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concepimento artistico di quei lirici. Dice l'Alfani

che la sua donna:

con gli occhi mi tolse

Il cor, quando si volse

Per salutarmi, e non mel rendė mai.

E ritorna poi sul saluto, sul bel saluto della sua donna,

Lo quale sbigotti sì gli occhi miei
Ch'egli incerchiò di stridi

L'anima mia che li pingea di fuori.

Questo sbigottimento davanti alla donna amata, e il cambiar di colore al suo cospetto, e tutti i segni, direi, del terrore amoroso, sono espressi fortemente dall' Alfani, e sono, ripetiamolo ancora, una delle caratteristiche di questa scuola:

La prima volta ched io la guardai

Volsemi gli occhi sui

Si pien d'amor, che mi preser nel core
L'anima sbigottita si che mai

Non ragionò d'altrui,

Come legger si può nel mio colore.

La donna anche per l'Alfani è dea che spande raggi di luce:

Amor vi vien colà dov'io lo miro

Ammantato di gioia

Nelli raggi del lume ch'ella spande.

Questo lirico ha, come il Frescobaldi, parole di

forte dolore. In un luogo, rivolto alla propria ballata, le dice:

Ballatetta dolente,

Va mostrando il mio pianto,

Che di dolor mi cuopre tutto quanto.

Altrove egli dice:

Una parola nel cor mi discende

Che dentro un pianto di morte v'accende;

ed ancora:

Però, parole nate di sospiri,

Ch'escon del pianto che mi fende 'l core,
Sappiate ben cantar de' miei martiri
La chiave, che vi serra ogni dolore
A quelle donne c'hanno 'l cor gentile

Due componimenti dell' Alfani c' importano in modo speciale, in quanto si riferiscono a Guido Cavalcanti. Ricordiamoci che l' Orlandi con chiara allusione gli aveva già detto:

Io per lung' uso disusai lo primo
Amor carnale e non tangio nel limo;

ed in altro luogo:

Perch'odo molto usate in la sua corte,

cioè alla corte d'Amore.

Presso a poco lo stesso dice del Cavalcanti

l'Alfani, scrivendo di lui :

Perch' egli è sol colui che vede Amore,

e dirigendogli questo sonetto:

Guido, quel Gianni, ch' a te fu l'altr' ieri,
Salute quanto piace alle tue risa
Da parte della giovane da Pisa,

Che fier d'amor me' che tu di trasfieri.1
Ella mi domandò come tu eri

Acconcio di servir chi l'hae uccisa,
S'ella con lui a te venisse in guisa,
Che no 1 sapesse altri ch'egli e Gualtieri,
Si che i suoi parenti da far macco

Non potesser giammai lor più far danno
Che dir men da te 2 dalla lunge iscacco.
Io le risposi, che tu senza inganno
Portavi pien di tai saette un sacco,

Che gli trarresti di briga e d'affanno.

In mezzo alle molte oscurità di questo sonetto, mi par chiaro che la « giovane da Pisa » richiedesse d'amore il Cavalcanti; e le parole dell' Alfani :

Io le risposi, che tu senza inganno
Portavi pien di tai saette un sacco...

vogliono certamente dire che messer Guido era sempre pronto all'amore, portava con sè un sacco di saette per tutte le belle donne; e confermano le sue inclinazioni, quali, satiricamente, gli rimproverava l'Orlandi.

1 Chig. trafieri.

2 Chig. date.

CAPITOLO III

CINO DA PISTOIA

QUALCHE APPUNTO BIBLIOGRAFICO SUL TESTO

DELLE SUE RIME

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Il testo delle rime di Cino, come quello, disgraziatamente, di quasi tutti i nostri scrittori, non è ancora fatto, secondo le regole più elementari della critica. Non solamente noi non possediamo una lezione sicura di quelle rime; ma non sappiamo neppure con certezza quali tra esse sieno le autentiche e quali le apocrife. Nè qui sarebbe il luogo di esaminare ex-professo la non facile questione. Ciò spetta a chi prenderà a trattare l'argomento in un lavoro speciale. Però, siccome non possiamo accettare alla cieca nè alla cieca rigettare o tutte o parte delle poesie del Pistoiese, così dobbiamo prima d'ogni altra cosa fare uno studio che ci ponga in grado di vedere almeno quali di quelle poesie possano da noi essere ritenute per autentiche indubbiamente.

Il più antico libro a stampa che contenga rime di Cino è quello intitolato: Canzoni di Dante, Madrigali del detto, Madrigali di messer Cino

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