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signor d'Aras, il quale è molto gentile e letterato, e parla cinque o sei lingue, ed è grato alla corte tutta, e già comincia ad essere presente a tutti li importanti negozj. Fu presente al trattato della pace' col re cristianissimo; e fu mandato in Inghilterra, e poco dopo in Francia. È in somma in molto credito e molta grazia di Cesare, sì perchè esso lo merita, sì perchè è figliuolo di chi è.

È veramente monsignor Granvela nato povero e in piccola fortuna, ancora ch'egli sia ora ricco e in quella grandezza e riputazione che ciascun sa. Ma da niuna parte è tenuto tanto felice, quanto dall' avere una schiera di sette figliuoli tutti gentili, tutti costumati e tutti grati a ciascheduno ed amati generalmente. Le cose ed i negozj di grande importanza non si possono impetrare nè condurre a buon fine, senza il particolare favore d'uno di questi due grandi, Covos e Granvela; e però non vi è re, principe, duca o signore privato alcuno che a loro non doni liberamente e non li intertenga. Lo sa il medesimo imperatore e lo comporta. È certo gran felicità e gran

dissimo contento e soddisfazione di chi desidera alcuna cosa aver modo e via d'acquistare il favore di chi gliela può fare.

È altresì in grande riputazione il duca d'Alva, del quale dicesi pubblicamente ch' egli entra nè consigli tutti, e dice l' opinion sua.

V'è il reggente Figueroa, spagnuolo, allievo del vicerè di Napoli, il quale è tenuto per severo e giusto.

Jdiachez è anco assai adoperato, nelle cose d'Italia massimamente: ma essendo egli uomo assai freddo e molto ritirato, non si crede che ascenderà in molta dignità.

1 Di Crepy.

Dell'animo di tutti questi ministri verso vostra serenità e questa illustrissima repubblica, per quanto si giudica dalle parole ch' egli dicono, si può riputare che sia buono. Ma considerando che tutti sono oltramontani, cioè naturalmente poco amici d'Italiani, e di coloro meno che nulla gli danno, potrebbe essere che l'animo e l'intrinseco del cuore fusse dalle parole diverso.

Dell' animo dell'imperatore verso gli altri principi, malagevolmente cosa certa si può dire; perchè non è cosa alcuna che abbia più secreti che la mente e il cuor umano; e molto più ascosti e intimi secreti hanno gli animi de' principi che di qualsivoglia altro uomo. E però, sì come la prima parte è stata fondata tutta in cose ch'io ho vedute, e delle quali particolarmente m'ho potuto informare, così tutta questa parte sarà appoggiata sopra congetture ed immaginazioni, che la serenità vostra non dovrà udire come cose che altramente esser non possano, ma come cose che variar si ponno e si variano ogni giorno, sì come si può variar la mente e l'opinion d'un uomo. Si può però da questa parte congetturare e fare un saldo fondamento e una universal proposizione, che li principi non amano nè odiano alcuno se non per beneficio o danno loro particolare: il che si dee credere altresì dell' imperatore, e la sperienza l'ha confirmato, perchè s'è veduto chiaramente che egli è stato amico e nemico di tutti, come ha giudicato che miglior gli torni. È stato nemico col re d'Inghilterra, e col medesimo ha fatto lega. Ha combattuto e fatto guerra a campo aperto venti anni continui col re di Francia, e poi, oltra molte altre tregue, fece ultimamente la pace con cui gli cesse lo stato di Milano. Con luterani, ora s'è mostrato amico, ora inimico. Del pontefice ha detto parole molto acerbe

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e pur per lo medesimo ha fatto ciò che vostra serenità sa. Col Turco finalmente, suo natural nemico, ha tentato di far tregue o pace. Per il che si può concludere ch'ei naturalmente non odia nè ama alcuno, ma che sia amico di questo e di quell' altro secondo le occasioni.

E però di vostra serenità, per incominciar da questo capo, sì come l'imperatore conosce che l'amicizia di questo illustrissimo senato gli giova e alla conservazione degli stati ch'ei nell'Italia possiede, e al rispetto del Turco, però si dee credere che, fondandosi sopra il benefizio suo, sia per conservarsi amico di questa serenissima repubblica, della quale ha sempre parlato meco onorevolmente e con molta affezione; e le deliberazioni di questo illustrissimo consiglio di non volere accostarsi al re cristianissimo con quelli tanti partiti, non si potria dire come siano state grate a sua maestà e a tutti li suoi generalmente, si come ricordomi avere scritto per molte lettere mie, molti giorni e mesi sono; onde non accade ridirlo.

Ha parlato l'imperatore non pur meco della confidenza che ha in lei, ma con molti altri, li quali m' hanno ciò riferito; e ultimamente nel prender licenza da

Paolo III si trovò in una quasi costante opposizione con Carlo V, sia per ragione del concilio, che l'imperatore consentiva ai Tedeschi di convocare in Germania; sia per la lega col re d'Inghilterra, sia per aver negato l'investitura del ducato di Milano al Farnese: e il lettore ben si ricorda la missione del cardinal di Ferrara nel 1543 a' Veneziani per condurli in una lega col Pontefice e il re di Francia contro l'Impero. Ciò non ostante, per le ragioni dell'interesse politico che nota si accortamente l'ambasciatore, Carlo V consenti la propria figliuola naturale Margherita, vedova allora di Alessandro de' Medici, al nipote di questo poco favorevol pontefice, e tollerò la nuova signoria di Parma e di Piacenza instituita a vantag gio di quella stessa famiglia.

2 Vedi la nota seconda a pag. 263.

lui, tanto di questa cosa disse che pareva che non ritrovasse modo di finire, dicendomi ch' egli rimaneva soddisfattissimo di me, e che mi aveva obbligazione ch'io con gli offici miei avessi cercato di mantenere questa amicizia. Si volse anco verso il mio secretario, dicendo che quel medesimo di lui sperava.

Ha opinione Cesare che questa illustrissima repubblica non gli sarà in alcun tempo nemica; dal che può nascere agevolmente ch' abbia anch' egli la stessa buona mente verso vostra serenità. Non è da credere però che questa amicizia dell' imperatore sia così salda e ferma, che quando se gli offerisse occasione, con l'inimicizia, di fare a sè beneficio maggiore, non lo facesse; tanto più che sono naturalmente tutti li principi nemici delle repubbliche.

Per non partirmi d'Italia, dirò dei rispetti di sua maestà cesarea verso il pontefice, il quale si può considerare in dui modi; come capo della religione, e come signor temporale. Nel primo caso gli ha avuto, e gli averà sempre rispetto: ma per il temporale, essendo che, come sanuo le eccellenze vostre, il pontefice si è dimostrato sempre in questi tempi francese, e per ogni via ha cercato di fare alcuna cosa nuova in Italia contro Cesare, queste cose tutte erano giudicate tanto più gravi alla corte, quanto che avendo il duca Ottavio una figliuola di sua maestà, pareva che dovesse aspettarsi tutto il contrario. E benchè ora in questa impresa de' luterani pajano congiunti', son però io certo che non vi è amor

■ Nel 1546, si studiò l'imperatore di trar seco in lega, per la impresa disegnata contro i protestanti di Germania, il pontefice: il quale mostrò di acconsentir volentieri, e, il 22 giugno, s'impegnò a fornire un soccorso di dodici mila fanti e cinquecento cavalli, e, nello spazio di due mesi, la somma di dugento mila scudi d'oro.

naturale fra loro, e che le promesse del pontefice nelle cose dello stato hanno poco credito e poca fede in questa

corte, tenendosi per parole finte e simulate '.

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L'illustrissimo duca di Firenze è a sua maestà e a tutti quei grandi tanto grato, quanto qualsivoglia altro signore. Ha impresso nell' animo di tutti di voler correre una medesima fortuna con Cesare, e da lui in tutto dipendere, perchè conosce egli che questa è la sola via e il modo di conservarsi sicuramente. Si dimostrò nelle avversità dell' imperatore in Italia e con genti e con danari; e finalmente non fa, nè pensa cosa alcuna, che non consigli e faccia communicare con l'imperatore. E perciò Cesare gli ha molta affezione, e li suoi ministri sono molto ben veduti in quella corte, e sanno tutto quel più che si può sapere3. Disegna Cesare, e con buona ragione, con le forze di questo duca, che ogni giorno si fanno maggiori, e con quelle del regno suo di Napoli, sempre mantenere in rispetto questo pontefice, s'egli volesse alcuna cosa innovare, e gli altri che verranno dopo di lui.

Genova, cerca egli di mantenerla e conservarla nello stato presente; la quale sendo naturalmente francese, ogni mutazione che si facesse non si potria fare senza la diminuzione dell' autorità del principe Doria; il che non potria essere se non in pregiudizio di sua maestà 4 .

Nè tardò la confermazione di questo giudizio dell'ambasciatore; perche l'anno appresso, come vedremo più distesamente a suo luogo, il pontefice si guastò nuovamente con Carlo V, richiamò le sue genti in Germauia, e ritentò una lega colla Francia contro il medesimo.

2 Cosimo I.

3 E ben lo mostra la loro corrispondenza col duca, da noi consultata in gran parte in questo reale Archivio Mediceo.

4 Vedi intorno Andrea Doria e le cose di Genova la nota a pag. 26 del secondo volume dei documenti di storia italiana del Molini; ove il chiaris

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