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dilettava disegnar figure sul terreno. Cimabue lo vide mentre disegnava una pecora su d'una pietra, l'ammirò, seco il condusse in Firenze e ammaestrollo nell'arte della pittura. «Diedesi Giotto con la direzione di tal maestro fervorosamente a studiare, ed in breve fece profitto così maraviglioso, che affermare si può, ch'ei fosse quel solo pittore, a cui a gran ragione deesi lode di aver migliorata, anzi ridotta a nuova vita l'arte della pittura già quasi estinta : essendo che e' mostrasse alcun principio del modo di dar vivezza alle teste con qualche espressione di affetti d'amore, d' ira, di timore, di speranza e simili; s'accostasse alquanto al naturale nel piegar dei panni, e scoprisse qualcosa dello sfuggire e scortare delle figure, e una certa morbidezza di maniera, qualità al tutto diverse da quelle, che per avanti avea tenute il suo maestro Cimabue, per non parlar più dell' intutto dure e goffe usate dai Greci e da' loro imitatori (1) ».

La fama del suo valore si sparse ben tosto per tutta Italia, e fu quindi chiamato in molte città di Toscana, in Roma, Napoli, Padova, Verona, Ferrara e altrove. In Roma lavorò anche due quadri a mosaico, i quali gli furon commessi dal cardinal Gaetano degli Stefaneschi, che ne fece dono alla basilica di S. Pietro. Filippo Villani nelle Vite d'illustri Fiorentini così ne parla: » Dopo lui (Cimabue) fu Giotto di fama illustrissimo, nou solo agli antichi pittori eguale, ma di arte e d'ingegno superiore. Questi restituì la pittura nella dignità antica ed in grandissimo nome, come apparisce in molte dipinture, massime nella porta della chiesa di S. Pietro di Roma, opera mirabile di musaico e con grandissima arte figurata. Dipinse eziandio a pubblico spettacolo nella città sua con ajuti di specchi sè medesimo, ed il contemporaneo suo Dante Alighieri poeta nella cappella del palagio della podestaria nel muro. Fu Giotto, oltre alla pittura, uomo di gran consiglio e conobbe l'uso di molte cose. Ebbe ancora piena notizia delle storie. Fu eziandio emulatore grandissimo della poesia, e della fama piuttosto che del guadagno seguitatore (2). » E qui giova notare, che se Giotto

(1) Baldinucci presso Tiraboschi, nel luogo citato, L. I, c. V, § 7 (2) Presso Tiraboschi nel luogo citato.

provvide alla fama di Dante, dipingendone il ritratto; Dante altresì volle celebrare la gloria di Giotto, dandogli il primato nella pittura in quei versi della Divina Commedia (1): Credette Cimabue nella pittura

Tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,

Si che la fama di colui oscura.

In Siena fioriva molto l'arte della pittura. Ne fan chiara prova gli Statuti fatti, corretti e approvati nel 1535 da Niccolò da Morano modenese, giudice delle appellazioni. Il più conosciuto dei pittori sanesi è Simone, al quale Francesco Petrarca indirizzò due sonetti, per avergli dipinto il ritratto di Madonna Laura (2). Nacque prima del 1280: suo padre chiamavasi Martino, che alcuni con poco fondamento dicono della famiglia dei Memmi. Fu discepolo e poi compagno a Giotto. Mostrò il suo valore nella pittura in Siena e in Firenze; poscia dal papa Benedetto XII fu chiamato in Avignone, dove morì nel 1344.

In Napoli fioriva anche una scuola d'illustri pittori, dei quali giova qui accennare Filippo Tesauro, Gennaro di Cola, maestro Simone, e più tardi verso la fine del secolo XIV Colantonio del Fiore e Antonio Solario, i quali possono a buon diritto enumerarsi tra i più insigni cultori della pittura in Italia nel Trecento (3).

Parmi convenevol cosa aggiungere pochissime parole intorno all'arte del miniare. Nel secolo precedente era stato molto apprezzato per le sue miniature Oderigi da Gubbio: nel XIV venne in molta fama Franco Bolognese, e l'uno e l'altro vennero lodati da Dante con questi versi (4):

O, dissi lui, non se' tu Oderisi,

L'onor d'Agubbio e l'onor di quell'arte,
Che alluminare è chiamata in Parisi?

(1) Purgatorio, C. XI, v. 94-6.

(2) Parte I, son. 49 e 50.

(5) Chi voglia estese notizie intorno ai pittori di quest'epoca, potrà consulture le opere del Vasari e del Baldinucci, del De Dominicis e di Pietro Napoli Signorelli, citate dal Tiraboschi nel capo quinto del libro terzo della sua Storia della Letteratura Italiana dall'anno 1500 all'anno 1400.

(4) Purgat., C. XI, v. 79-84.

Frate, diss'egli, più ridon le carte,

Che pennelleggia Franco Bolognese :
L'onore è tutto or suo, e mio in parte.

Dai quali versi alcuni vogliono argomentare, che Franco fu discepolo di Oderigi. Sia che si voglia, l'uno e l'altro furono eccellenti in quell'arte e chiamati in Roma da Bonifazio VIII per ornare di belle miniature i libri della biblioteca del palazzo pontificio.

V. Ora facciamo un breve cenno delle scienze, e cominciamo dalle sacre.

Ampia materia di scrivere somministrerebbero gli studj ecclesiastici, quantunque in questo secolo non ci sieno uomini da mettersi al paragone di S. Tommaso d' Aquino, di S. Bonaventura e di altri del precedente (1). Anzi possiamo dire, che negli studj teologici in quest'epoca s' introdusse il tristo vezzo di adoperarvi la dialettica più che non convenisse di che altamente si duole il Petrarca con queste parole: «Erant olim hujus scientiae professores: hodie, quod indignans dico, sacrum nomen prophani et loquaces dialectici dehonestant, quod nisi esset, non haec tam subito pullulasset seges inutilium magistrorum (2).

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Pur tuttavia ebbe l'Italia molti illustri professori in divinità, i quali nella propria patria`e fuori insegnavano con lode questa scienza. L'università di Parigi principalmente, venuta

(4) « La teologia e filosofia speculative sole...non trovansi grandemente coltivate in Italia lungo questo secolo. Ma non che biasimo, le ne darem lode; perciocchè queste due scienze non sono come l'altre indefinitamente progressive: ondechè dopo un grandissimo come fu San Tommaso, ei fu molto più opportuno il tacerne e riposarvi degl'Italiani, che non il disputarne e dividersi tra Tomisti, Scotisti, e Albertisti, che segui tra gli oltramontani. Anche nel secolo precedente le dispute de' nominalisti e realisti non eran giunte a turbarci gran fatto; e in generale (salvo poche eccezioni, di cui Dio voglia continuar a guardarci) le astrazioni od entelechie o pretensioni soverchie della metafisica non allignarono guari mai in Italia: le menti italiane sono naturalmente di quella limpidezza, che respinge l' appannatura. »

Balbo, Sommario della Storia d'Italia, Elà sesta: Dei Comuni, § 34. (2) De Remed. utr. fortunae, L. I, Dial. 46.

a buon diritto in molta fama per l'insegnamento delle scienze sacre, ebbe dall'Italia i suoi più insigni professori. E come già altra volta S. Tommaso, S. Bonaventura, Pietro Lombardo, Egidio Romano vi aveano occupato con molto splendore le cattedre di teologia, così in questo secolo XIV molti Italiani vi furon chiamati a professarvi le scienze sacre. Dei quali nominerò due soli. E sia il primo Roberto dei Bardi fiorentino, che vi ebbe l'onorevolissima carica di cancelliere. Egli fu molto amico al Petrarca, al quale, come già fu narrato, scrisse lettera invitandolo a recarsi in Parigi a ricevervi la corona poetica. L'altro è il P. Dionigi da Borgo S. Sepolcro, più volte da noi nominato, dell'ordine degli eremitani di S. Agostino. Ei fu uomo di molte lettere, amico intimo e fedel consigliere del Petrarca, onorato dal re Roberto, gli conferì il vescovado di Monopoli. Ma fu al tempo stesso molto dotto in teologia e professore di questa scienza nell'università di Parigi.

che

Con molto calore si professò in Italia la giurisprudenza civile. Nei due secoli precedenti i giurisperiti vennero in grande fama e ricchezza. Vedemmo già qual parte ebbero nelle gravi e lunghe lotte fra la Chiesa e l'Impero: vedemmo, che dopo gli studj sacri primi a ridestarsi in Italia furono i legali e ne accennammo il perchè (4). Essendo essi per le condizioni dei tempi mezzo sicuro di pervenire a grandi onori e guadagni, molti vi si applicarono fervidamente e per questo Petrarca e Boccaccio dai loro genitori vennero destinati allo studio della giurisprudenza. Però è da confessare, che in questi tempi, dei quali ragioniamo, forse per colpa delle civili condizioni e dei cattivi metodi, le scienze legali ivano sempre più allontanandosi dalla precisione e chiarezza degli antichi giureconsulti. Le opere di questo secolo XIV sono scritte generalmente in istile barbaro, senza critica, con una farraggine di citazioni senza esame e senza sviluppo. Ma non tutti furono dello stesso conio: fra i moltissimi, che nelle università insegnarono e nei tribunali esercitarono la scienza del Dritto in quest'epoca, ce n'ha taluni che anche ai tempi nostri son tenuti in grandissima stima.

(1) Vedasi il L. I, cap. I, n. 9, p. 27 di questa operetta.

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Primo fra tutti è il celebre Bartolo, nato in Sassoferrato della Marca d'Ancona nel 1313 e morto nel 1356, onorato meritamente in tutta Italia pel suo sapere e per le sue opere. Molto a lui vicino per tempo e per merito è Baldo perugino figliuolo a Francesco degli Ubaldi nato probabilmente nel 1319 e mancato ai vivi nel 1400. Fra i giurisperiti del regno nostro giova nominare Niccolò Spinelli da Giovenazzo professore di giurisprudenza in parecchie università d'Italia e poi creato cavaliere e cancelliere del regno ai tempi della regina Giovanna, e Andrea Rampini, detto comunemente Andrea d'Isernia dal luogo della sua nascita, al quale la medesima regina conferi onorevoli cariche per la sna dottrina nelle scienze legali.

Molti coltivatori ebbe altresì la giurisprudenza ecclesiastica creata nei due secoli precedenti. E poichè troppo lungo sarebbe il tessere anche solo il catalogo degl'illustri canonisti, mi terrò contento a citare il principale fra essi, che è Giovanni d'Andrea bolognese, il quale fu amico strettissimo del Petrarca, professore in varie università d'Italia e onorato di importanti ufficj.

Diremo finalmente poche parole intorno alla medicina. Il Tiraboschi enumera coll' usata diligenza moltissimi medici venuti in gran fama nel secolo XIV. Ma ciò non ostante confessa, che in quell'epoca la medicina non fece alcun progresso. Il Petrarca accenna le cause di tal decadenza e si duole, che alcuni traviassero dal retto metodo di studiar questa scienza. Vero è bene, che nelle nostre università insegnavasi la medicina: ma i professori dell'arte salutare ivan perdutamente dietro le dottrine degli Arabi e credevano non potersene allontanare. La famosa scuola salernitana era già venuta meno: sì che quando voleansi con vero profitto studiare le scienze mediche, era uopo recarsi in Francia, dove meglio che altrove si coltivavano. Così abbiamo veduto, che Ubertino di Carrara signor di Padova spedì in Parigi duodeci giovani di bell' ingegno, per darvi opera allo studio della medicina.

VI. Eccoci omai, giovani egregi, pervenuti a quella meta, che proponevami di toccare in questo volume. Abbiamo studiato insieme quattro secoli, seguendo passo passo l'anda

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