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acquistati. Denique, se il re vuole seicento mila franchi, ne dimanda un milione. E qui si sta sulle dispute un poco; in fine si conclude la cosa. E li sborsi si fanno per porzioni eguali fra li prefati tre stati secondo il capitale d'ogn' uno; e il danaro si corrisponde di terra in terra, e denique viene al cofano di Parigi. Sopra la qual esazione di taglie vi sono tanti offiziali, ricevitori e tesorieri generali, e tante espillazioni, che è uno stupore. Normandia è sempre la più gravata, e gli uomini di quella provincia pagano più che li sudditi di vostra serenità; ma le altre stanno meglio, perchè Bretagna, Borgogna e Savoia sono di più nuovo acquisto: Picardia e Scham pagna sono piccole, e rovinate, per esser in confin de' nemici. Di modo che la carga si risolve su Guascogna, Linguadoca, Normandia e Francia, con il paese di Poictù e la Roccella. Oltra a queste taglie, quando il bisogno occorre, se ne dimandano delle altre estraordinarie, tutte ad arbitrio del re, tutte però minori dell' ordinaria. E di più vi sono gl' imprestiti, li quali il più sono donativi, perchè rare volte si restituisce, sebbene hanno nome d'imprestiti. E tutte queste imposizioni si pagano con una estrema obbedienza, e violenza a chi non lo fa prontamente. In fine vi sono le decime del clero, le quali per il passato si solevano tal ora far pagare con licenza del papa. Ora, considerando il re che tutti li benefizii di Francia sono o vero di fondazione reale, o vero de'principi (nel loco dei quali, i re sono successi) o vero sono stati dotati dai popoli (delli quali loro sono legittimi signori e padroni); gli par per questo poter aver libertà senza consenso d'altri, di dimandare qualche aiuto nelli bisogni alli suoi amici, e a questi di darlo. Il che se fosse proibito, saria levato il fondamento della gratitudine e

dell'amicizia. E così quel clero, che è affezionato al suo re come di ragione si deve essere, paga sempre, senz' altra licenza da Roma, da due sino a sei e sette decime all'anno, che importano da cenquaranta mila scudi l'una. Le quali, sebben han nome di decime, non sono però che mezze decime, perchè nel tassar li benefizii del 1516, si usò con gran desterità, e non furono notati che per la metà dell'entrate. Confessa il re presente, e concede al papa, che nè lui nè alcuno principe cristiano di propria autorità può mettere imposizione al clero, e che chi lo fa, sia escomunicato per la legge vecchia e per la nuova; ma dice bene, che il pigliare sussidii volontarii da qual sorte di uomini si sia, non può esser proibito nè da legge nè da costume alcuno che sia al mondo. E così lui riscote, quelli pagano, e il papa tace; nè può avere apoggio a che altaccarsi. È vero che a questo servirsi del clero vale assai il jus eligendi che ha il re nelli benefizii di Francia, concessogli da Leon X a Bologna, quando fu accordata la revocazione della pragmatica sanzione ': la quale prerogativa di eleggere, il re vuole che si estenda non solo nelli dominii che possedeva al tempo della concession fattagli, ma anche nelli paesi che di giorno in giorno va acquistando, come è Bretagna e Savoia, che soleano essere sotto la sede romana, ora lei non vi ha più autorità alcuna, come non ha nel rimanente. Sola gli resta la espedizione delle bolle, e il pagamento delle annate *, che fin quà non aveva eccezione alcuna, e al pre

Pel concordato di Bologna, del 1515.

2 Annata dicevasi la rendita di un anno di ogni benefizio ecclesiastico, la quale, in ogni nuova investitura, dovevasi alla cancelleria pontificia. Questo diritto era anticamente esercitato dai vescovi e dagli abati dentro i confini delle loro giurisdizioni. Giovanni XXII fu il primo ad avocarlo al pontificato,

sente è messo in disputa. E penso che il re cristianissimo farà ogni cosa per liberar li sudditi suoi anco da questo impaccio, siccome ha fatto di tutto il resto. Perchè nè spoglie, nè decime, nè rinunzie (con riserve o libere); nè pensione, nè manco giudicature di liti ecclesiastiche vanno più a Roma; ma restano in tutto ordinate e diffinite nel regno. Per questo tutti li prelati riconoscono più il re che il papa; e sua maestà si serve così dei loro danari come delli proprii. Manda episcopi ed abati, oratori fuora; e ben spesso non gli dà provisione alcuna: e gli fa far delle navi, e delle case e palazzi del loro; e lui ne è poi l'erede: va aloggiare alli lor benefizii, e mandavi chigli piace senza pagare cosa del mondo; e li soldati vecchi benemeriti sono nutriti e mantenuti, tanti per abbazia, in loco di ricompensa. Di modo che tutto torna a commodo e servizio del re, e a salute delle anime de' prelati'.

Vi è poi il modo di cavar danari per via di vendere gli offizii, li quali sono infiniti, e tutto il giorno si augumentano: come sono avvocati regii per ogni vil loghetto, recevitori di taglie maggiori o minori, tesorieri, consiglieri, presidenti de' conti e di giustizia, maestri di richieste, fiscali, prevosti, èlus, baillifs, visconti e generali, e tanti altri, che in vero la metà basteria. E questi danno molti danari al re: li quali, computando un anno per l'altro, forse ascendono a più di

eccettuando da quest' onere i soli vescovati ed abbazie. Ma Bonifazio IX rese la regola universale. I re di Francia protestarono di buon'ora contro questo gravame, e appunto, circa ai tempi dei quali parliamo, dice Frayssinous ( Egl. gallic. ); « les annates ne subsistérent plus que comme une subven«tion volontaire pour fournir aux dépenses du saint siége. »

În ragione dei patimenti terreni.

quattrocento mila scudi. In fine vi è la cassa dei boschi che per l'ordinario danno cencinquanta mila scudi l'anno, e in un bisogno potrian darne più di seicento mila per una fiata. Vi sono le confiscazioni dei beni de' forastieri che morono in Francia con figli o senza; e quelli dei regnicoli, che si fanno per delitti. Vi sono li appalti di diverse merci, che danno pur qualche somma buona di danari: ma questo è tutto estraordinario. Ma di ordinario e fermo si può credere che li re di Francia oggi abbino quattro milioni d'oro ogn'anno d'entrata. Et tamen sono cent'anni, al tempo del re Carlo Settimo, che non avevano un milione intiero d'entrata all'anno, omnibus computatis: tanto sono augumentate le gravezze, ed anche li nuovi acquisti di quella corona.

La spesa, mò, che sua maestà cristianissima fa ordinariamente, è, prima (come è detto di sopra) per la sua persona e altre particolarità, di un milione e mezzo d'oro; poi, circa quattrocento mila scudi nelli pagamenti di due mila e cinquecento lancie (benchè il numero delle lancie non è sempre il medesimo, accrescendosi o sminuendosi secondo li bisogni ); e mille e quattrocento leggieri, computato in questi il piatto delli condottieri loro e de' marescialli. Vi è aggiunta ora la spesa del fortificare, che importa un anno per l'altro più di dugencinquanta mila scudi, se continueranno nel volere che ora sono, e se vorranno provvedere al bisogno loro, siccome in vero il re vi attende con ogni spirito. Vi sono le provvisioni de' Svizzeri publiche e private, e degli Alemanni e Italiani, che importano più di dugento mila scudi. Le guardie poi delle fortezze son piccole, e molte non circondano un miglio. Item vi lavorano con poca spesa però non saranno durabili; pure passano

piu di dugento mila scudi all'anno. Vi è la pensione d'Inghilterra, la qual (computando alcune provvisioni che si danno a'principi inglesi) vuol più di cento mila scudi all'anno. Vi sono venti galere, che si tengono sempre a quattrocento scudi il mese per una, che importano da cento mila scudi, delle quali però talvolta se ne disarmano la metà. Le provvisioni e salarii dei giurisdicenti, offiziali e altri ministri di tutto il regno, valgono da trecento mila scudi. Di modo che a tempo di estrema pace, senza pagare cosa alcuna de' debiti vecchi, non può avvanzare il re un milione di scudi all'anno. Quando poi è la guerra, può pensare la serenità vostra, quel che spenda quel regno. Il quale in questa ultima impresa, dal quarantadue in poi, ha tenuto sempre quasi cento mila paghe di fanti a piedi, e dieci e talvolta dodici mila cavalli, con le spese delle armate, artiglieria, ministri e poste; talchè mi è affirmato e da sua maestà e da molti altri, che nella guerra delli due primi anni, cioè 1542 e 1543, spese dodici milioni di scudi; massime non essendo li suoi danari spesi con quella diligenza e fedeltà che sono quelli della serenità vostra, li ministri della quale la servono con quell' affezzione e lealtà cui sono tenuti li buoni alla patria loro. Ma in Francia, nelle mostre solo de' fanti d'ogni nazione, il re a centinara e migliara di soldati è ingannato e rubato; e li tesorieri lo consentono, e hanno parte del furto. E chi volesse castigare con le forche questi delitti, non

Cosi fu detto il pagamento, distribuito in tanto l'anno, dei due milioni di scudi d'oro che la Francia doveva all' Inghilterra pel trattato di Moore; articolo confirmato, come abbiam detto, nel trattato di Guines.

2 Le spese notate fanno 3,050,000; la rendita è quattro. Resta pel re un milione meno cinquanta mila.

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