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dove le verità del Vangelo furono promulgate. Imperocchè queste rendendo alla qualità loro conformi usanze e costumi, fanno che gli uomini non tollerando la servitù si sforzano di acquistare la libertà. Ed in vero tanto amanti del vivere libero, quanto obbedienti alle cristiane dottrine furono i collegati di Pontida, i Veneziani e tutti gli abitatori delle città d'Italia nei tempi di mezzo. I quali se come da cristiani credevano, avessero da cristiani operato, sicchè in luogo di lacerarsi tra loro per odii e gare di parte fossero vissuti nella concordia che ci è comandata dal Redentore, l'Italia non avrebbe patito i mali delle discordie civili, né per effetto di queste sarebbe poi stata preda dei forestieri.

Allorchè io penso ai danni che ora ci reca l'ordinamento non buono dei nostri studii e la cattiva filosofia, temo che la indipendenza e la libertà non possano mantenersi fra noi. Conciossiachè, l'errore nelle cose politiche generando fazioni e parti, intemperanza negli animi, fiacchezza ́e oscurità nelle menti, è quasi impossibile che uno Stato, in cui i cittadini obbediscono più alle passioni che alla ragione, ordinato e prospero si conservi. Pure, se pongo mente all'indole dell'ingegno italiano, il mio timore è da lieta speranza diminuito. Chè da natura noi siamo disposti a cercare il vero, a volere in tutte le cose l'ordine, la misura, il decoro; onde per ingenito instinto

noi amiamo il bello nelle lettere e nelle arti, siccome il buono negli affetti dell' animo e nei costumi. E per ciò io spero che, sedato il tumulto delle passioni, cui dettero insolita gagliardía i subiti e inaspettati rivolgimenti nel corso di pochi anni tra noi avvenuti, ritorneranno le menti degli Italiani all' antico senno: e, ricondotti gli studii ai principii loro, purgato il filosofico insegnamento dai nuovi errori, restituito alla religione l' ossequio che l'è dovuto, la virtù e la giustizia poste per guardia alla libertà, la patria nostra sarà di nuovo maestra alle altre nazioni di civiltà e di sapienza. Consenta il pietoso Iddio che prima di uscire di questa vita io veda avverarsi la mia speranza! Chè io morrei oppressa da gran dolore, dove a ragione temessi che questa Italia, che ho sempre amata si caldamente, da presuntuosa ignoranza, da malvagità di costumi, da stolte dottrine, da gareggianti fazioni sia in breve tempo condotta a tale, che, perduta la quiete e la libertà, più non possa recuperare la gloria delle lettere e delle arti, che noi ereditammo, invidiabile patrimonio, dagli avi nostri.

Pisa, 4 febbraio 1872.

CATERINA FRANCESCHI FERRUCCI.

DELLA LETTERATURA ITALIANA

DAL SECOLO XIII AL XVI.

PROEMIO

DELLA PRIMA EDIZIONE.

Come il vecchio, già stanco delle ingannate speranze e degl'instabili desiderii, sente mesto diletto nel ricordare gli anni lontani della sua florida giovinezza, allorquando innocente e buono apriva l'animo all' amicizia, alla compassione, all' amore; così chi vive in età corrotta e prova il tedio, non tanto del viver lungo, quanto delle perdute illusioni, volentieri si pone a pensare gli antichi tempi: e trovando o credendo trovare in quelli la nobiltà e la eccellenza che più non vede ne'suoi, se molto del presente si disconforta, più ancora si confida dell'avvenire. Poichè essendo le umane cose in continuo moto, non è impossibile ad accadere che quelli, che or sono in basso, salgano in alto, e che i nostri posteri abbiano fortuna diversa assai dalla nostra, purchè siano in essi diversi gl'intendimenti e i costumi.

Certo, se ci volgiamo a considerare la condizione delle lettere e degli studii in Italia, l'animo nostro

FERRUCCI, Lezioni. - I.

se ne commove di pietà, non meno che di vergogna. Imperocchè si scorge in molti ignoranza superba e turpe fastidio di quelle leggi, che fissano norme al bello: vedonsi gli uni errare fuori del buon cammino sull' orme de' forestieri; gli altri pigliare per poetica inspirazione il cieco furore di fantasia delirante: questi spregiare la sapienza de' padri nostri; quelli violare in tal guisa la purità del nativo idioma, che dalle loro inesperte mani trattato esso pare altro in tutto da quello che fu in antico. E se in mezzo al disordine, alla battaglia, alla confusione de' giudicii, de' pensieri, delle sentenze, qualche nobile ingegno risplende ancora, quasi stella pallida e solitaria tra le nubi di fosco cielo, la sua grandezza più chiaramente fa manifesta la viltà e la bassezza nostra.

Il decadimento delle lettere e delle arti non solo è grande sventura ad una nazione, perchè la priva della parte più pura della sua gloria, ma si ancora per essere certo indizio della corruttela degli animi e delle menti. Onde ne puoi inferire, che come gli uomini in essa più non portano amore al bello, nè più conoscono il modo di ritrarlo con le parole, co' suoni, con i colori, così nè sentono il pregio della virtù, nè sanno, secondo i suoi documenti, compire i diversi ufficii del vivere domestico e del civile. Dal che ne siegue, che dove siano i giovani ricondotti al culto della ideale bellezza, saranno essi ricondotti eziandio alla obbedienza de' precetti morali, dai più nei nostri infelici tempi disconosciuti o dimenticati. Imperocchè l'intelletto non si solleva alla contemplazione del bello, se prima in sè non accolse il lume del vero. E chi non sa essere con

questo e con quello il bene congiunto, siccome con la sua radice la pianta, e l'effetto con la cagione?

Allorchè la romana repubblica perdette la libertà, le rimase per qualche tempo a conforto della servitù ignominiosa lo splendore delle lettere e delle arti. Onde se nei rostri più non si udiva la voce degli oratori rimproverare il sangue versato e le offese leggi ai potenti, i sette colli risonavano del canto dolcissimo di Virgilio e di Orazio, mentre Cicerone dell'onesto e del vero filosofava, e Livio narrava ai posteri le imprese di Roma. Qual nome, qual decoro, qual gloria rimarrà a noi Italiani, se non cerchiamo di riporre nel grado antico la nostra Letteratura! E ci avverrà di levarla dal fango, dov'è caduta, quando non prendiamo in esempio i classici nostri, imitandoli non con ossequio servile, ma col libero modo di chi, volendo e potendo da sè creare nuovi concetti e immagini nuove, non dimentica avere l'arte fissi principii, e il bello, infinito nella sua essenza, dovere obbedire a leggi determinate nelle sue forme?

A ciò pensando m' è sorto nell' animo il desiderio di scrivere alcunè Lezioni intorno alla nostra Letteratura, cominciando dai primi tempi della gagliarda sua giovinezza e fino a quelli continuando, in cui, se non mancolle il vigore, mancolle il gusto squisito e il retto giudicio. Scriverò queste col medesimo intendimento, con cui ho dettato gli altri miei libri. E poichè nel primo di essi trattai della educazione in ordine al bene, nei susseguenti della educazione in ordine al vero, in questi mi propongo trattare del bello, non in maniera speculativa, ma in modo pratico, derivando le dottrine

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