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dava lo eccelso Campidoglio. Il regale e nuovo palazzo coperto di paglia romulea tremava. E qui la bianca oca, volando ne' portici dorati cantava che i franciosi erano presenti. Ancora quando la romana nobiltà, assediata da Annibale, rovinava in tal modo che all'ultima distruzione della romana repubblica, non restava se non lo assalto degli Affricani nella città, accadde che per una subita e intollerabile gragniuola gli Affricani vincitori non poterono loro vittoria seguire; e questo scrive Livio nell'affricana battaglia. Or non fu egli mirabile cosa il transito di Clelia che femmina e prigioniera nell'assedio di Porsenna ruppe i legami, e per aiuto di Dio, passò notando il Tevere, come gli scrittori romani, quasi tutti per gloria di quella città, narrano? E così si conveniva operare a Colui, il quale ab eterno con bell'ordine tutte le cose provvide, acciocchè colui che era invisibile, avendo a mostrare miracoli per le cose visibili, diventasse visibile, e quelle per le invisibili dimostrasse.

Colui che dirizza il pensiero suo al bene della Repubblica, dirizza il pensiero al fine della ragione; e che così seguiti, in questo modo si dichiara. La ragione è una proporzione reale e personale tra uomo e uomo, la quale quando s' osserva, conserva la umana congregazione, e quando è corrotta la corrompe. Inperocchè quella descrizione, che si fa ne' Digesti, non dice proprio quello che fia ragione, ma descrive quella secondo il modo d' usarla. Adunque se questa definizione bene compren

et quare comprehendit, et cujuslibet socie-. tatis finis est commune sociorum bonum: necesse est, finem cujusque juris bonum commune esse: et impossibile est jus esse, bonum commune non intendens. Propter quod bene Tullius in prima Rhetorica: Semper, inquit, ad utilitatem Reipublicae leges interpretandae sunt. Quod si ad utilitatem eorum qui sub lege, leges directae non sunt, leges nomine solo sunt, re autem leges esse non possunt. Leges enim oportet homines devincire ad invicem propter communem utilitatem. Propter quod bene Seneca de lege, cum in libro de quatuor virtutibus: : Legem vinculum dicit humanae societatis. Patet igitur, quod quicunque bonum Reipublicae intendit, finem juris intendit. Si ergo Romani bonum Reipublicae intenderunt: verum erit dicere, finem juris intendisse. Quod autem Romanus populus bonum praefatum intenderit, subjiciendo sibi orbem terrarum, gesta sua declarant: in quibus, omni cupiditate remota, quae Reipublicae semper aversa est, et universali pace cum libertate dilecta, populus ille sanctus, pius et gloriosus, propria commoda neglexisse videtur, ut publica pro salute humani generis procuraret. Unde recte illud scriptum est: Romanum Imperium de fonte nascitur pietatis. Sed quia de intentione omnium ex electione agentium, nihil manifestum est extra intendentem, nisi per signa exteriora; et sermones

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de la sostanza e lo effetto; ed il fine di ciascuna congregazione è per cagione del bene de' compagni: è necessario che il fine di qualunque ragione sia il bene comune; ed è impossibile che sia ragione quello che non attende al bene comune. E però Tullio nella prima Rettorica dice: Che sempre si vuole interpetrare le leggi a utilità della Repubblica. E se le leggi non si dirizzano a utilità di coloro, che sono sotto la legge, hanno solo il nome di legge, ma in verità non possono essere legge. Imperocchè conviene che le leggi uniscano gli uomini insieme a utilità comune. Per la qual cosa Seneca bene dice nel libro delle quattro virtù morali: Che la legge è uno vincolo della società umana. É adunque manifesto che chi attende al bene della Repubblica, attende al fine della ragione. Adunque se i Romani attesono al bene della Repubblica, si potrà veramente dire che abbiano atteso al fine della ragione. E che poi quel popolo abbia atteso al detto bene, sottomettendo a sè il circolo della terra, i suoi fatti lo dichiarano. Ne'quali, rimossa ogni cupidità, che sempre ad ogni Repubblica è nemica, amando la pace insieme con la libertà, quel santo, pietoso e glorioso popolo si vede avere dispregiato i propri comodi, acciocchè procurasse le cose pubbliche per la salute della umana generazione. Onde rettamente è scritto: Lo Imperio Romano nasce dal fonte della pietà. Ma perchè della intenzione di tutti quegli che operano per elezione, nessuna cosa è manifesta a chi di fuori riguarda, se non pe' segni esteriori; e perchè

inquirendi sunt secundum subjectam mate. riam, ut jam dictum est: satis in hoc loco habebimus, si de intentione populi Romani signa indubitabilia tam in collegiis quam in singularibus personis ostendantur. De collegiis quidem, quibus homines ad rempublicam quodam religati esse jure debent, sufficit illa sola Ciceronis auctoritas in secundo de officiis: Quamdiu, inquit, Imperium reipublicae beneficiis tenebatur, non injuriis, bella aut pro sociis aut pro Imperio gerebantur: exitus erant bellorum aut mites, aut necessarii: Regum, populorum, et nationum portus erat et refugium, Senatus. Nostri autem et Magistratus, Imperatoresque in ea re maxime laudem capere studuerunt, si provincias, si socios. aequitate et fide defendissent: itaque illud patroci nium orbis terrarum potius quam Imperium poterat nominari. Haec Cicero. De personis autem singularibus compendiose progre diar. Numquid non bonum commune inten. disse dicendi sunt, qui sudore, qui paupertate, qui exilio, qui filiorum_orbatione, qui amissione membrorum, qui denique animarum oblatione bonum publicum augere conati sunt? Nonne Cincinnatus ille sanctum nobis reliquit exemplum libere deponendi dignitatem in termino, cum assumptus ab aratro Dictator factus est, ut Livius refert? Et post victoriam, post triumphum, sceptro Imperatorio restituto Consulibus,subadactus post boves ad stivam reversus est. Quippe in ejus laudem Cicero contra Epicu

i sermoni si richieggono secondo la soggetta materia, conforme di sopra è detto: assai in questo luogo avremo, se della intenzione del popolo romano, segni indubitabili ne' collegii e nelle private persone si mostrino. De'collegii pe'quali gli uomini pare che sieno legati insieme nella Repubblica, basta solo l'autorità di Tullio nel secondo degli Officj, ove dice: che mentre che l'imperio della Repubblica si teneva co' beneficj, e non colle ingiurie, si faceva guerra o pe' collegati o per lo imperio: e però i fini delle guerre erano miti o necessarj; il Senato era porto e refugio di re, popoli e nazioni. I magistrati nostri e imperadori si sforzavano in questo massime acquistare lode, se difendessino le provincie ed i compagni con equità, gloria e fede; per la qual cosa questo si poteva chiamare piuttosto soccorso del mondo che imperio. E questo disse Tullio de' collegj. Ma delle persone private brievemente tratterò. Or non si debbe egli dire che coloro abbiano atteso al bene comune, i quali con sudore, e povertà, ed esilio, e privazione di figliuoli, e perdimento di membri, e colla morte, il pubblico bene hanno cresciuto? Or non ci lasciò grande esempio Cincinnato di deporre liberamente la dignità nel termine quan do levato fu dallo aratro e fatto Dittatore, come Livio riferisce? E dopo la vittoria e 'l trionfo, restituita la imperiale bacchetta a' Consoli, si tornò alle possessioni sue a sudare dietro a’ suoi buoi; ed a laude di costui, Tullio contro

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