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cano queste cause diffinitivamente. Vi è il consiglio della guerra presieduto dal maresciallo, il qual consiglio è più tosto per trovar modo di eseguire quanto il re ha determinato, che per altro. E vi è il consiglio della camera, ove si consulta del danaro. Paga sua maestà i gentiluomini e officiali suoi a ragione di tanti cavalli per uno, e per ogni cavallo, ogni mese, dieci fiorini renensi; ed eccetto questi primarj, pochi sono che abbiano più di quattro cavalli. Aveva il re ordinariamente per guardia della sua persona sessanta arcieri a cavallo armati alla leggiera, i quali, quando sua maestà cavalca, portano aste che hanno un ferro simile a un coltellaccio, e . . . . alabardieri; ma in questa guerra sua maestà ha cresciuto gli arcieri al numero di cento cinquanta. Tirano questi e dodici e quattordici fiorini al mese di provvisione, e gli alabardieri otto. E questo basti quanto alla corte.

Resta ormai ch' io ragioni solamente delle qualità dell'animo di questo principe, le quali in vero sono tali che non possono essere se non grandemente lodate, perchè di virtù intellettuale e morale l'ho ritrovato che ne ha tanta parte, che io credo rare volte si trovi altrettanta in un principe.

Quanto all'intellettuale, è di buono ed acuto intelletto; ragiona bene in lingua spagnuola, tedesca, latina e italiana; risponde presto, e argomenta; sa di ogni cosa un poco, e ha sempre piacere di domandare e parlare, e, quello che importa, ha buonissima memoria; si diletta di cose d'artificio, massime d'artiglieria, e ne fa professione particolare; è grandissimo negoziatore, e fa ogni cosa, e tutto passa per le mani sue, e non vi è alcuno oratore, sia chi si voglia, che negozj con altri che con sua maestà. E se un povero contadino vuol suppli

care sua maestà, vuole che la supplica si dia a lui: e quando va a messa o a desinare, se qualche povero uomo vuol dire cosa alcuna, il re si ferma e l'ascolta, e poi rimette la causa come gli pare. Ma questo volersi impedire in ogni cosa forse è causa che il più delle volte le spedizioni sono tardi. Sua maestà consulta assai; ma, se bene è di buonissimo intelletto, si riporta però molte volte alli suoi, onde nascono spesso tristissime deliberazioni.

Quanto alle virtù morali, sua maestà è religiosissima, nè mai ha mutato il vero culto di Dio. Ogni dì, subito che è fuori di letto, dice più volte la corona della madonna; ode ogni giorno la messa, e dice l'offizio ogni di di festa, e la vigilia ode il vespero, e almeno una predica, ma molte volte due. Si confessa e communica due e tre e quattro volte l'anno; e finalmente non si vede in sua maestà segno alcuno, se non di vera religione. E per seguire nelle virtù morali, dico che è giusto, e per tale tenuto da ognuno; e se si vede nascere alcuna ingiustizia, ella non procede da sua maestà, ma dai suoi ministri, che male informano. È di animo forte, il che se bene non si è potuto conoscere in cose di guerre ve abbia corso di molti pericoli, si è però veduto nella morte della figliuola, nella morte della regina, ch'egli amava più di sè stesso, e in molte rotte che ha avuto, massime in Ungaria. È temperato, come ho detto di sopra, nella regola della vita sua; oltra che è ferma opinione che mai abbia avuto a fare con altra donna che con la regina, nè innanzi, nè dopo la morte sua. È libérale ; il che chiaro si dimostra per la qualità dei suoi servitori, che sono la maggior parte ricchi, e sua maestà povera: ed è per questo che non si possono ve

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dere opere tali, che possiamo ancora attribuire a sua maestà la virtù in tutto della magnificenza; perchè in nessuna delle sue città egli ha palazzi o fabbriche tali che si convenghino a un tanto principe, e simil cosa si dica degli ornamenti di casa; lo che avviene per non avere mai danari d'avanzo. È sua maestà mansueta, e rarissime volte si vede in collera. È affabile tanto, che quasi è troppo, perchè ragiona con tutti, ride con tutti con una domestichezza troppo grande; in modo che non serva in tutto la reputazione di re. Volentieri lauda le cose e consente volentieri che siano laudate. E veridico ed osservante della sua parola, e delle promesse. Ch' ei sia magnanimo non occorre ragionarne, perchè essendo pervenuto a quella dignità, e dovendo essere imperatore, non occorre che aspiri ad altro; e delle altre condizioni che si richiedono ad un magnanimo ne abbiamo in parte trattato. Ma io non tacerò già che una delle parti principali che si richiedono ad esser tale, cioè lo scordare le ingiurie ricevute, non credo che l'abbia sua maestà, nè lo credono gli altri; perchè se qualche principe l'ha ingiuriato altre volte, egli non si scorda quella ingiuria, e se potesse si vendicaria: il che se bene si deve considerare in verso tutti i principi, per sapere che animo ha sua maestà verso ciascheduno, voglio averlo detto prima principalmente per questo illustrissimo dominio, dal quale sua maestà si tiene offesa per la causa di Murano, di che ragionerò poi.

Ora quanto all'animo suo verso gli altri principi del mondo, dico che quanto a quelli che non confinano con gli stati suoi, tanto li ama o non ama, quanto è l'animo dell' imperatore in verso di loro; che, poichè si

vede chiaramente ch'ella non fa nè vuole se non quanto è il volere del fratello, si deve anco credere che l'animo de' principi verso del re sia tale quale verso l'imperatore: il che voglio intendere non solo de' principi suoi di Germania, ma di Germania ancora. Ben è vero che per essere questo re di natura così benigna, negozia coi principi di Germania molto famigliarmente e non da superiore, ma da compagno; in che vedendolo essi tutto contrario di natura all' imperatore, dimostrano di amare più sua maestà regia: ma all'incontro quanto ciò gli acquista di benevolenza, tanto gli leva di riputazione e di rispetto.

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E quanto ai principi confinanti, lasciando stare quelli dei quali ho ragionato di sopra in particolare, dico che dalla parte verso levante confina col re di Polonia, col quale se bene ha stretto parentado, per essere stato questo re Gismondo fratello del padre di Ladislao d' Ungaria, che fu padre della serenissima regina', non vi è però buona amicizia nè dall'una nè dall'altra parte, per le cause che dirò poi comuni all'imperatore ed al re Ferdinando: alle quali si aggiunge che la regina di Polonia ' odia grandemente il re de' Romani rispetto alla figliuola che già maritorno al re Giovanni d' Ungaria, per essere stata quella molestata dal re de' Romani dopo la morte di suo marito, come è detto di sopra 3; onde pare a loro che il re sia stato causa che quella loro figliuola non sia vera regina d'Ungaria, e così il nipote. E questa medesima causa fa che il re Ferdinando odia il re di Polonia, perchè gli pare che la figliuola doveva contentarsi di

Vedi la genealogia dei re di casa Jagellona alla nota seconda, pag. 355.
Bona Sforza.

3 Vedi a pag. 394 e seg.

avere l'equivalente dei beni patrimoniali in altri paesi sicuri e quieti, che in Ungaria; e che loro sieno stati causa che sua maestà non abbia Buda nelle mani, e non sia padrone della Transilvania, che importa assai. Successe un'altra cosa, che esacerba assai l'animo del re de' Romani; perchè avendosi trattato di dare la prima sua figliuola al figliuolo unigenito del re di Polonia, e dubitando sua maestà e la serenissima regina Anna di dargli la figliuola nelle mani per le cause dette; finalmente, desideroso di fare una figliuola regina, e di avere sempre quel regno parziale, deliberorno di fare il matrimonio. Ma mandata la figliuola in Polonia, cominciorno subito a lamentarsi che ella non era ben trattata dalla regina, e poi, passato poco più di un anno, ella morì non senza opinione di violenta morte, se bene questo è creduto da pochi. Ma questo fu di tanto dispiacere al re e alla regina di buona memoria, come quelli che giudicavano essere stati causa della sua morte, che sono sempre poi stati giudicati di mal animo verso quel re e regina.

Le cause poi che sono comuni al re de' Romani ed all'imperatore sono due. L'una è per il ducato di Prussia il qual soleva già essere sottoposto al gran maestro dell'ordine Teutonico, che si chiamava il gran maestro di Prussia, e portava la croce bianca; e gran maestro era già il marchese Alberto di Brandemburgh vecchio. Il quale, fatto luterano e desideroso di maritarsi, si accordò col re di Polonia, il quale accettò che si facesse padrone della provincia concedendogliela in ducato, come feudo di Polonia: il che è avvenuto contra l'onore ed utile dell'Imperio, le cui provincie non si possono nè alienare nè mutare; e la provincia del gran maestro era provincia d'Im

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