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dire non liberale. Ma se pur si vede quella parsimonia nel vestir suo, e de' suoi che ho detto, questa si può dire che, oltre a qualch' altro prudente rispetto, usi perchè avendogli convenuto star già molt'anni in continue ed eccessive spese di guerra, ed altro, che senza detrimento della dignità sua e rovina forse delle sue cose non gli pareva poter pretermettere, e per questo avendo contratto molti debiti, gli è parso allora di attender a quelle, e di poi pagare i debiti suoi, piuttosto che attendendo all' altre cose che potevano dargli solamente un poco di splendore, dover poi lasciare le più importanti e più debite a lui; onde spendendo ciò che ha con la misura predetta, a me par bene che si possa dire non prodigo, ma non già in ciò non liberale.

Delle mercedi veramente son tanti quelli che aspettano, che non potendo ancora supplirvi la facoltà che tiene, e poi tardandosi eziandio molto, per il natural costume suo, la remunerazione ed il dono, fa che da questi tali si stimi e dica di lei altramente. Questa tardanza in vero, la quale par che usi così nel dispensar le dignitadi e benefizj di qualunque sorta ed in far grazie e doni e pagar mercedi, come nelle conclusioni ancora delle cose proprie ben di momento, fa che non solamente da chi procura ed aspetta l'espedizione, ma ed ancora da' suoi medesimi consiglieri e ministri si mormori non poco di lei, ed in ciò si dica che poco soddisfa a chi l'ha servita, ed alle cose sue proprie porta non picciol disconcerto. Nondimeno, o proceda questo dalla natural complessione sua, che abbonda molto di flemma, o dalla moltitudine e gravità dei negozj, che ricercando molta consulta la tengono ancora molto e lun

gamente occupata, infine però si vede e nelle deliberazioni prudentissima e nelle concessioni assai larga, sì che chi aspetta grazia o mercede, ottiene per il più ciò che domanda, benchè quel che ottiene per il tedio del troppo aspettare non l' ha per grato; ma in qualunque modo sua maestà in ciò si governi, queste due cose sole fanno che non solamente molti degli esterni, ma ancora dei proprj suoi dicono qualche cosa contro di lei e che li Spagnuoli specialmente si dolgano assai che non sia cosi pronta nè così larga con loro nelle remunerazioni o grazie che aspettano, come con li Fiamminghi; le quali due sole cose detratte, niuna altra sanno ritrovare in lei che non sia degna di molta laude.

Ma io per non esser più lungo in narrare ad una ad una le virtù sue, di due sole dirò, ancorchè mi pajano le principali e quelle che da vostra serenità debbono essere più estimate ed avute care, le quali sono tra sè stesse molto congiunte. L'una è che sua maestà non si vede molto cupida nè ingorda d'occupar nuovi stati, e aggiungere a sè o a'successori suoi, con incomodo delle cose cristiane, maggior grandezza; e l'altra che ama sommamente la pace. Per il quale effetto quando passò di Spagna in Italia, la vostra serenità ben sa come subito, dove pur pareva che per le vittorie tante avute e per le forze sue accresciute non solo di gente nuova ma ancora dei nuovi collegati tolti agli avversarj proprj suoi, dovesse volere a libito suo imponer leggi e dare le condizioni ad ognuno, nondimeno facilmente s'indusse, contro il volere e parere d'alcuni proprj ministri suoi e contra l'aspettazione di molti altri, non pure a rimettere ogni offesa che avesse da qualche principe d'Italia ricevuta, ma a consentirgli il fatto

proprio delle ragioni onde si reputava che questo tale fosse caduto, per lasciar non solamente placata e quieta, ma contenta questa provincia con satisfazione di tutti li principi e stati suoi, e specialmente di questa repubblica, che tal grazia sommamente desiderava e con ogni affetto richiedeva.

essa,

Di poi passato in Germania, e conosciuto che in quella provincia, per l'assenza del capo, nascevano ogni di disordini li quali portavano grandissima rovina a quella stessa, e non minor pericolo alli altri stati e cose cristiane, non solamente consentì, ma procurò che fosse eletto il fratello re dei Romani, sofferendo di privar con tale elezione la succession sua di tal dignità, per non lasciar si importante provincia senza il capo suo, ma in stando lei lontana, ponerci un'altro sè stesso, che come consorte nell'impero avesse a reggerla e governarla in assenza sua. Per questo effetto solo ancora, fuggendo quanto può sempre ogni occasione di guerra, si vede sopportare alcuna volta cosa che par forse contro la dignità sua, piuttosto che venire alle armi, come per avventura nelle cose di Germania si è veduto, e non meno nelle rovine che ha avuto il duca di Savoja suo cognato con Svizzeri, nelle quali richiesta sua maestà con molta istanza, non gli ha voluto mai prestar aiuto, ed ha sofferto che non solamente esso ne patisca, ma, occupandosi da' Svizzeri Ginevra, si faccia anche qualche pregiudizio all'Impero, piuttosto che prendendo le armi per lui, s'appiccasse forse nuova guerra in Italia '. E così ogn' ora che gli è proposta

Ginevra città libera imperiale lottava da circa un secolo, sotto la protezione del vescovo, contro i principi di Savoja che ne anelavano il dominio, quando nel 1518 pervennero questi ad investire di quel vescovato uno della

alcuna cosa che porti suspicione di qualche principio di guerra la schiva come il fuoco, nè vi vuole attendere in conto alcuno. Il che massimamente avvertisce nelle cose d'Italia, la quale con ogni cura e studio suo cerca di conservare nel quieto e pacifico stato presente, in che gli pare con inestimabile spesa, fatica, e pericolo delli stati suoi, e travaglio della persona sua propria, averla posta. Nella qual opinione si dimostra costantissima così per tal inclinazione sua naturale, come perchè pur si stima in questo modo essere come sola padrona del tutto, avendo tutti li principi e stati di essa o soggetti, o d'amicizia e confederazione tale congiunti, che ognuno l'osserva ed è prontissimo di compiacergli; ed altrimenti facendo potria, introducendovisi un altro principe, non solamente farsi questo di parte di essa signore, ma ancora del tutto, e o seco o solo per avventura padrone. E però essendo stata più volte e per diverse vie tentata dal re cristianissimo per le cose dello stato di Milano, ancorchè avesse forse desiderio di gratificarlo in tutto quel che potea nelle cose oltramonti, ed avesse dato in commissione a monsignor di Prato, quando andò ultimamente in Francia, che in ogni altra proposizione fatta stringesse la pratica, nondimeno di quello stato non ha voluto, non dico compiacergli, ma pur udirne mai parola; anzi ha voluto che in ogni accordo che hanno trattato insieme, questa condizione stesse sempre ferma, ch'esso in questo stato in niun modo vi avesse parte, e di ciò

loro casa, e per questo mezzo a conseguire il fine desiderato. Furono però quasi sempre in guerra e col popolo conquistato e coi confederati di quello, finchè adottatisi dalla maggiorità degli Svizzeri i principj della riforma, all'amore dell'antica indipendenza unitosi il nuovo zelo di religione, Ginevra si rivendicò in libertà.

non si contentando lui, non solo non si concludesse alcuna cosa, ma si togliesse ogni pratica; il che solo fu forse cagione che detto monsignor di Prato si ritornasse allora di Francia senza conclusióne alcuna.'

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E siccome ho inteso per buona via, una delle potentissime ragioni che l'indusse a donare il contado di Astial duca di Savoja fu per liberarsi dalli continui prieghi ed instanze che gli faceva la regina cristianissima sua sorella 3 perchè lo restituisse al re suo marito, al che non ha mai voluto acconsentire, acciochè non avesse detto re in modo alcuno piede in Italia, che gli desse sempre più facile occasione di perturbarla. S'intertiene per il medesimo effetto non con quei principi e stati cristiani solo che ha amici o congiunti, usando sempre ogni amorevole uffizio che le occasioni l'inducano a dovere usar loro, ma con li altri ancora con cui non abbia tal espressa congiunzione, dissimulando spesse volte qualche cosa che potria forse dare, a chi volesse avvertirvi, cagione di guerra, per non la romper con alcuno; dove sarà forse opportuno intendere che disposizione abbia sua maestà verso ciascuno.

Le pretensioni dei re di Francia al ducato di Milano fondavansi sulla eredità dei Visconti, ch' essi sostenevano appartener loro per ragione di Valentina figlia di Giovan Galeazzo, sposata a un Luigi d'Orleans dal quale per linea di promeginiti sortirono Luigi XII e Francesco I. E ciò tanto più che la successione degli Sforza all' estinta famiglia dei Visconti non fu dapprima appoggiata che a un vincolo contratto da loro con una figlia naturale di quella casa. Questo fu il fondamento di dissensioni che lacerarono per tanti auni l'Italia.

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Questo contado fu parte della dote di Valentina, e Francesco I, per una delle condizioni del trattato di Cambray, ne aveva fatto dono a Carlo V. Le lettere patenti del dono del contado al duca sono del 13 aprile 1531 e del 20 novembre susseguente. Vedi Guichenon. T. II, pag. 207.

3 Eleonora, sposata, come altrove abbiamo veduto, a Francesco I per convenzione del trattato di Madrid.

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