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XXI.

Lasso! per forza de' molti sospirï“, Che nascon di pensier, che son nel core. Gli occhi son vinti, e non hanno valore Di riguardar persona, che gli miri :

E fatti son, che pajon due desiri Di lagrimare, e di mostrar dolore; E spesse volte piangon sì, ch' Amore Gli cerchia di corona di martiri .

Questi pensieri, e gli sospir, ch' io gitto, Diventan dentro al cor si angosciosi, Ch' Amor vi tramortisce, sì glien duole: Perocchè gli hanno in se gli dolorosi Quel dolce nome di Madonna scritto. È della morte sua molte parole.

XXII.

Deh! pellegrini, che pensosi andate
Forse di cosa, che non v'è presente,
Venite voi di sì lontana gente,
Come alla vista voi ne dimostrate?
Che non piangete, quando voi passate
Per lo suo mezzo la città dolente?

Come quelle persone, che neente
Par, che 'ntendesser la sua gravitate:
Se voi restate per volerlo udire,
Certo lo core ne sospir mi dice
Che lagrimando n'uscireste pui.

Ella ha perduta la sua Beatrice:
E le parole, ch' uom di lei può dire,
Hanno vertù di far piangere altrui.

C

XXIII.

Oltre la spera, che più larga gira,
Passa sospiro, ch' esce del mio core:
Intelligenzia nova, che l' Amore

Piangendo mette in lui, pur su lo tira:
Quando egli è giunto là, ove 'l desira
Vede una Donna, che riceve onore
E luce sì, che per lo suo splendore
Lo pellegrino spirito la mira.

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Vedela tal, che quando il mi ridice,
Io non lo intendo, sì parla sottile
Al cor dolente, che lo fa parlare .
So io, che 'l parla di quella gentile,
Perocchè spesso ricorda Beatrice :

Si ch' io lo 'ntendo ben Donne mie care.

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XXIV.

Parole mie, che per lo mondo siete, Voi, che nasceste, poi ch' io cominciai A dir per quella Donna, in cui errai; Voi, che 'ntendendo, il terzo Ciel movete ; Andatevene a lei, che la sapete, Piangendo si, ch'ella oda i nostri guai :: Ditele noi sem vostre; dunque omai Più, che noi semo, non ci vederete. Con lei non state, che non è Amore;; Ma gite attorno in abito dolente, A guisa delle vostre antiche suore: Quando trovate donne di valore Gittatevile a' piedi umilemente

Dicendo; a voi dovem noi fare onore..

XXV.

O dolci rime, che parlando andate Della Donna gentil, che l' altre onora; A voi verrà, se non è giunto ancora, Un, che direte; questi è nostro frate :

Io vi scongiuro, che non lo ascoltiate Per quel Signor, che le donne innamora; Che nella sua sentenza non dimora Cosa, che amica sia di veritate.

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E, se voi foste per le sue parole Mosse a venire inver la Donna vostra Non vi arrestate; ma venite a lei : Dite; Madonna, la venuta nostra È per raccomandare un, che si duole Dicendo; ove è 'l desio degli occhi miei?

XXVI.

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Questa Donna, ch' andar mi fa pensoso,
Porta nel viso la virtù d' Amore;
La qual risveglia dentro nello core
Lo spirito gentil, che v'era ascoso :
Ella m' ha fatto tanto pauroso

Poscia ch' io vidi il mio dolce Signore
Negli occhi suoi con tutto il suo valore,
Ch' io le vo presso, e riguardar non l'oso:
E quando avviene, che questi occhi miri,
Io veggio in quella parte la salute;
Che l'intelletto mio non vi può gire :

Allor si strugge sì la mia vertute,
Che l'anima, che muove gli sospiri
S'acconcia per voler da lei partire

XXVII.

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Chi guarderà già mai senza paura
Negli occhi d' esta bella pargoletta
Che m' hanno concio sì, che non s' aspetta
Per me, se non la morte, che m' è dura?
Vedete quanto è forte mia ventura;
Che fa tra l'altre la mia vita eletta

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Per dare esempio altrui, ch' uom non si metta A rischio di mirar la sua figura,

Destinata mi fu questa finita;

Da ch'un uom convenia esser disfatto;
Perch' altri fosse di pericol tratto:
E però, lasso! fu' io così ratto
In trarre a me 'l contrario della vita;
Come vertù di stella, margherita...

XXVIII.

Dagli occhi della mia Donna si muove
Un lume si gentil, che dove appare,
Si veggion cose, ch' uom non può ritrare
Per loro altezza, e per loro esser nove.

E da' suoi raggi sopra'l mio cor piove
Tanta paura, che mi fa tremare ;
E dico; qui non voglio mai tornare :
Ma poscia perdo tutte le mie prove:

E tornomi colà, dov' io son vinto,
Riconfortando gli occhi paurosi,
Che sentir prima questo gran valore :

Quando son giunto ( lasso) ed ei son chiusi
E'l desio, che gli mena, quì è 'stinto :
Però provveggia del mio stato Amore.

XXIX.

Lo fin piacer di quello adorno viso
Compose il dardo, che gli occhi lanciaro
Dentro dallo mio cor, quando giraro
Ver me, che sua biltà guardava fiso:
Allor senti lo spirito diviso,

Da quelle membra, che se ne turbaro,
E quei sospiri, che di fore andaro,
Dicean piangendo
piangendo, che 'l core era anciso.
Là u di poi mi pianse ogni pensiero
Nella mente dogliosa, che mi mostra
Sempre davanti lo suo gran valore;
Ivi un di loro in questo modo al core
Dice: pietà non è la vertù nostra,
Che tu la truovi; e però mi dispero.

XXX.

E non è legno di sì forti nocchi Nè anco tanto dura alcuna pietra ; Ch' esta crudel, che mia morte perpetra, Non vi mettesse amor co' suoi begli occhi. Or dunque, s'ella incontra uom, che l'adocchi, Ben gli de' 'l cor passar, se non s'arretra; Onde 'l convien morir; che mai no' impetra Mercè, che 'l suo dever pur si spannocchi. Deh! perchè tanta vertù data fue Agli occhi d' una Donna così acerba Che suo fedel nessuno in vita serba ? Ed è contr' a pietà tanto superba Che s' altri muor per lei, nol mira piue, Anzi gli asconde le bellezze sue?

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