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PROPRIETÀ LETTERARIA

Firenze

Tip. di G. Carnesecchi e figli, Piazza d'Arno.

Per commissione di Colei, che in vita gli fu compagna dilettissima, e da cinque anni non cessa di rimpiangerne la crudele dipartita, presento raccolti in questo volume buona parte degli scritti danteschi di V. Imbriani, ripubblicati quali uscirono la prima volta, senza aggiunte o correzioni. Se all'Autore stesso fosse toccato di ristampare questi studi, non dubito che in molti punti li avrebbe accomodati alle nuove ricerche, e qualche acerbo giudizio avrebbe senza fallo temperato. Ma il crudele destino, dopo lunga e fiera malattia ci tolse nel vigore degli anni quel robusto ingegno, e a me sarebbe parsa profanazione metter le mani negli scritti dell'amico mio. Questo solo posso assicurare io, che ebbi con lui lunga e sempre amorevole dimestichezza: che i giudizî suoi per acri e implacabili che fossero, non eran dettati da quel che dicevano la sua misantropia, ma da geloso ed ombroso amore del vero. Non sapeva dividere nella sua mente il sostenitore di una opinione avversa alla sua dallo scrittore, e lo scrittore dall' uomo, e condannando il primo colpiva, e non di rado ingiustamente, gli altri due. Nel quale abito di veder le cose di colore oscuro lo confermava l'alto concetto che egli avea delle let

tere, al quale mal rispondeva il plauso, onde erano accolti i meno meritevoli. Ma nè invidia nè gelosia lo movevano, benché nel corso della sua carriera letteraria immeritate ripulse avesse sofferto; nè perchè sferzasse gli altri, non per questo si teneva al di sopra di loro. Quella critica invece, che degli emuli suoi faceva, esercitava anche su di sè, e non ho conosciuto scrittore che fosse meno di lui pago degli scritti suoi, e piú pronto a respingere le lodi, che altri gli facesse. Eppure le opere sue avean tutte un merito incontrastato, e per larghezza di vedute, congiunta alla più scrupolosa e più ricca erudizione, la vincevano sopra molte altre dello stesso genere.

Egli non era filosofo nello stretto senso della parola, ma aveva un abito di mente filosofico, e il dialogo dei quattro novissimi, e lo scritto sull'organismo della poesia popolare italiana1 mostrano come si movesse liberamente nella più alta ed astratta speculazione, e alle teorie dell' Hegel sapesse dare nuova forma e atteggiamento, e nuove conseguenze sapesse cavarne giustificando quelle raccolte di poesie e prose popolari, alle quali prese tanta parte, e che tanto favore incontrarono e presso di noi e più ancora fuori d'Italia. 2 Non era artista, ed egli per il primo più degli altri lo riconosceva, ed i suoi versi intitolava esercizi di prosodia, e nei discorsi intimi le sue novelle chiamava ore d'ozio.3 Ma certo nessuno gli negherà sguardo acuto, vivacità di fantasia, padronanza completa della lingua, e più che tutto ricca vena di humour. Forse in lui la critica e l'erudizione aveano compressa quella potenza, che egli con parola nova e felice solea chiamare favoleggiativa. Ma se grande artista non era, il senso delle arti belle lo possedeva in modo eminente. E nessuno prima di lui seppe tener dietro al De Sanctis

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