Sayfadaki görseller
PDF
ePub

altri pellegrini, a sciogliere il voto alla chiesa del santo: interpetrazione che ci pare meno probabile dell'altra, ma che, ad ogni modo, servirebbe a provare la stessa cosa. Non bisogna però trascurare quel ricordo di Nimes. Due componimenti del Cavalcanti ci attestano ch' egli a Tolosa s'innamorò d'una donna. Tolosa è di là da Nimes, e sono ambedue sulla via percorsa allora per andare a Compostella. Si potrebbe dunque supporre che l'incredulo poeta, annoiato del lungo, faticoso e per lui inutile viaggio, si arrestasse a Nimes, e di lì poi, non più pellegrino devoto, ma cavaliere errante, si spingesse fino a Tolosa, e forse vagasse per altre delle belle città del mezzo dì della Francia. O si potrebbe anche credere che arrivasse con gli altri compagni fino a Tolosa, ed ivi si fermasse, per tornar poi a Nimes più tardi. E chi sa? Forse la Mandetta potrebbe aver fatto dimenticare Sant'Iacopo. Ma noi non vogliamo spingerci sulla lubrica via delle congetture. A noi basta di avere provato che il sonetto del Muscia è un documento evidente che il Cavalcanti non arrivò al santuario di Compostella; o, arrivatoci, non si curò affatto di Sant' Jacopo, il che, irrecusabilmente, serve a provare sempre più la irreligiosità del poeta.

Ci resta ancora da esaminare un altro lato delle poesie del Cavalcanti. Chi lo crederebbe? Il pensieroso filosofo, il rimatore dell' idealità e

del dolore, l'uomo che si aggirava speculando fra le arche di San Giovanni, com' era pronto al motto pungente (e ne fa fede la sua risposta a messer Betto Brunelleschi), così non isdegnava adoperare la penna nello scherzo satirico. Abbiamo già citato il sonetto: Una figura de la donna mia, dicendo che in esso si satireggia sui frati Minori. Ma quale satira è questa! e con che arte condotta! Il componimento prende le mosse con serietà, sembra una lode sincera alla Vergine,

Che di bella sembianza, onesta e pia,

De' peccatori è gran rifugio e porto.

Non potrebbe un santo scrivere niente di più religioso; anzi c'è quasi della tenerezza in quell'appellativo di donna mia. Ma questa serietà, questa affettuosità di sentimento è una burla. La quale si va scoprendo a poco per volta, quasi come se il poeta volesse tener sospeso il lettore per il più lungo tempo possibile sulla verità di quello ch'egli sente. Dopo aver detto che quella Madonna è rifugio de' peccatori, si enumerano i miracoli ch'ella fa: numerosi e strepitosi miracoli, messi in fila uno dietro l'altro, come se fossero cose vere, come se chi scrive li avesse visti e ci credesse:

L'infermi sana, e' demon caccia via,
E gli occhi orbati fa vedere scorto.
Sana 'n publico loco gran languori.

Ma, come credere non ci poteva, così dalla gravità stessa del racconto, dalla apparente fede schizza fuori violento lo scherzo; e l'antitesi tra quello che il poeta dice e quello che pensa costituisce la satira contro la Madonna, contro i suoi miracoli, e finalmente contro i.frati, i quali chiamano idolatria la devozione alla Vergine di san Michele in Orto

Per invidia che non è lor vicina.

Che il sonetto non abbia, come dice il Del Lungo, altra intenzione se non di mordere quei frati », non ci par giusto. Sulle intenzioni del poeta noi potremmo rimanere ingannati, quando non ci fossero già note, per un insieme di indizi, le sue opinioni religiose. Ma, ammesse quelle opinioni, il sarcasmo latente del sonetto rifulge di luce chiarissima. Ai miracoli che racconta presta o no fede il Cavalcanti? E se non ci presta fede, il raccontarli in quella maniera non è un parlare ironico? Or l'ironia, in questo caso, non è altro che il ridicolo versato su quei miracoli e sulla dabbenaggine della gente che si inchina all'immagine santa e

Di luminara l'adornan di fori.

Altrove scrive il Cavalcanti, tra burlesco e satirico, sopra il suo amore per monna Lagia.

1 Op. cit., II, II, pag. 1097.

2 Ved. indietro pag. 145.

Ride, dipingendo la scrignotuzza, e terminando con quelle due superbe terzine che esprimono l'irresistibilità del riso così vivamente:

Tu non avresti niquità si forte,

Nè tanta angoscia o tormento d'amore,
Nè si rinvolto di malinconia,

Che tu non fossi a rischio della morte,
Di tanto rider ti farebe il core:

O tu morresti o fuggiresti via.

Ride, ancora, scrivendo a un amico quel sonetto: Se non ti cagia la tua Santalena, nel quale sembra nascondersi uno scherzo sulla medaglia benedetta (Santalena) che l'amico portava al collo, e sulla sua passione per la campagna. E ride, finalmente, ma di un riso acre ed amaro, nel bel sonetto politico: Novelle ti so dire, odi Nerone.

Teniamo conto di questo gruppo di poesie burlesco-satiriche del Cavalcanti, poichè avremo tra breve da riconnetterle con i componimenti di un altro poeta.

1 Così mi pare da intendere. Ved. Opere di Dante Alighieri con le annotazioni di Anton Maria Biscioni, Venezia, 1741, vol. I, pag. 202 segg.

CAPITOLO VIII

171

LA VITA NUOVA CONSIDERATA COME NARRAZIONE STORICA

Ed eccoci all' Alighieri, intorno alla cui lirica le questioni si accumulano numerose ed ardue. Che cosa è la Vita Nuova? Noi ci sentiamo generalmente rispondere che in essa Dante ha voluto narrare la storia dei suoi amori giovanili. Esaminiamo dunque nella forma più oggettiva questo libro, piccolo di mole, ma riboccante di difficoltà; esaminiamolo qui unicamente per vedere se esso debba essere accettato come una narrazione di fatti realmente accaduti. Noi non portiamo nella questione nessun preconcetto, e vogliamo essere indifferenti davanti a tutte le opinioni già ricevute.

Dante racconta che aveva nove anni, quando la prima volta gli apparve Beatrice; e da questa prima apparizione salta rapidamente ad un'altra che accadde nove anni dopo, quando cioè egli compiva il suo anno diciottesimo. Di qui comincia veramente la storia del suo amore. La quale pro

« ÖncekiDevam »