormenti della quale asserì ciò che i processanti gli andavano suggerendo. Confessò così di essere stato compro da Antonio « di Leyva generale di Carlo V, non che istigato dal medesimo imperatore ad avvelenare non il delfino soltanto, ma il re stesso con tutta la sua famiglia: conseguenza della quale deposizione fu un decreto del 7 ottobre

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« di quel medesimo anno, che condannò il Moutecuccoli ad essere squartato vi« vo per mano del boja. » (Albèri, Vita di Caterina de' Medici, Periodo II.) In progresso lo stesso Francesco mostrò poi di non doversi tenere per accettabile quella supposizione.

2 Il duca d' Orleans del quale in questo luogo si parla, non è più il secondogenito di Francesco I, ossia il marito di Caterina de' Medici, ma bensì il terzogenito, per un grado ascendente al quale li aveva portati la morte poco sopra indicata del delfino.

3 Vedi la nota prima a pag. 165.

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