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vilirsi. Dal che, serenissimo principe, chiaramente si può comprendere quanto importi la virtù d'un uomo solo, e che l'esercizio e l'industria vince sempre senza fallo i difetti della natura.

La gente spagnuola è gente pazientissima, atta all' espugnazione delle città per l'agilità e destrezza del corpo, alle scaramuccie per la bontà dell'ingegno che ha vigilantissimo, a riunire onoratamente le rotte quando per avventura ne tocca. È cortese nel praticare e nel parlare quando è inferiore; onorata molto nel vestire e in tutte le cose apparenti; avara e desiderosa d'arricchirsi per ogni via; sobria e parca nel mangiare e nel bere. L'esercizio dell'armi non è il suo proprio, ancor ch'ella ne faccia professione, ma l'impara però agevolmente. E quella gente che è stata al servizio di Cesare, si è fatta alle guerre d'Italia ed alle guerre straniere. De' Spagnuoli l'imperatore si potrà servir sempre in poco numero fuori di Spagna; perchè essendo così facile ora la navigazione all' Indie, ove con minor pericolo e minor fatica si va a risico di guadagnare assai ed arricchirsi, quella gente, che usciva alla guerra per non avere altro modo di vivere, attende ora più volentieri, e con maggior animo a questi viaggi: e però con tutta la diligenza che fu usata in nome di Cesare per farne uscire sei mila contro Francia, ne furono appena condotti tre mila e cinquecento, tutti tristissima e male ordinata gente. È ben vero che se dovessero uscire ad alcuna guerra fuori di casa sua, usciriano più volentieri a quelle che si dovessero fare in Italia, perchè hanno veduto che tutti quelli che ne sono ritornati, sono ritornati tutti ricchi; oltre che avendo in Italia quanto l'imperatore dà loro in Spagna, pare

a loro in certo modo essere a casa loro, e vivere a modo loro.

Degli Italiani, parte l'imperatore si è di loro servito a piedi, parte a cavallo. È la fanteria italiana animosa e ardita, ma superba e disobbediente, e sopra tutto mal trattata dalli suoi capitani; per il che essendo stata costretta molte fiate ad ammutinarsi, e a cercar padron nuovo e più oneste condizioni, ne ha avuto infamia ed è stata lasciata a dietro da quelli che onorar la dovevano e sostenere, per essere ancora essi Italiani. Ma poi ciò è ritornato in grandissima lode sua e in maggior suo pregio; perchè si è conosciuto che l'imperatore, nell'ultima impresa di Francia, non ha guadagnato quanto avria potuto per non vi si esser essa ritrovata; ove era ferma opinion di tutti che due mila Italiani soli s'avrebbero impadroniti di San Dizier, il che a essersi fatto così tardi si può dire, come intenderanno particolarmente e con gran brevità l'eccellenze vostre, che sia stato cagione di accrescere la riputazione al re di Francia, e di torla a Cesare e ridurlo finalmente a far seco la pace, con quelli patti e condizioni che la fece, senza troppo onor suo.

Di tutte tre queste nazioni tengono insieme più sempre l'Italiano e lo Spagnuolo che il Tedesco, il qual è nemico dell' uno e dell'altro. E una delle maggiori allegrezze che avesse il Tedesco alla impresa di Francia fu, che l'imperatore si ritrovasse senza Italiani, e con così pochi Spagnuoli, ch' egli a loro potesse dar legge.

Con questi capitani e con esercito fatto di questa gente, ha condotto l' imperatore l'impresa del duca di Cleves, e quella di Francia.

E perchè non è azione che l' uomo faccia, che non abbia la sua cagione sufficiente, e quelle che sono maggiori sono fatte con maggiori cause, giudico che non sia fuor di proposito considerare in queste grandi azioni, che avvenute sono nel tempo della mia ambascieria, le cause, incominciando, serenissimo principe, dall' ultima passata di Spagna in Italia e poi in Germania fatta dall'Imperatore; commemorando brevemente perchè passò, poi venendo a considerare le cagioni della pace, e perch'egli non la volse accettare quando venne il duca di Lorena, e poi il cardinal Farnese, e perchè la fece poi con più triste e inique condizioni.

I

Molte sono state le cagioni che hanno mosso e mover dovevano l'imperatore a passare di Spagna alla ruina del duca di Cleves. La prima, che, essendo questi suo vassallo, non doveva tollerare che con l'esempio di costui (di tenere occupato lo stato di Gheldria, che per la morte del duca doveva pervenire a sua maestà) altri disegnassero fare il medesimo. S'aggiunge

Maggio 1543.

2 Abbiamo veduto a pag. 51, come Carlo d' Egmont duca di Gheldria fosse già convenuto con Carlo V, che venendo egli a mancare senza eredi, lo stato suo s'intendesse devoluto all'imperatore, e riunito agli aliri suoi di Fiandra e di Brabanzia. « Ma (dice un luogo più innanzi della pre« sente Relazione, che ci sembra tornare qui più opportuno), mutaio con«siglio, il duca vedendo pure dover morir senza eredi, tentò prima di far << giurare a' suoi stati fedeltà e devozione al re cristianissimo. Il che avendo « eglino ricusato di fare, ordinò che togliessero il duca di Cleves per loro « difensore e proiettore; come quello che avendo gli stati suoi aggiunti alla « Gheldria, conosceva poler meglio difenderla, e medesimamente far più « danni agli stati dell'imperatore che qualsivoglia altro. » E il duca di Cleves non si negò alla occasione; ed essendo, il 30 giugno 1542, venuto a morte il duca di Gheldria, prese possesso di quello stato, e, fidando sulle alleanze, si preparò a difenderlo colle armi. Bene avventurato d'essere uscito senza la sua totale rovina da questo arrischiato tentativo!

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vano appresso le particolari ingiurie del duca verso sua maestà; come sarebbe la ingratitudine di non riconoscere da lui lo stato di Julich (Julièrs), del quale la madre, per pura liberalità di Cesare, era stata investita novellamente'; e il non aver voluto per moglie la duchessa di Milano, che fu maritata al duca di Lorena 3; e l'aversi accostato al re cristianissimo col matrimonio della figliuola della regina di Navarra 4; e la stretta amicizia ch' egli teneva con luterani inimici della santa religione di Cristo; con aggiunta a tutte queste cagioni, molte parole imprudenti che faceva seminare dell'imperatore, e molti danni ch' egli aveva fatti e poteva fare alla Brabanzia e alla Fiandra, per esser come nel cuore degli stati di Cesare. Per queste e altre cagioni fu costretto Cesare a fare questa impresa, nella quale volle andare in persona con esercito di trentacinque mila fanti e dintorno a sei mila cavalli. Tentò di

Sarebbe forse per noi non meno ardua che inutile una discussione intorno i titoli veri della eredità di Juliers. Diremo solo che, malgrado il linguaggio asseveranie dell'ambasciatore, non siamo troppo inclinati a credere alla giustizia del diritto d'investitura arrogatosi da Carlo V, perchè gli storici si accordano a riconoscere in Maria, unica figlia del duca di Juliers, l'erede di quel ducato; il quale ella, per natural diritto di successione, portava nella casa del marito suo Giovanni III della Marck duca di Cleves, padre del duca Guglielmo II, del quale intende parlare la Relazione. Il duca Giovanni era morto nel 1539; e Maria venne a mancare nel 1543. 2 Cristina di Danimarca, nipote di Carlo V, vedova di Francesco Sforza. 3 Francesco, morto poi nel 1545, e padre del longevo Carlo III, regnante già sotto la daia di questa Relazione.

4 Il qual matrimonio, benchè consumato nel 1540 in presenza di testimonj (Sleidanus L. XV, fol. 246, verso, et 247), fu poi, poco dopo la sottomissione del duca a Carlo V, dichiarato nullo; e il duca si unì in nuove nozze, come vedremo, a Maria d'Austria figliuola di Ferdinando; e la principessa di Navarra a Antonio di Borbone, duca di Vandomo, come credo di avere altrove accennato.

pigliar Dura (Dueren ), e con e con la presa di quella città ' debellò il duca e lo ridusse a condizioni di pace; che cedesse la Gheldria e si levasse dall'amicizia del cristianissimo, e de' luterani. E con ciò sollevò tutti gli stati suoi della Fiandra, privò il re di Francia di un grand' appoggio, e di un grand' istrumento atto ad offendere, e spaventò tutti quelli che avevano animo d'innovar cosa alcuna contra di sua maestà; mostrando loro quanto agevolmente e in che breve spazio di tempo il duca di Cleves, riputato uno dei principali principi della Germania, e sostenuto dal re di Francia e da molti altri potentati (avendo due sorelle maritate una nel re d'Inghilterra, l'altra nel duca di Sassonia elettore) fosse stato battuto.

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Questi effetti produsse la passata di Cesare; la quale s'egli non avesse fatta, s'accrescevano le forze del re; il quale con un esercito potente s'era mosso verso Picardia, per potere con le forze unite del duca molestar gli stati bassi di Cesare. Il che gli sarebbe avvenuto, perchè non v'erano forze all' incontro da poter resistere; e la regina Maria, e quegli altri capitani fiamminghi, con la gente sola del paese e con quelle poche provvisioni che hanno ordinariamente per difesa di quelli stati, avrebbero potuto far poco. Il che conoscendo il re cristianissimo, e considerando che per solo rimedio era di mestieri che vi si conducesse l'imperatore in persona con esercito e forze maggiori, designava d'impedire questa necessità con l'armata di Barbarossa 4, 122 Agosto 1543.

2 Anna, andata sposa nel 1540; ma quasi subito ripudiata in causa della sua bruttezza.

3 Sibilla; morta poi essa ed il marito nel medesimo anno 1554.

4 Per impedire a Carlo V il passaggio per mare dalla Spagua in Italia.

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