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CAPITOLO XI

LE LETTERE

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Non esitiamo a dire che il fatto più inusitato nella storia delle origini della prosa italiana, è quello delle Lettere di Fra Guittone d'Arezzo. Queste lettere infatti, meglio ancora delle poesie del frate aretino, che altrove studiammo,' servono a dipingerci codesto uomo singolare, e insieme lo stato del pensiero italiano nel primo periodo dell'elaborazione della nuova letteratura. La prosa è sempre più tarda della poesia ad assorgere all'arte. Ora, chi crederebbe che nella letteratura italiana appena nascente si abbia invece una prosa, che non solamente pretende d'essere artistica, ma che ha tutti i difetti di un' arte già vecchia, già trita, già ricercata quasi fino alla caricatura? Eppure è così. Nè ciò dee farci troppa meraviglia. È questa la più evidente conferma di quel fatto, che noi abbiamo più volte cercato di rilevare, che gl' Italiani non ebbero

1 Vol. II, cap. 12.

un vero e proprio periodo d'infanzia intellettuale, ma che anzi la loro letteratura si formò, mentr'essi erano nella piena virilità delle loro forze, e seguitavano a sentirsi attratti verso le memorie del loro passato.

Mettiamoci dinanzi a questo Frate Guittone. Egli è certo, per quello che scrive, un asceta del medioevo. Quasi tutte le sue lettere sono di argomento morale-religioso; egli esorta a penitenza, grida che si dee odiare ogni grandezza terrena, dice che una sposa di Cristo val più di tutti i regni del mondo; egli trascende a tutto ciò che di più antiumano ha predicato il misticismo. Eppure questo frate selvaggio ha un'alta idea dell'arte, e nell'arte si sente figliuolo della classica Roma. Anzi egli va tanto in là in questo amore per l'antico, che quasi sembra avere la pretensione di scrivere la nuova lingua latinamente, di darle parole e costrutti latini, perchè essa si scosti meno dall'esemplare vagheggiato. Voi trovate nelle sue lettere vocaboli di latinità schietta, quali scire,' bonitate, parva, parcetemi, agnina,5 senettute; trovate usato a per da; soppressi di continuo i segnacasi e gli

1 «E dessi scire tantosto quello che ecc. ». (Lett. 1).

2 Famoso religioso in bonitate ». (Lett. 4).

3 << Che vil cosa e che parva vi costa si caramente ». (Lett. 13).

4 << Parcetemi mercè e voi e altri tutti ». (Lett. 13).

5 « La quale sotto agnina pelle era occultata ». (Lett. 19).

6 * Ov'è senettute, la quale ecc. ». (Lett. 19).

7« Ne non mi voglio a carne astenere ». (Lett. 13).

3

articoli;1 trovate un periodare latino continuo. 2 Da ciò appunto deriva, in parte, l'oscurità e la stranezza di quelle lettere. Ma deriva anche da altre cagioni. Guittone vuole, quella che era ai suoi tempi la lingua del volgo, quella che non aveva ancora, specialmente nella prosa, nessun esemplare artistico davanti, vuole adoperarla con un intendimento d'arte. Egli rifugge dallo scrivere come parlava; quanto più anzi può allontanarsi dalla forma parlata, tanto più gli par di fare cosa bella. Ci sono in lui delle pretensioni alla prosa stilistica. Da ciò, le contorsioni, le ricercatezze, le metafore strane, i giuochi di parole; da ciò la sua inintelligibilità. Ci vuole sicuramente molta fatica ad intendere quello che Guittone abbia voluto dire, per esempio, con queste parole: «Ma, acciocchè voi non mi fuggiate,

1 << E mogliere vostre, che morbide sono ecc. ». (Lett. 14). E mi punge a dimandarla voi anco ». (Lett. 18 e passim).

2 Il Ciampi sospetto che in latino veramente fossero scritte le Lettere Guittoniane, e poi tradotte (Tratt. mor. di Albert., Pref., II, 38). Ma è opinione insostenibile ed oggi rigettata da tutti. Si può anche vedere quello che ne scrisse il Nannucci (Manuale, II, 155).

3 Il testo delle Lettere di Guittone fu pubblicato da mons. Giovanni Bottari (Lettere di Fra Guittone d'Arezzo, con le note, Roma, 1745) da un codice ch'egli dice « scritto avanti al 1300 », e appar tenente a Monsignor Gregorio Prelato domestico della Santità di N. S. Benedetto XIV ». Questo codice io ignoro dove oggi si trovi. Altri codici non conosco, salvo un Riccardiano (2533) della fine del XIV secolo, lacero e sciupato dalle tignole e dall'umido, che contiene poche lettere, ed ha lezione non dissimile da quella del testo Bottari. Il quale testo sicuramente avrebbe bisogno di essere rivisto sui manoscritti. Ma pur troppo i manoscritti mancano.

schifando il mio giudicio siccome di vile persona verace poco e sapiente meno, per grandi e cari molti sommi sapienti e sommi veri farò voi dimostrare procaccio vero ciò che perta contate e materia giocosa in che dolete, e potendo retrarre più brevemente il longo dire (che deletto ho mistieri seguendo) dirò simpriciemente l'autorità e non tutta ordinata secondo debito modo, ma vostra sapienza l'ordini voi ». E non è questo uno dei punti più oscuri; ma c'è dentro un concetto contorto e voluto esporre nel modo più faticoso; c'è l'affannoso sforzo di distendere in un lungo e magistrale periodo quello che poteva esser, detto in modo breve e chiaro. Che cosa poi ci sia in queste altre parole, altri lo giudichi: «e se mi dite che grave è ciò seguire, grave è bene contra uso e contra voglia, fuor cui è dissavoroso ogni savore, ma con voglia e usanza è grave, soave e amaro dolce, dunque soave e dolce, tradolce e trasoave ». Un dunque più bislacco di questo non fu certo mai scritto; ma cosiffatto è il povero frate: egli crede con questi nonsensi di fare un bel periodo, e questo basta a lui. Quando industriosamente ha trovato le più risibili ricercatezze, è contento; e a noi par di vederlo rileggere la sua prosa e applaudirsi d'essersi dipartito dalla maniera volgare, dopo, ad ad esempio, avere scritto così: « Averia forse a

1 Lettera 3.

2 Lettera 3.

dire di mali altri, li quali palesi sono, ma troppo sarebbe longa la tela nostra e pena quasi perduta, che di male conosciuto departire non dee essere mistiero ammonigione »; o dopo averci fatto sapere che ad un tale « la domenica avanti di santo Andrea, notte già fatta, continua il prese febbre ». Vano sarebbe il sofisticare. Questi non sono errori di un codice, nè spropositi di un copista; questo è uno stile voluto, cercato, fabbricato apposta così; ma, pur troppo, è uno stile ridicolo. Per avvicinarsi al latino con una lingua di diversa sintassi e di diversa indole, Guittone ha fatto dei periodi che non appartengono più a nessuna lingua. E bisogna sentirlo andare in cerca di metafore, e fermarcisi sopra colla compiacenza di chi crede di scrivere cose peregrine! Egli dice in un luogo: « Tutto esto mondo cercano mercanti, tribulati, affritti, fango accattando di preziose pietre: o miseri, o nescienti che non mercatare sanno con esso gran mercatante nostro Signore, che pure invita loro al regno per comperare e fanne mercato grande senz'alcuno conto ». 3 Altrove gli piace una metafora delle penne, e raccomanda alle preghiere de' frati un tale ch'è morto, dicendo: « Se nell'ale suoie spennate avea penne alcune, l'orazione vostre e nostre l'aiutino di vaccio repen

J Lettera 1.

2 Lettera 8.
3 Lettera 1.

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