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cere. La canutezza, la quale, benchè rara, apparve già dai primi anni, io non so come, in sul mio capo giovanile, e la quale, essendomi sopravvenuta insieme colla prima lanu gine, avea per gl' imbiancati capelli una certa non so quale dignità, come dissero alcuni, ed insieme aggiungeva alle fattezze del mio volto ancor tenero non lieve ornamento; ella pur nondimeno m'era spiacevole, perchè all'aspetto mio giovanile, di cui molto io mi compiaceva, almeno in quella parte opponevasi. Io ebbi vivo il colore, tra il bianco e il bruno, gli occhi vivaci e la vista per lungo tempo acutissima; la quale, fuori della mia aspettazione, mi mancò dopo il sessantesimo anno della mia età, così che, mio malgrado, mi convenne ricorrere ai visuali ajuti. Venne la vecchiezza: e sopra il mio corpo, per tutta l'età mia sanissimo, trasse l'usato moltiplice stuolo delle infermità, che l'accompagnano.»>

Chi voglia poi ritrarre al vivo l'animo dell'egregio poeta, il potrà fare agevolmente, ove con occhio scrutatore si farà a leggere la raccolta delle sue lettere familiari, senili, varie e senza titolo; il libro Del disprezzo del mondo e, più che ogni altra sua opera, il celebratissimo suo Canzoniere.

CAPO VII.

I. Cenno sulle opere latine del Petrarca, poetiche, morali, storiche. -II. Come i poeli greci e latini consideravan l'amore. -III. Teoria di Platone intorno all' amore.-IV. Il Cristianesimo santifica l'amore, nobilita la donna.-V. La donna presso le genti germaniche. VI. La Cavalleria contribuisce a nobilitar la donna.VII. Come i primi poeti italiani e Dante meglio di ogni altro cantasser di amore.-VIII. Il Petrarca giovossi delle dottrine dei suoi predecessori e più ampiamente l'espose.-IX. Pregi e difetti del suo Canzoniere.-X. Confronto fra Dante e Petrarca.-XI. Come questi contribuisse alla cultura generale.

I. Il Petrarca fu uomo dottissimo: dalla sua svariata dottrina, dal suo merito nel poetar latinamente egli sperava l'immortalità pel suo poema latino dell' Africa fu coronato in Campidoglio. Scrivea le rime volgari per isfogo di passione e per passatempo: scriveale però con molta cura, le correggea con sollecita attenzione: quando si accorse ch' erano assai gradite e ricercate, si dolse di non averne scritte in maggior numero e con maggior diligenza.

S' io avessi pensato, che si care
Fosser le voci de' sospir miei in rima,
Fatte l'avrei dal sospirar mio prima
In numero più spesse, in stil più rare.

Prima di parlare adunque del suo Canzoniere, mi par bene fare un rapido cenno delle sue opere latine molto più che egli su quelle pose grandissima sollecitudine, come su monumento di sua sperata gloria. Anzi per quei primi tempi di risorgimento intellettuale sembra necessario tener conto di tutti gli scritti degl'Italiani, in qualunque lingua dettati : perchè in essi tutti meglio si osservano la cultura e lo sviluppo degl' ingegni; il carattere, che mano mano ivan prendendo e perché.

L' Africa parve nel secolo XIV una meraviglia: ora è quasi dimenticata se ne parla, perchè è di Petrarca : se ne parla, per mostrare la diversità dei giudizj secondo i tempi: rari la leggono, cioè ne leggono qualche brano, per convincersi da se stessi di quanto affermano gli scrittori della storia letteraria d' Italia. Le Egloghe son dello stesso merito. Senonchè in queste talora ha qualche tratto poetico e scritto con gusto di vera latinità. Il principio dell'Egloga seconda dimostra il già detto.

Or come deve spiegarsi, che il Petrarca, fin dalla sua gioventù studiosissimo dei poeti latini e di Virgilio principalmente, pur non ne acquistò quella eleganza, che splende bellissima nei carmi di molti egregi latinisti del secolo XVI? Dovremo dire, che certi frutti son proprj di certe stagioni e allora solo vengon perfetti? Io credo ciò che la esperienza fino ai dì nostri insegna. Per iscriver con gusto squisito in una lingua, è uopo cominciarla a studiare sin dalla prima età colla guida di maestri espertissimi, i quali ne facciano osservare le più dilicate bellezze e l'indole speciale di essa è uopo avvezzare le tenere menti a far tesoro di quelle parole, di quelle comparazioni, di quelle imagini, di quelle moltissime altre piccole cose, che difficilmente si possono enumerare e definire e che costituiscono il bello stile di uno scrittore, anzi il bello di una lingua è uopo finalmente esercitarsi a scrivere frequentemente, per mettere in traffico

classici si è acquinulla, se non si se

quel ricco capitale, che nello studio dei
stato. Eppure tutto questo non gioverà
conderà la naturale attitudine a trattar questo argomento anzi
che quell'altro. Per lo che il Venosino nell' Epistola ai Pi-
soni cantava :

Sumite materiam vestris, qui scribitis, aequam
Viribus, et versate diu quid ferre recusent,
Quid valeant humeri: cui lecta potenter erit res,
Nec facundia deseret hunc, nec lucidus ordo.

Ora il Petrarca fece questi suoi studj di lingua latina da se: non ebbe, nè poteasi aver guida o consiglio utili da nessuno in un'età, che scriveasi in latino barbaro. Egli, anima delicatissima, soave, affettuosa, innamorata, nato fatto per cantar d'amore, nato fatto per esser poeta lirico, ufficio del quale non è già narrare le altrui eroiche imprese, gli altrui affetti, ma dare sfogo cantando ai suoi proprj sentimenti ed affetti; poteva mai scrivere in buona poesia latina, e, quel che più monta, un poema epico?

Delle opere latine in prosa alcune sono di qualche pregio, non per la forma, essendo prolisse e prive di quell'aurea latinità, che si osserva eziandio nei prosatori latini dei secoli seguenti; ma sì bene spesso per la materia. Esse mostrano sovente lo studio fatto dal Petrarca sugli antichi scrittori di filosofia morale e principalmente sugli affetti del cuore

umano.

Scrisse un libro Della Vera Sapienza, nel quale introduce un saccente a ragionare con un idiota di buon senso, affin di svergognare la dialettica dei tempi suoi, ridicola e inutile al cuore e all' intelletto. I due libri De Remediis utriusque fortunae scritti in dialoghi prolissi e scolorati e dedicati ad Azzo da Correggio, che avea perduta la signoria di Parma, abbondano di erudizione, per dimostrare, che i beni di questa terra sono fallaci, e che la ragione può addolcire le calamità e volgerle a nostro vantaggio. Abbiamo accennato il libro De sui ipsius et multorum ignorantia, scritto contro alcuni giovanotti veneziani, i quali, fattisi di propria autorità, come è uso anche a di nostri, facili dispensatori di lode o vitupero, aveano parlato contro di lui. Abbonda di comune

e presuntuosa erudizione e di molte sottigliezze, fra le quali è qualche buona sentenza, come questa, che la letteratura a molti è stromento di follia, di superbia a quasi tutti, se non cada in anima buona e costumata. Coi due libri Della vita solitaria, dedicati a Filippo di Cabassole vescovo di Cavaillon, pare ci voglia indurre ad abbandonare la società, invitandoci tutti alla solitudine, descrivendo le noie e gl' impacci della prima, la serenità e le dolcezze della seconda. Ma è possibile dar retta a sentimenti siffatti? E in preda a chi resterebbe allora il mondo? Ed egli stesso il Petrarca, quantunque di tempo in tempo ritiravasi nella solitudine or di Valchiusa, or delle campagne di Milano, or finalmente di Arquà, non si mischiava egli pure, finchè gli anni e le forze glicl permisero, negli affari della politica, consigliando, scrivendo, frequentando le corti, sostenendo ambascerie? A Luchino Del Verme, comandante dell'esercito veneziano, indirizzò un trattato Degli uffizj e delle virtù di un capitano. Il Tiraboschi, per cosa di quei tempi, lo loda: il Cantù dice, che chiama alle labbra il riso di Annibale. Lo stesso giudizio dà il Tiraboschi dell'altra opera Del governare uno stato e il Cantù afferma, che barcola su luoghi comuni, che nè rischiarano i savi, nè correggono i ribaldi. Più pregevole è il libro De Contemptu Mundi, nel quale con cristiana umiltà confessa i suoi falli, prega Dio ad usargli misericordia. In quest' opera imita ancora la Vita Nuova di Dante, commentando le proprie poesie ed analizzandone i pensieri profondi e dilicati (4).

Il Petrarca amava moltissimo gli studj storici. E perciò si diede con grande cura a raccogliere antiche medaglie, siccome irrefragabili monumenti di storia. Egli nelle sue lettere familiari (2) si mostra versatissimo nella storia romana, allorchè descrive con piacere gli antichi monumenti di Roma, da lui osservati quando vi si condusse la prima volta. E forte si duole, che i Romani non li curavano, e che per ingordigia di danaro ne vendevan gli avanzi. » Chi v' ha oggi più ignorante nelle cose romane dei Romani medesimi: il

(4) Tiraboschi nel luogo citato, L. II, c. II, § 37.-Cantù, Storia degl'Italiani, cap. CIX.

(2) Famil., L. VI, ep. 2.

dico con mio dolore: Roma in niun luogo è men conosciuta che in Roma.» E nella epistola esortatoria a Cola di Rienzo volge ai Romani questo acerbo rimprovero. «Non vi siete arrossiti di fare un vile guadagno di ciò che ha sfuggito le mani dei barbari vostri maggiori; e delle vostre colonne, dei limitari dei vostri templi, delle statue, dei sepolcri, sotto cui riposavano le venerande ceneri dei vostri antenati, per tacere d'altre cose, or s'abbellisce e s' adorna l'oziosa Napoli (4).» E nel suo libro Del disprezzo del Mondo racconta, che avea cominciato a scrivere la storia romana da Romolo a Tito, che poscia interruppe, per iscriver l'Africa (2).

Dettò egli adunque quattro libri Rerum Memorandarum ad imitazione di Valerio Massimo. Vi narra molti fatti cavati dalle antiche e moderne storie, divisi in parecchi capi, secondo le diverse virtù e i diversi vizj, cui appartengono.

Son certamente da apprezzarsi moltissimo le sue lettere, da noi bene spesso citate, quantunque non abbiano i più bei pregi, che in questa specie di scritti si esigono, la concisione e la semplicità. L'autore scriveale, per esser lette dal pubblico: poichè sapeva bene, che anche pria di giungere al loro destino, erano sovente lette da centinaja di persone. Ma possiamo affermar francamente, che sono importantissime per ciò che riguarda la storia del secolo XIV. Queste lettere venivano indirizzate alle più cospicue persone del suo tempo; quindi spargono molto lume sugli avvenimenti e sui costumi dell'epoca, sulle sue ambascerie, sui disordini della corte avignonese. Il Tiraboschi desiderava, che se ne fosse fatta una edizione completa, pubblicando le inedite, le quali conservavansi nelle biblioteche di Firenze e di Parigi. Voto giustissimo, che ignoro, se sia stato soddisfatto.

II. Poichè ci tocca pur finalmente a dover parlare del Canzoniere di Francesco Petrarca, monumento d' insperata fama per l'autore e di splendida gloria per l'Italia, oggetto di continui studj e di ostinata e quasi sempre infelice imitazione

(1) Presso Tiraboschi nel luogo citato, L. II, c. VI, § 1.

(2) Lasciò egli alcuni lavori sulla storia di Roma e in particolare le Vite di alcuni imperatori di Roma. Non ne fo parola, perchè di poca importanza e perchè voglio sfuggire le controversie sorte fra i critici.

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