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Del duca di Mantova altro non accade dire, perchè sendo il signor don Ferrante nel grado e nella riputazione ch'egli è, avendo anco il reverendissimo cardinale ' poste tutte le speranze della grandezza sua in sua maestà, riconoscendo ancor Cesare lo stato di Monferrato3, e concedendo la figliuola del re de' Romani al nuovo duca, ognuno può credere che l'imperatore abbia quella casa gratissima, e ch'eglino non siano per partire in ogni caso punto dalla volontà di sua cesarea maestà.

Del duca di Ferrara 5, perchè hanno opinione ch'ei sia inchinevole alle parti francesi per lo parentado che ha per cagione di sua moglie, e parendogli che il benefizio fattogli di Modena e Reggio' dovesse essere più riconosciuto, non hanno avuto finora nè hanno molta confidenza. A me però l' hanno detto i suoi ministri molte volte, molto confidentemente, che il duca suol dire alli suoi famigliari domestici ed amici: io nè per l'imperatore nè per altri voglio porre a rischio lo stato mio.

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Del signor duca d'Urbino dirò, che sua eccellenza ha dimostrato molto rispetto e molta riverenza a Cesacol non voler concludere le cose sue particolari senza

re,

simo marchese Gino Capponi, lungamente e con profondo senno politico discorre questa materia. Noterò solo un singolare risultamento; che mentre la potenza di Carlo V domò tutti gli stati d'Italia, desse prosperità ad uno solo, e questo fosse una repubblica, la Genovese.

1 Francesco III succeduto a Federigo suo padre nell' aprile del 1540.

2 Ercole, fratello del defunto duca Federigo, e di don Ferrante governator generale del Milanese.

3 Vedi la nota seconda a pag. 87.

4 Caterina d'Austria, la quale, per ragione d'età, andette sposa solamente quattr' anni dopo, nell'ottobre del 1550.

5 Ercole II.

6 Renata di Francia, come è detto a pag. 183.

7 Vedi a pag. 74.

& Guidobaldo 11 della Rovere, figliuolo del duca Francesco Maria.

il consentimento di sua maestà. Ma però avendo egli mandato suoi confidenti in diversi tempi così a Cesare come alli ministri di sua maestà, e non avendone altro avuto mai che parole dubbie ed irresolubili, si può credere le cose sue non essere a sua maestà molto a cuore.

Lucca e Siena, sendo esse città assai deboli, e dipendendo in tutte le azioni loro, come già dimostrano dipendere, dall' imperatore, non si può credere se non ch' egli ad esse abbia rispetto come cose sue; e che avendole per tali non ricercherà altrimenti di mutar lo stato loro, perchè in un certo modo esse son sue, e perchè dal rinovellare o innovare cosa alcuna egli guadagneria odii e disgrazia con gli altri. Dimora però l'una e l'altra città con infinita suspizione, e tema;e sono Senesi così fra loro divisi, come sa vostra serenità, che potrebbero dare forse giusta cagione, o almeno apparente, di qualche mutazione e di alcuno disturbo3. E quanto a 'Lucchesi, a me hanno detto infinite volte gli agenti suoi, aver molte fiate parlato e deliberato tra sè medesimi, che quando vedessero ridotta in pericolo la libertà loro, per ultimo rifugio, hanno risoluto arrendersi e darsi in preda a vostra serenità*.

Come nella cessione del ducato di Camerino al pontefice, e nel pigliarsi in moglie la di lui nipote Vittoria.

Reputandolo, siccome era in effetto, tutto devoto ai Farnese.

3 È noto, e noi avremo occasione di vedere più opportunamente altrove, come, indi a pochi anni, Siena perdesse, dopo una magnanima difesa, quel vestigio di libertà che tuttavia le restava.

4 Lucca ebbe pur essa a sopportare una crisi che i tempi rendevano indispensabile; un conflitto tra i morenti ordini democratici ed i monarchici che allora si stabilivano per tutta Italia, e fra i quali fu avventurata di potersi comporre in un'ordine medio in forza della legge martiniana ; la quale escludendo da ogni magistrato chiunque non discendeva dalle antiche famiglie sovrane del paese, riformò la repubblica in un'ordine aristocratico, al quale solo, qualuuque egli fosse, dovette ella altri due secoli e mezzo di vita e di indipendenza.

Ora partendo d'Italia, e venendo a parlare dell' animo dell'imperatore verso li re oltramontani, dirò che al re cristianissimo e a quello d'Inghilterra naturalmente è poco inchinevole ed amico.

Con l'uno ha combattuto molti anni continui, e conosce ch'egli solo ha ostato a tutti li disegni suoi, sì come ciascuno sa e manifestamente si è veduto, ed ogni narrazione ch'io ora facessi delle loro lunghe e fastidiose querele, e delli inveterati odii ed inimicizie tra d'essi, sendo cose notissime e chiare ad ognuno, poco necessaria sarebbe.

Con l'altro ha molte cagioni di nimistà, ed alcune offese che sono state nel sangue suo proprio, come fu rifiutare la moglie sua zia '; e l'ultima pace conchiusa tra questi due re accrebbe quest' odio naturale.

La qual pace soggiungerò, che è avvenuta massimamente perchè l' uno e l'altro di questi re ha avuto suspizione che l'imperatore non cercasse di nodrire la guerra fra loro per iscemarli; benchè quello d'Inghilterra si reputi anche offeso dall'imperatore in molte cose, come nella conclusione di questa pace con Francia senza avergli dati gli avvisi che gli promise: benchè l'imperatore così operò considerandosi da lui offeso; perchè dice non avergli attenduta nè osservata cosa alcuna di quelle già capitolate e conchiuse con il signor don Ferrante, ma principalmente non si esser mosso quand'egli si mosse da San Dizier per andar verso Parigi. Ora poi a me disse l'ambasciator d'Inghilterra, che sendo conchiusa la pace con Francesi, il suo re più prudente e sag

Caterina d'Aragona, come abbiamo detto e idelto, ripudiata da En. rico VIII il 23 maggio 1535. Vedi la nota prima a pag. 84.

gio di quello che non è stato, non crederà così facilmente alle altrui parole e alle speranze che gli verrebbero date. Fingerà però l'imperatore, per opinion di tutti, amare quelle due maestà, finchè si spediscano e terminino quelle altre cose a cui giudica ora esser maggior bisogno di provvedere; e avendo un figlio e una figlia da maritare, potria con l'una e con l'altra di queste maestà, per via e con speme di questi matrimonj, intrattenersi e menarle a lungo quanto vorrà, e gli sarà espediente; perchè essendo anche essi re, ed avendo chi figli e chi figlie da maritare, bisogna poi che li parentadi si facciano e si concludano tra eguali. Oltra che il re d'Inghilterra averà sempre rispetto a Cesare per la commodità ch'egli trae dalla Fiandra e dalli Paesi Bassi di molte e varie cose appartenenti al viver umano, di che n'ha quel regno penuria grandissima, essendo da per sè sterile alquanto.

Monsignor di Granvela cercherà d'intrattener l'imperatore più che potrà, che non si discuopra col re cristianissimo; perchè oltra ch' ei stima che ciò forse sia il benefizio del padron suo, conosce anco che fa per sè, e che egli ne ritrae grandissimo utile. Perchè essendo l'imperatore indisposto, come egli è, e potendo anco, come uomo, morire agevolmente; se o esso monsignor di Granvela sopravivesse, o morendo anco egli restassero gli figliuoli, li quali come eredi avrebbero la maggior parte, anzi ogni cosa, in Borgogna; conoscendo, perchè è savic, che quelli che sono stati grandi appresso i padri, ed eglino e la sua discendenza sono odiati dagli eredi; vedendo ancora essere poco in grazia della nazion spagnuola; per benefizio suo particolare, cerca d' intrattenere questa amicizia del cristianissimo, a fine ch' egli ed i suoi possano a casa loro più sicuramente e con maggior commodità

dimorare, che è nel mezzo della Francia, e con grazia del re.

I re di Portogallo e Polonia tiene per amici assai: imperocchè, oltre li parentadi che ha con l'uno ' e con l'altro, da quel di Polonia spera e disegua aver molti

• Sui parentadi tra la casa d'Austria e quella di Portogallo, vedi la nota seconda a pag. 293.

a I vincoli colla Polonia erano meno stretti, per essere, all'epoca di questa Relazione, morta già, senza figliuoli, Isabella sorella di Carlo e Ferdinando, stata sposa del principe Sigismondo, figlio di Sigismondo il Grande, al qual successe nel trono nel 1548, e fu contraddistinto col nome di Sigismondo Augusto. La morte aveva pure indebolito il doppio vincolo contralto dalla casa d'Austria coll' altro ramo de' Jagelloni d'Ungheria e di Boemia, essendo, come altrove abbiam detto, stato ucciso il 29 agosto 1526, nella battaglia di Mohacz contro i Turchi, Luigi II re d'Ungheria e di Boemia, il quale aveva sposata Maria sorella dell' imperatore, e data la propria sorella Anna in moglie al re de' Romani.

E perchè queste ragioni di parentado si rendano più manifeste, ecco un cenno genealogico dei re di casa Jagellona.

Jagellone duca di Lituania, nato verso l'anno 1354, sposó Edvige regina di Polonia, e per forza di tale matrimonio divenne re di quel reguo nel 1386, col titolo che gli piacque d'assumere di Ladislao V,

A Ladislao V, morto nel 1434, successe il figliuol suo Ladislao VI, il quale, circa il 1440 fu chiamato al trono d' Ungheria ove si trasferì per non tornarne mai più, essendo stato trattenuto in continue guerre contro i Turchi, per mano dei quali perdè la vita il dì 11 novembre 1444 nella battaglia di Varna. In Ungheria fu egli il quarto re del nome suo.

A Ladislao VI successe nel regno di Polonia Casimiro IV suo fratello. A Casimiro IV, morto nel 1492, successe Giovanni Alberto suo figlio. A Giovanni Alberto, morto nel 1501, successe il fratello Alessandro. Ad Alessandro, morto nel 1507, successe il fratello Sigismondo il Grande, che mori poi nel 1548, e nel cui figlio, morto nel 1573, si spense quella stirpe valorosa.

Un figlio poi di Casimiro IV, Ladislao, fu nel 1471 eletto re di Boemia, e nel 1490 nella morte di Mattia Corvino (succeduto a Ladislao V figlio di Alberto II d'Austria, il quale era succeduto a Ladislao IV ) fu clevato al trono d' Ungheria; dove poi nel 1516 gli successe suo figlio Luigi II, che mori, senza figli, nel 1526; per cui potè anch'egli esser detto, come lo è stato da noi a pag. 89, l'ultimo de'Jagelloni.

Aggiungeremo, perchè siamo in materia, che Sigismondo Augusto sposó poi, nel 1533, Caterina figliuola di Ferdinando, vedova allora di Francesco III di Mantova, la quale poi rimandò per causa di sterilità.

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