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città sue, e distruggere con rapine ed incendj li paesi suoi, ritrovandola dalli mutui acerbi odj delli principi e stati proprj lacerata, molto maggiormente si muoveria ad assalirla, e assai più facile gli saria ad entrarvi e desolarla tutta, o chiamato da alcuno delli medesimi principi suoi, come sempre è avvenuto in ciascuna guerra dei Cristiani allo stato di quello vicini, o ancora dall'occasione sola mosso di sì crudel dissensione tra coloro proprj che la dovrebber difendere. Per tali ragioni specialmente gli è parso nella curazione di tal morbo imitar il medico prudente, che dove dalli forti rimedj si può temer di qualche pericolo, o della morte dell' infermo, o della distruzione di qualche membro, comincia sempre dai più facili e meno pericolosi, riservando li più forti infine quando vede li primi non giovargli e senza questi estremi non vi restar più speranza di salute. Così ha voluto l'imperatore usare in questo ogni destrezza, e tentare ogni rimedio più tosto che quello dell'armi, al quale si può venir sempre, e quando vi si venga resterà in ogni tempo scusato appresso di ognuno, che non abbia mancato d'usare prima ogni paterno uffizio per indurre i traviati al cammino della salute loro, ma essi medesimi con la dura ostinazione propria s' abbiano provocata contra sè stessi l'ira sua; il qual consiglio fu già dalla sublimità vostra sommamente commendato.

Finalmente per l'amor della religione e della fede di Cristo dimostra sua maestà di esser molto desiderosa che si prendesse una impresa contro li infedeli, nella quale non ricusaria metter la persona propria se unitamente da tutti i Cristiani si movesse. E se ancora ciò non si facesse da'Cristiani, ma pur si movessero i Turchi, o per terra contra li stati di Germania e del serenissimo

re dei Romani, o per mare in Italia, o per qualche altra parte, dice sempre che non è per abbandonar mai in tal bisogno nè suo fratello, nè la religione cristiana, ma per lasciar piuttosto le cose sue proprie, e metter ciò che ha in difensione del fratello ed a servizio di Cristo.

Non pare sua maestà molto domestica o affabile che intertenga con diverse maniere le persone, come si dice che soleva fare il re cattolico, se non che quando è tra li suoi, e con li Fiamminghi specialmente, è, come si dice, domestichissima. Con tutti però è umanissima, e nelle udienze sue molto paziente, sì che non solamente li ambasciatori o nunzi de' principi e ciaschedun gentiluomo che abbia ad esporre alcun suo negozio, andando alle ore determinate, ascolta benignamente con attenzione e somma pazienza in quanto vogliono dire senza interromperli mai punto, e senza che si veda mai alterare per alcuna cosa che se gli dica, o prorompere in alcuna mala parola non degna di un tanto principe; ma ad ogni piccola o povera persona che voglia esponergli o supplicargli alcuna cosa, quando esce fuor della camera, si ferma, gli presta facilmente l'orrecchio e porge la mano, pigliando essa medesima le supplicazioni sue, sì che ad ognuno è lecito esporgli il fatto suo arditamente, e con quella libertà che vuole parlargli ed apertamente dirgli li gravami suoi, senza temere che d'alcuna cosa punto si sdegni, o lo scacci con alcuna mala risposta.

Risponde poi alle proposizioni fattegli così distintamente, e con sì grave, prudente e dolce forma di parole, che è necessario che ognuno si parta sommamente soddisfatto da essa, parendogli che almeno siano state ben udite le ragioni sue, e che possa aspettar tardi o per

tempo quella spedizione che da un giusto e grato principe sperar si conviene.

È, per quanto si può vedere, molto giusta, e non solamente delle leggi nei casi di giustizia, ma ancora delle promissioni fatte, e fede data a ciascuno osservantissima, ed infine intentissima a quel solo che alla dignità ed onor suo appartenga; il qual sempre a tutte le altre cose prepone di modo, che non solo si guarda di non romper mai la parola sua, ma dove ancora non si ritrovi aver fatta promessa vuole che s'abbia sempre innanzi alli occhi quello che sia d'onor suo, ed a quello drizzandosi sempre come a vero segno, si facciano tutte le deliberazioni delle cose occorrenti. Di che massimamente credo che possa far fede al mondo tutto, prima la restituzione che fece di Como, e del castel di Milano al duca, che per altra cagione non fu fatta da sua maestà, contra l'aspettazione forse di molti e contra il consiglio ancora di alcuni dei suoi principali ', poi la terminazione fatta da lei nella controversia della santità

Francesco I di Francia desideroso di procacciarsi una opportuna occasione per togliersi alle dure condizioni del trattato di Madrid, spinse gli stati italiani a sollevarsi contro la crescente potenza di Carlo V. Ma debolmeute assistiti, poscia affatto abbandonati nella pace di Cambray, si ritrovarono questi deboli e scoraggiati a piena discrezione dell' imperatore, il quale nel convegno di Bologna (1530) impose loro le condizioni che più a lui piacquero, e che tornarono forse meno gravi di quanto fosse luogo ad aspettarsi da loro. Francesco Sforza duca di Milano, della persona e degli stati del quale il generale di Carlo V Antonio di Leyva erasi impadronito fino dal 1526, fu restituito nello stato col solo onere di un grossissimo sborso di denaro. I panegiristi di Carlo V, tra quali il Giovio (Lib. 27),.portano a cielo quest'atto, ma non è forse indegno di considerazione il riflesso di Du Bellay (Lib. 3) ch' egli vi fosse determinato dai non leggieri imbarazzi nei quali allora trovavasi, sia in Italia, per essere tutte queste ricomposizioni ancor fresche, sia in Germania per la doppia ostilità dei turchi e degli eretici. E forse ancora contava egli sulla debile salute del duca per venire fra poco a un meno pericoloso possesso di quello stato, come in fatti ebbe luogo cinque anni dopo.

suo,

del pontefice col duca di Ferrara, nella quale, benchè avesse desiderio grandissimo di compiacerla in tutto quel che potesse (e per questa cagione ancora gli concedesse oltre il termine del compromesso quante dilazioni si potè, ed in tutte facesse ogni uffizio e pregando ed esortando e proponendo tutti li casi perchè sua santità si disponesse ad accettar qualche accordo ), nondimeno conoscendo in fine non potere con onor suo altro fare che venire alla definizione di questa controversia per via di sentenza, e questa per giustizia non potersi fare se non in favore del duca, e fatta doversi eseguire, non ha avuto rispetto in scompiacerla e darle cagione forse di mal contentarsi e di allargarsi almeno un poco, se non in tutto alienarsi, dall' amicizia sua '.

Quanto alli atti di liberalità e magnificenza, non si vede in vero, così nel vestir suo come in quello della sua corte, molto splendida, anzi parca assai, di modo che comunemente usa abiti non di più che di seta; e quelli a cui dona la sua livrea sono stati qualche fiata con li abiti vecchi aspettando i nuovi più di quello che pareva convenire alla grandezza sua.

Molti poi che sperano, o per servizj fatti o per altra cagione, da sua maestà, lungamente aspettano innanzi che possino ottenere, si che par che questi tali non molto in ciò di lei si tengano soddisfatti, o la reputino non liberale; delli quali non mancano ancora che dica

■ Clemente VII per desiderio di riunire in un sol corpo gli stati Pontifici e la Toscana, riconosciuta nei trattati di Bologna alla sua famiglia, con Parma e Piacenza già acquistate alla chiesa, rivendicava con titoli poco soddisfacenti Modena, Reggio e Rubiera, e in certo modo l'intero stato del duca di Ferrara. Carlo V erettosi giudice di questa controversia, decise a favore di Alfonso d'Este non meno forse per ragione di giustizia di quello che per impedire appunto l'effetto desiderato dal Papa.

no, che morendo alcuno che le sia stato servitore, per grande o caro che le fosse, non si ricorda dopo morte più del servizio, non si vedendo che alli suoi in memoria del servitore morto faccia quella dimostrazione che un tanto servizio ed affezione pareva che ragionevolmente dovesse portare, sì che questo, come dicono, riman morto in tutto. Ma in vero quei medesimi poi non ponno ciò negare, che pur spende nel piatto suo e delli suoi che tengon tavola, nella caccia, ed in altre spese sue ordinarie, e in doni ancora assai più che non faceva il re cattolico, che è tanto laudato da ognuno; nè lascia di remunerare in qualche forma tutti quelli che l'han servita, il che fa quando può o gli viene occasione di farlo, o con vescovadi, abbazie, commendarie, o con qualche stalo, o con diverse provvisioni, o con denari contanti, benchè in tal remunerazione pare che più pronto e più largo sia verso Fiamminghi che verso li Spagnuoli o Italiani, che in vero più a quelli, come si dice, essendo nato e nutrito tra loro, che a questi ha naturale inclinazione.

Dona ancora assai a diversi signori, ed ambasciatori di principi, e ad altre simili persone, e so per chi ha maneggiato i conti suoi, che nella partita sua di Bologna fece dono a moltissimi Spagnuoli che di là si ritornorono in Ispagna per più di scudi trecento mila; ed in Bruselles questo luglio passato fu levato un conto di molte spese straordinarie fatte da lui, dalli ventuno di marzo 1530 che partì di Bologna fino al dodici di luglio seguente, le quali nontavano alla somma di scudi dugento settanta mila, nè v'erano spese se non in donativi fatti a diversi signori e gentiluomini ed altre persone tali, per il che non pare che si possa

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