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giuste cagioni, per le quali ho conosciuto chiaramente che è andato in questa ambascieria con molto suo interesse; non si potria dire però come si dimentica ogn'altra cosa sempre ch'egli si ricorda essere al servigio di vostra serenità. E veramente che in sua magnificenza sono tali parti che a me par degna d'esser ministro di questa illustrissima repubblica appresso un principe così grande e virtuoso come è l'imperatore, ed una corte dalla quale dipendono tutti i maneggi del mondo; e sono sì grandi in lui la prudenza, la gravità e lo splendore, che non so quale di queste parti sia maggiore. Ha per segretario il Formento giovine letterato, modesto e diligente, e certo tale che è in grazia di tutti. Del Donino non posso dir cosa alcuna, perchè è stato pochi giorni nella nostra corte; ma il suo ambasciatore se ne loda grandemente; ed a me è paruto, per quei pochi giorni che l'ho conversato, molto riverente e molto costumato. Del Daburti nulla dico, essendochè il clarissimo ambasciator suo ne debbe aver fatto relazione a vostra serenità e alle eccellenze vostre. Ho avuto ancora i due segretarj; il Buonriccio per quattro mesi, le cui fatiche furono riconosciute con l'onorato luogo che gli diede la serenità vostra di segretario di questo illustrissimo consiglio. E veramente che, si come hanno potuto vedere le cccellenze vostre, egli è tale e di bontà e di sufficenza che quanto saranno maggiori le cose, nelle quali l'adopreranno le eccellenze vostre, tanto maggiore sarà il servizio suo. L'altro ch'io ho avuto tutto il mio tempo e nelle fatiche delle diete, e nelli andari delli viaggi, e nei disagi del campo è il Tramezzino, letterato diligente e bellissimo scrittore: è di età di trentotto anni; ba servito e a Roma e a questa legazione; e si trovava ancora estraordinario con solo sedici ducati di provvisione. Non posso fare che astretto dalla verità e da quello che l'ho veduto patire in questa ambascieria, e dalle fatiche che ha fatte inestimabili in servizio di vostra serenità, e di questa illustrissima repubblica sempre e prontamente, non lo raccomandi quanto più caldamente posso alle vostre eccellentissime signoric. Non dubito, e così l'ho sempre consolato, che questa illustrissima repubblica sia per mancare a chi fedelmente la serve; imperocchè alle vostre eccellenze, massimamente, si conviene provare e diffondere la sua grazia largamente sopra i suoi fedeli, e sufficenti servitori, com' esso è.

Di me, serenissimo principe, dirò poche parole, perchè reputo una delle più vergognose cose e pericolose che faccia l'uomo par lare di sè medesimo. Pure dirò, che se in questo maneggio di trentaquattro mesi ho soddisfatto a vostra serenità ringrazio l'infinita bontà del nostro signor Iddio, che abbia adempito tutti i desiderj miei, perchè mai ho desiderata cosa con maggiore affetto di questa e s' io anche avessi mancato, a me duole nel mio cuore tanto più quanto che avendomi giudicato degno la serenità vostra di tanto carico, ella sia rimasta ingaunata dalla sua opinione; ma in ciò mi resta una sola consolazione, ch'io sono consapevole a me stesso di avere usato quanta cura, studio, e diligenza si può usare nel servizio vostro. Mi mandò sua maestà nel partire questa catena, la quale, per li santissimi ordini di questo eccellentissimo stato non può esser mia, se la liberalità di quest' illustrissimo consiglio non la fa mia: nè io ardisco domandarla perchè io sia stato alla guerra non avendo molte fiate nè da mangiare nè da bere, e convenendo dormire sulla nuda e pura terra per non essere arrivati li cariaggi; non per avere veduta la morte di sette o otto miei servitori; non per essermi morti quattro muli e due cavalli, la maggior parte della mia stalla; non per aver passato per molti luoghi sospetti di peste e per avermi esposto a mille altri pericoli della vita; non per avere speso la maggior parte delle facoltà mie in servizio e onore di vostra serenità, sì come desio ch' ella più tosto ciò da altri che da me intenda. Tutte queste cose che ho fatte io, e che mi sono avvenute, debbe fare ed è obbligato a tollerarc audacemente per la patria sua ogni cittadino; ed io ciò doveva fare quanto alcun' altro, perchè non so che alcun' altro abbia l'obbligazione che confesso e conosco aver io a questa illustrissima repubblica patria mia; e quando avesse piaciuto a Dio che in questa ultima infermità di quattro o più mesi, nella quale solo ho speso più di cinquecento scudi, sì come sono stato vicino a lasciarci la vita, così l'avessi lasciata, lo facevo allegramertc conoscendo di lasciarla in servizio di vostra serenità: e nel vero che in tanti miei travagli questa consolazione solo mi restava. Ma io, come ho sopra detto, nè per questo nè per alcuna altra cagione ardirei domandar questo dono se non fosse l'infinita clemenza di questo illustrissimo consiglio, la quale non pure mi dà speranza ma

certezza di averla; e credo che l'eccellenze vostre considerando quello che è degno della grandezza sua si doleranno per avventure ch'egli non sia maggiore, per potere tanto più maggiormente sollevare li bisogni miei. A me sarà gratissimo, perchè reputo sia caparra del servizio mio, e che non vi sia stato ingrato. Solleverà anco parte delli debiti miei che ho contratti in questa legazione, i quali non ho altro modo di pagare se non con la persona mia, e con la grazia delle eccellentissime signorie vostre.

RELAZIONE

DI

LORENZO CONTARIN I

RITORNATO AMBASCIATORE

DA

FERDINANDO

RE DE ROMANI

L'ANNO 1548. 1

1 MSS. Capponi, Cod. VII. pag. 1-143. Nel codice la Relazione è senza nome d'autore: noi l'abbiamo derivato dalla esatta indicazione che se ne legge sul fine della Relazione precedente, ove Lorenzo Contarini è detto ambasciatore a Ferdinando nel 1546; e questa Relazione abbraccia appunto quell'anno c il susseguente, e quello sotto il quale la vediam posta.

AVVERTIMENTO

La presente Relazione abbraccia lo spazio di due anni, come è detto in un luogo della medesima, compresi da circa la metà del 1546 a circa la metà del 1548. Sparge molto lume sulla guerra germanica del 1547, e contiene giudizj singolari intorno quegli uomini e quelle cose.

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