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damento in Italia col predetto stato di Milano, che saria formidabile ad ognuno), sua maestà cesarea cerca di disturbargli questi suoi disegni, non gli volendo dare detto stato: o se gliel dà, cerca ch'egli lasci a Borboue la Borgogna, che è come scala da passar dalli suoi stati a molestarlo nel regno di Francia. Dall' altro canto vedendo il re quanto sia fatto grande detto imperatore, procura di assicurarsi da tutte le parti: nè vuole lasciare alcuna cosa di quelle che tiene in Fiandra, o nel Piemonte, se l'imperatore non gli dà Milano, sì per farsi di forze eguale a esso imperatore, come perchè ogni poco che esso lasciasse, gli pareria di accrescerlo alla grandezza del suo inimico. Le passioni adunque che sono fra loro non li lasciano veder quanto bene torneria alle loro maestadi essere unite ed in pace insieme, e quanto benefizio dariano alla cristianitade, se in compagnia cercassero di sollevarla da tanti danni e da tante miserie che le loro discordie e guerre le hanno date.

Resta la terza parte, che è la fortuna, o vero necessitade, la qual fa molte volte quello che nè il giudizio nè la natura hanno potuto fare; come essa fece nella presa del re, quando seguì quella pace sforzata con la capitolazione di Madrid, poi l'altra dell'accordo di Cambray, e al presente le tregue del Piemonte, le quali, si per la necessità che avevano gl' imperiali, come per la fame e bisogno di tutte le cose che era nel campo cristianissimo, furono astrette dette maestadi a conchiudere. Ma per far una pace o composizione al pre

del re

■ Carlo V credeva forse, pel fatto del contestabile, potersi ripromettere del favore di tutta la famiglia de' Borboni.

Allude alla tregua di Moncon, dal paese di questo nome in Aragona, dove fu stabilita il 16 novembre 1537, per tre mesi, e relativa ai soli eserciti

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sente tra ambe loro, non si vede che l'uno o l'altro di questi signori sia necessitato a farla con disavantaggio. Perchè, lasciando stare lo imperatore con la sua fortuna, le forze del re cristianissimo sono ora molto unite e molto grandi. Ha sua maestà la Francia tutta dal mar Oceano fino ai Pirenei, e fino al mar Mediterraneo; e di più la Savoja tutta, che è di là dai monti; e anco la maggior parte del Piemonte in suo potere e libero dominio. Nella quale 2 (come sanno le signorię vostre eccellentissime) sua maestà fa dodici governadori, perchè è divisa in dodici provincie, delle quali cava ogni anno di rendita ordinaria, tra taglie, sussidii, quadresima de vini 3, sali, dominio, gabelle, officii venali, e altre minute rendite, la somma di franchi quindici milioni settecento cinquanta mila, che sono poco manco di tre milioni d'oro. E se bene sua maestà nelle spese ordinarie di pensione alli Sguizzari, ad Inghilterra, ai capi Todeschi, e alli offiziali di giustizia di tutto il suo regno, in guardie de' castelli, in la marina di levante e ponente, in doni, e spese di ambasciatori, in artiglierie, in caccie, in far tavola, in spese della casa, e in altri casi inopinati, ed infine in lancie duemila cinquecento che continuamente tien pagate, spende tutta la entrata o poco meno; e se ben anche nella impresa che tolse lo imperatore contra Francia,

di Piemonte, perchè per quelli di Fiandra ne era già stata segnata una eguale a Bommy. Detta tregua fu allungata di qualche altro mese nel convegno surriferito di Locat, finchè si giunse alla solenne conclusione di Nizza.

"

« Je vois une armée si florissante et composée de gens tous élus,

"

et

« comme choisis l' un aprés l'autre : les gens de pied tous vieux soldats et

« vétérans: la cavalerie si bien équipée, telle compagnie d'artillerie, et si

a bien étoffée de tout ce qu'il lui faut. » ( Du Bellay ).

S'intende nella Francia.

3 La precedente Relazione, pag. 150, dice che il vino pagava il terzo, e non il quarto come appare da questa.

sua maestà cristianissima (per quel che dice la comune voce di tutto quel regno) spese più di tre milioni e mezzo d'oro, buona parte del quale esso si trovava avere in mano; nientedimeno le vie straordinarie che sono aperte sempre a sua maestade, sono si grandi e tali, che o con taglie o con doni o con sussidii o con imprestiti del clero (che è ricchissimo in Francia, come è noto ad ogniuno), ne trae sempre quanto gli fa bisogno. Di modo che per mancamento di danari non si dee creder che sua maestà venga sforzata ad accettar condizioni di pace che non gli pajano utili ed oneste.

Nè si dee credere che, per paura che abbia che l'imperator gli mova guerra in Francia da parte di Picardia o d'altrove, o vero che gli metta addosso il serenissimo re d' Inghilterra (che altre fiate gli ha tolta la Francia e dato assai che fare), faccia detta pace. Perchè, oltra che li Fiamminghi fanno mal volentieri la guerra a Francia, con la quale perdono i trafichi, e consumano le entrate; il re cristianissimo tiene così ben munite le sue frontiere della Picardia, come la maestà cesarea le sue della Fiandra, che, da quel canto, non vi è molto avvantaggio. Da questo del Piemonte e di Provenza, la prova che già dui anni fece l'imperatore, ha ben dimostrato chiaramente a tutti, quanto sia duro e difficile il passo. Poi circa al serenissimo re d'Inghilterra, sua maestà non l'ha da temere, perchè gl' Inglesi mai passarono in Francia senza l'ajuto e spalla dei duchi di Bretagna, o di alcun altro principe di Francia, che sono mancati, e ridutti ora tutti in la corona. E appresso di di questo, la stretta unione e parentado che tiene il re cristianissimo col re di Scozia, revocheria sempre il re d'Inghilterra con la guerra, e gli disturberia

li suoi disegni, come ha fatto altre volte, quando non era obbligato di farlo. Si aggiunge a questo l'antiqua costituzione della Francia, la quale è, che tutti li gentiluomini del regno non contribuiscano mai ad alcuna gravezza o spesa che occorra farsi dal re cristianissimo, se non quando la Francia è assaltata con guerra; che in quel caso sono obbligati a pagar tutta la spesa che si fa alla difensione per tre mesi. Onde si può concludere che il reguo di Francia, ridotto, come al presente è, nella obbedienza di un solo capo, sia piuttosto da esser formidato da ognuno, che esso abbia a temere le altrui forze.

Da tutte le sopradette cose (fondate sopra quelle che ho conosciuto alla corte di Francia, e sopra il mio debile e picciolo giudizio) se ben pare forse alla serenità vostra ed alle vostre eccellentissime signorie che non resti speranza alcuna al bisogno della cristianitade, che questi dui principi si accordino insieme con pace universale (la quale se riuscisse, bisogneria dire a Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris, come disse esso re quando che intese che la cesarea maestà aveva detto che volea dargli il stato di Milano, e far la pace al tutto) nientedimanco la necessità delli tempi presenti, e la buona natura di sua cristianissima maestade, la qual sente con sommo dispiacere i danni e la rovina dei cristiani; e poi le persuasioni dell'illustrissimo contestabile' (il qual sì come il tutto può con sua maestade, e sì come move e governa tutto quel regno, solo, come piace a lui, nè vuol compagno alcuno, così conosce che con la pace si può conservare in questa sua grandezza,

Anna di Montmorency, creato contestabile, come altrove abbiamo deito, il 19 febbrajo del 1538. « C'etait celui en la vertu du quel, prudence conseil et diligence entre tous autres ayant le maniement de ses affaires, «<le roi avait plus de foi et d'espérance. » ( Du Bellay, L. VII).

perchè la pace egualmente da tutti, e grandi e piccioli, di Francia è desiderata, che sono stracchi ormai delle spese e delle fatiche di guerra, contrarie alla natura de' Francesi); e anco la desterità che forse al presente potrà adoperare la santità del pontefice con le persone istesse di loro maestadi'; e finalmente quel lume che è da sperare che il nostro signor Dio gli mandi avanti agli occhi per mostrargli il cammino alla conservazione della fede sua, faranno che se ben non riuscisse la pace universale, almeno potrà farsi qualche accordo o composizione. Perciochè, avendo il re cristianissimo con le tregue del Piemonte, e con la trattazion della pace, perso assai favore che poteva sperare dal Turco e dal serenissimo re d' Inghilterra (l'uno e l'altro de' quali hanno manifestissimamente conosciuto che sua maestà cristianissima faria accordo con Cesare anco a lor malefizio, quando gli fusse dato il stato de Milano); e vedendo sua maestà, che nè esso re d'Inghilterra, nè il Turco può più fermar speranza alcuna uella unione sua, essa, conoscendosi pur restar senza questi appoggi, è da credere che passerà facilmente innanzi, alla composizione, anco con qualche suo disvantaggio.

E per quanto mi disse un giorno il reverendo nonzio del pontefice, è da credere certo, che quando l'imperator rimettesse alcune cose della capitolazione di Madrid, le quali pajono troppo gravi alla maestà cristianissima, essa nel resto si fideria di sua maestade. Perchè, dicendogli esso nonzio un giorno, che pareva a lui che la

pace non riuscisse tra lor maestadi perchè non si vo

Paolo III s'era già fatto intendere di voler venire all'abboccamento che ebbe luogo in Nizza nella primavera del 1538.

Il cardinale Agostino Trivulzio,

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