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lizia di terra; giudicando per la via del mare, con la inimicizia del principe, non potere giammai andare più innanzi di quel ch' egli era. Nè voglio restar di dire che essendo pervenuta nuova del ritiro dell' armata dalla Prevesa',e sapendo egli che alcuni,anzi infiniti', per iscusarsi accusavano i ministri di vostra serenità, che non avessero voluto combattere; mandò una lettera all'imperatore sottoscritta di sua man propria e di tre altri suoi capitani, e poi palesemente a tutti disse che chiunque aveva detto o voleva dire che l'armata veneziana aveva mancato ed era rimasta di far la giornata col Turco, apertamente e contro ogni verità mentiva; nè di ciò contento, mandò fuora una scrittura di sua man propria sottoscritta, con sottoscrizione anco di quattordici capitani diguissimi di fede, che conteneva l'istessa cosa.

Ma lasciando da parte ogn' altra considerazione dei capitani generali, per opinione universale di tutti, non ha l'imperatore maggior capitano di terra che sè stesso, il quale è animoso di torre le imprese difficili ed impʊrtanti, e nel trattarle è intrepido ed invitto.

Ha dimostrato queste due parti in tutte le sue imprese nel discorrere e prevedere li vantaggi che ha potuto pigliarsi, e così anco gli disvantaggi che ha cercato fuggire. Tentò Tunis3, ove aveva da combattere non pur con gli uomini, ma col fervore del cielo, e con la severità, asprezza e sterilità della terra; e in quella impresa intendo ch'egli fu sempre primo nei pericoli, non dubitando punto della sua persona. In Algeri, è comune opi

1538. Vedi Paruta L. XI. E lo stesso Andrea Doria. 3 1535. Vedi a pag. 158.

4 Allude alla coraggiosa ma infelice spedizione tentata nel 1541 da Car

nione che le reliquie di quel così mal capitato esercito fossero conservate dalla sola sua virtù e costanza d'animo. In tentare tre fiate il regno di Francia', è stata sempre opinione sua; nel che, quantunque poco felicemente è riuscito, si vede però che animo egli ebbe: e nell' ultima impresa, ov' io mi son ritrovato, intenderanno le eccellenze vostre come il passare avanti e il combattere l'esercito inimico fu sua opinione. Da questo ardire che dimostra l'imperatore nasce che è amato e stimato assai da' soldati, e tanto più quanto egli paga a tutti ciò che promette.

Non può in modo alcuno dissimular questo principe il piacere che ha quando si trova alla guerra. È in quel tempo tutto allegro, tutto vivo, e siccome nelle città e nel resto della vita è gravissimo, così nell' esercito vuol essere in ogni luogo, vuol vedere e intendere ogni cosa, e, dimenticandosi d'essere imperatore così grande, fa officio anco di semplice capitano.

Molti dicono che questo voler ritrovarsi dell'imperatore nelle imprese apporta seco molta incomodità, perchè, essendovi la sua persona, è sempre cosa più necessaria andare più cauti nel camminare, più riservati nel combattere e nel tentare solo imprese che riuscir possano; là dove, non essendovi la persona di Cesare, sarebbero più audaci li capitani nel tentare la fortuna, cono

lo V contro Algeri, col disegno di esterminare, in quel principale loro nido, i pirati che infestavano il Mediterraneo. Una fortuna di mare gli conquassò la flotta, pochi giorni dopo lo sbarco, e lo lasciò su quella spiaggia senza vettovaglie e senza munizioni. A stento potè riguadagnare la Spagna colle reliquie di quell' esercito fracassato. Di questo effetto fu causa la qualità della stagione; intorno che furono vane le rimostranze del Doria; e degli altri capitani di terra e di mare, e quelle ancora di Paolo III.

11524, 1536, 1544.

scendo non poter perdere altro che uno esercito, il quale si potrebbe anco tosto rifare. Molti in somma, massimamente gli Spagnuoli, dicono che meglio averia fatto l'imperatore a non andar esso in persona alle imprese; e che il re cattolico, non si movendo di Spagna, guadagnò il regno di Napoli, quello di Granata, quello di Navarra, e molte città nell' Affrica, come Orano, Buggia ed altri diversi luoghi. E in vero anco questo imperatore, mentre ha lasciate le guerre in mano de' suoi ministri, ha avute sempre onorate e segnalate vittorie. Ma altri dicono poi che essendo servito ora da chi è servito, ed avendo eserciti della sorte ch' egli ha, le cose sue sarebbono andate peggio in sua assenza di quello che sono andate in sua presenza, e che ad alcuni tempi, alcune cose succedono bene, che in altri tempi male averebbono.

Sono stati nell'esercito di Cesare dui maestri di campo: il signor Stefano Colonna', e il signor Giovan Battista Castaldo ".

Del signor Stefano ho veduto ed inteso assai lodare la prudenza e la gravità da tutti; non si lodò egli però

Nipote di Prospero. Come portavano le miserie de' tempi, fece commercio del valoroso suo braccio. Militò prima in Italia con Spagnuoli contro Francesi: disgustato di loro, passò a' servigi di Clemente VII: lasciò il pontefice per la difesa di Firenze nel 1529; dopo la caduta della quale si ricoverò in Francia. Seguitò questa bandiera finchè, credendosi offeso, si offeri a Paolo III. Ma forse nè pur bene contento di questo principe, si pose agli stipendj di Cosimo I; dai quali passò più tardi a quelli di Carlo V. Vediamo nella presente Relazione come nè pure ivi trovando pace, volle tornare in Firenze, dove poi nel 1548 mancò di vita.

Fu costui uno dei più distinti allievi del marchese di Pescara. Lo trovo in Robertson (Vita di Carlo V, L. X.) nominato, sotto l'anno 1551, marchese di Piadena: ma negli Elogi dei capitani illustri di Roscio e Mascardi, unica biografia ch'io mi conosca di lui, è chiamato marchese di Cassano in Lombardia. Concluda come crede il lettore.

molto dell'ultimo servizio', nel quale gli parve che di lui poco conto fosse fatto, onde ei procurò con ogni istanza di ritornare a Fiorenza; ed avendone avuto licenza per mezzo del duca, ritornò contentissimo.

Il Castaldo è reputato uomo molto pratico e di buon giudizio; nè può esser altrimente, avendo un buon ingegno, ed essendosi trovato in altre guerre con molti capitani famosi, e massimamente con il signor marchese di Pescara, l'immagine del quale porta sempre nel petto. Parla delle cose ch'egli ha vedute (le quali son molte, perchè è già uomo di cinquant'anni) molto bene, e con molta grazia. È poi forse libero troppo nel dire ciò che ha in animo; per il che avendo fatto molti servizj all'imperatore, non è stato guiderdonato come gli pareva di meritare, e veramente se gli doveva.

Il marchese di Marignano, capitano delle artiglierie, è riputato bonissimo soldato, e che intende molto bene la guerra; diligentissimo, di molta fatica e di molta pratica. Disegna però sempre all' utilità sua particolare, e cerca d'avvantaggiarsi per ogni via.

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Il signor Camillo è stimato più per la famiglia e merito de' suoi, che per propria virtù.

Nella guerra che si conchiuse col trattato di Crepy.

Gian Giacomo Medichini o Medizini di Milano. Il singolar valore ch'egli mostrò fino dai primi suoi anni nel mestiero delle armi gli valsero così gran rinomanza, che gli fu permesso mutare il suo nome in quello de' Medici, e dirsi della loro famiglia, benchè nato di un conduttore dei poderi del duca di Milano. E questa confusione di casati fu ancor più tollerata quando, quattr'anni dopo la morte sua, il suo fratello Gioan Angelo fu eletto al pontificato sotto il nome di Pio IV. Ebbe da Carlo V il titolo di marchese di Marignano. Era prima conosciuto sotto il nome di Castellano di Musso o di Lecco per il possesso da lui usurpato di quelle terre. Nacque nel 1497; mori nel 1555.

3 È questi un Colonna: il Moreri gli dà lode di miglior militare che da questa Relazione non paja.

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Il signor Pirro fa professione di religione sopra

gli altri e di fede, ed è in grazia di tutti i soldati. Nelli suoi consigli è udito e stimato assai. Quello che ho udito opporgli è che egli è troppo collerico. Ha avuto il carico dei cavalleggieri.

Il signor don Francesco d'Este, signore veramente gentile e cortese e desideroso di salire a maggior grado di onore, ha sotto lui quattro altri capitani; il signor Scipione Gennaro napolitano, il signor Alessandro Gonzaga mantovano, il capitan Cleve greco, il Pozzo milanese.

E per non lasciare alcuno degli Italiani di qualche conto, il conte Francesco della Somaglia, milanese, è stato ancora egli adoperato. È uomo di bonissimo ingegno e di buona memoria, che discorre assai e con buoni fondamenti. Non ha carico determinato. Era riputato molto fautore della parte francese; però alla corte di Cesare troppo non gli credono; ed è opinion di molti, ed esso un giorno non lo negò, che, sotto pretesto di volere il suo consiglio, l'imperatore lo mandasse a chiamare per non lasciarlo in Milano, sospettando grandemente di lui per molti rispetti.

Ha il capitano generale cinquecento scudi al mese, che sono sei mila scudi all'anno. Gli sono pagati venti

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È costui pure un Colonna. Una testimonianza di Du Bellay concorda con la lode che qui ne leggiamo. Pirro Colonna difendeva nel 1544 la fortezza di Carignano in Piemonte, quando, dopo la battaglia di Cerisola, fu costretto a capitolare. Ora ecco quel che ne dice lo scriitore francese, testimonio oculare. «< Après avoir repoussé toutes les attaques, et supporté « toutes les privations, ayant epuisé jusqu'aux derniéres provisions, il obtint « encore, le 20 juin, une capitulation honorable. Lorsqu'il livra la ville « aux Français, il ne s'y trouvoit plus que deux paius de son : il n'y avoit « ni blé, ni pois, ni féves, ni autres grains quelconques; point de vin, de sel, de vinaigre, ni d'huile. » (L. X. )

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Fratello del duca Ercole 11.

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