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Che s'ella è gaia, giovinetta, e bella,
Dee il core aver più caldamente acciso;
E se la donna l'ama, e mira fiso,
Esser può vaga, ma non siccom' ella.
Però che la pulcella, che ha il suo core
Mosso ad amare è fatta disiosa,

E non chiede altro che 'l disio d'amore:
Non può esser così donna, ch'è sposa:

Questo mi mostra il dolce mio Signore,
Che andar mi fa con la mente pensosa.

Lo sentite bene: l'Angela, la sorella d'Amore di Lapo è la stessa cosa della giovinetta di Dino, di questa giovinetta che fa andare il poeta con la mente pensosa. Dicevo che mi par nuova questa contemplazione della donna. Nuovo è certo che ci sparisca davanti la dama, a cui i legami del matrimonio non impedivano, secondo il codice della poesia cavalleresca, l' amore; e che sparisca per dar luogo ad un essere più puro, più soave, più casto, a cui il poeta si potrà avvicinare più sereno, più tranquillo, più vero, senza sentirsi impacciato dalle teorie del provenzalismo, senza esser costretto a rinvoltarsi nel suo frasario di convenzionale galanteria.

Qui siamo ugualmente lontani dallo imbellettato fantasma della canzone trovadorica, come dalla femmina troppo nuda del canto popolare, dall'idealità affatto anemica degli uni, come dal pletorico realismo degli altri. Qui abbiamo qualche cosa che sorge ora, un essere non visto prima. Analizziamo le due poesie di Lapo e di Dino.

BARTOLI. -St della Letterat. Ital. Vol IV.

2

Lapo ci dice che per la sua giovane. donna la sua anima si fece gentile; dice che essa è un angiolo che par venuto dal cielo; che è sorella di Amore; che ogni suo atto è meraviglia; dice che chi è salutato da lei può dirsi beato:

Beata l'alma che questa saluta.

Dice che per essa egli spregiò viltà e villania.

Quasi identica, se bene osservate, è la pittura del Frescobaldi: anche la sua giovinetta è ricetto di ogni virtù: e Amore sorridente la precede, e per lei ogni vizio si uccide. Anch' essa saluta, con un lento muovere d'occhi, e non volge gli occhi, se non dove è nobiltà.

Questo essere che contemplano i due poeti è un essere umano? È un essere reale? La domanda è molto ardua, direi anzi che è molto pericolosa. Nè per ora mi sarebbe possibile rispondere in modo compiuto. Qui mi basterà di notare che, pure ammettendo, pure riconoscendo che Lapo e Dino possano avere amata una donna di carne e d'ossa, a me pare difficile il poter credere che a questa donna si rivolgano le loro poesie amatorie. La carne e le ossa qui sono compiutamente sparite: non resta che una parvenza di donna, qualche cosa d'idealizzato, di angelicato, uno spirito, un alito, un soffio; due occhi che salutano, due occhi, ai quali non fa contorno un corpo, ma dietro ai quali spuntano le ali dell'angelo, in un cielo a oro e ad azzurro. La

donna è proprio ridotta alla sua minima espressione, è un essere sentito, ma sentito affatto spiritualmente; non desiderato, non anelato, non amato, ma solamente contemplato in un'estasi celeste.

Può essere, io lo ripeto, che una figura di donna reale lampeggiasse agli occhi del poeta ; ma quella forma terrena si assottigliava in una idealità, vaniva in un essere astratto, a cui non restava quasi nulla dell'umano. Il sensibile e l'intelligibile si fondevano per guisa in quelle menti e in quei cuori, che noi oggi non sappiamo più bene dove finisca l'uno e dove cominci l'altro.

L'amore s'idealizzava compiutamente, come la donna s' indiava. L'amore non era passione dei sensi, ma contemplazione dello spirito; non era desiderio, ma preghiera; e la calma preghiera dell'amante saliva come profumo d'incenso al trono della nuova dea, che beatificava di un saluto, e di null' altro che di un saluto, il suo devoto questo asceta dell'amore che viveva di sospiri e di lacrime, inginocchiato davanti all'immagine dell'

Angela, che par dal ciel venuta.

Tutto ciò è molto importante a notarsi fin d'ora, perchè ci aiuterà ad intendere quella lirica di Dante, che è così vicina a questa del Gianni e del Frescobaldi; e ci aiuterà a decifrare quella

Beatrice misteriosa, intorno alla quale si sono così contradittoriamente affaticati tanti ingegni, senza forse vedere che quel mistero che la circonda è il mistero stesso, nel quale si agitava faticoso e sofferente lo spirito del poeta, anzi lo spirito di tutta quella scuola della casistica amorosa e dell' amore ideale. È per questo che io credo assurdo cercare là dentro la realtà. Ma di ciò verrà il momento che potremo ampiamente discorrere. Il farlo ora sarebbe prematuro.

1 Cosi, e molto bene, la chiama il prof. Del Lungo nel Dino Compagni e la sua Cronaca.

CAPITOLO II

GUIDO ORLANDI E GIANNI ALFANI

21

Le poesie di Guido Orlandi, che ci restano,

sono:

I sonetti: Troppo servir tien danno ispessamente 1 Per troppa sottiglianza il fil si rompe2

Amico, saccio ben che sai limare 3

A suon di trombe innanzi che di corno - Onde si muove

6

4

e donde nasce amore 5- Al motto diredan prima ragione & - Ahi conoscenza quanto mal mi fai Amor, s'i parlo 'l cor si parte e doles - La luna e 'l sole son pianeti boni Più ch'amistate in terra nulla vale10 - Nel libro del re, di

1 Chig. L, vi, 305; Ricc. 2846; Vatic. 3793.

2 Vatic. 3214.

3 Vatic. 3214.

4 Chig. L, VIII, 305; Vatic. 3214; Ricc. 2846.

5 Chig. L, vi, 305; Ricc. 2846; Magliab. VII, 7, 1208.

6 Sonetti e Canzoni: Giunti, 1527.

7 Vatic. 3214.

8 Chig. L, VII, 305; Ricc. 2846.

9 Vatic. 3214. - Pub. nella Riv. di Fil. Rom. I, 2.

10 Ibid., Ibid.

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