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antichi, nè tra i moderni. Perchè vi si vedono insieme ritratti il mondo sensibile e l'ideale, con arte di si mirabile perfezione, che bene si può dire di lei ciò che disse il nostro poeta dell' arte umana, essere ella

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quasi nipote a Dio. »1 Nè questa lode parrà soverchia a qualunque pensi, come sia difficile di rappresentare con vive forme quanto alla nostra mente si manifesta nella invisibile essenza di pura idea.

Noi cercheremo, il più chiaramente che ci sia dato, di fare il sunto delle dottrine filosofiche espresse dall' Alighieri nel suo poema, mostrando a quale scuola appartengano, e come abbraccino tutte quante le verità conosciute allora, ed altre poi ne contengano, soltanto ne'secoli posteriori recate all' intelligenza comune. Perocchè in Dante fu la virtù, ch'è propria di quegl'ingegni, ne' quali è tanta acutezza a indagare il vero, quanta in niun altro de' tempi loro: sicchè dal noto facendosi arditamente scala all' ignoto, dai fatti argomentando il possibile, con deduzioni saviamente condotte arrivano a discoprire molte leggi ignorate della natura, e gittano i semi di verità, delle quali i posteri loro godranno il frutto.

A dare giusto concetto a chi legge delle dottrine di Dante riferirò le sue stesse parole, affinchè i giovani non pure abbiano facoltà di vedere in esse quasi il quadro della sapienza di lui, ma vi notino la maniera, con cui le idee morali e le astratte dalla poetica luce siano illustrate, divenendo intelligibili eziandio a coloro, che non hanno a dentro studiato in filosofia. Certo Dante ha saputo meglio di ogni altro ritrarre la 'Inferno, canto xi, v. 105.

forza delle passioni, creare immagini fiere, caste, soavi, terribili, maestose, e loro dar vita con uno stile, che supera l'efficacia della pittura; ma fa mostra d'ingegno quasi divino, allorchè adorna di nobilissime fantasie concetti speculativi, e spiega poetizzando l'arcano operare dell' intelletto.

Egli è noto dividersi la filosofia in tre parti: cioè nella metafisica, nell'etica e nella fisica, le quali poi in altre si suddividono. Le due prime erano accuratamente studiate ai tempi di Dante; dell'altra poco si conosceva, e quel poco era pieno di molti errori, usando i dotti di spiegare le leggi della natura con le ipotesi, e non con la prova della esperienza. Anche nella filosofia, che del soprannaturale è investigatrice, o che cercando le ragioni del bene pone con esse norme ai costumi, la verità non risplendeva lucida e intera, annebbiata dai metodi oscuri degli scolastici, i quali con avviluppati argomenti, con sottilissime distinzioni e con gli artificii della dialettica confondevano (e forse non a malizia) il falso col vero, e consumavano il tempo nel dichiarare quistioni o inutili per sè stesse, o d'impossibile trattazione alla mente umana, per non essere fondate nè sopra i fatti, nè sopra probabili deduzioni. L' Alighieri di ciò si avvide, e però biasima duramente nel Paradiso i vani filosofanti de' tempi suoi, ponendo in bocca di san Tommaso, che gli dichiara l'altezza e l'utilità della sapienza di Salomone, queste parole:

Non ho parlato sì, che tu non posse

Ben veder ch' ei fu re che chiese senno,
Acciocchè re sufficiente fosse:

Non per saper lo numero in che enno
Li motor di quassù, o se necesse
Con contingente mai necesse fenno;
Non, si est dare primum motum esse,
O se del mezzo cerchio far si puote
Triangol sì, ch' un retto non avesse.

(Paradiso, canto XIII.)

Non solo le ambagi della scolastica facevano smarrire agl' ingegni la buona via, ma l'amore de' sistemi vinceva in essi l'amore del vero: onde recavano offesa a questo per sostener le dottrine ch'erano nella loro scuola insegnate. Quindi le acerbe contese fra i realisti ed i nominali, e le dispute oziose e i tanti sofismi di chi preferiva al vero la sua opinione. Il che non poteva essere tollerato da Dante, uomo di mente liberissima, non addetto in modo servile ad alcuna scuola, desideroso di avere la luce, senza guardare da qual parte e in qual modo venisse a lui. Però in altro luogo dice, parlando dei filosofi del suo tempo:

. . laggiù non dormendo si sogna,
Credendo e non credendo dicer vero:
Ma nell' uno è più colpa e più vergogna.
Voi non andate giù per un sentiero

Filosofando; tanto vi trasporta

L'amor dell' apparenza e il suo pensiero.
(Paradiso, canto XXIX.)

I soli due passi sopra citati basterebbero a provare, senz'altra dimostrazione, quanto filosofico e grande fosse l'intelletto dell' Alighieri. Ricordiamoci ch' egli viveva in un tempo, in cui l' ardore delle civili discordie nelle quistioni scientifiche trapassava. Uomini battaglieri erano quelli del Medio Evo. Chi non poteva FERRUCCI, Lezioni. — I.

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combattere con la spada combatteva con l'entimema e col sillogismo: e come dalle gare di parte usciva la confusione e il tumulto nelle città, e poi ne sorgeva la tirannía, cosi le dispute delle scuole riempivano di clamore le solitarie meditazioni degli studiosi e davano cagione all'errore. La mente di Dante era troppo vasta per ristringersi dentro le angustie d'un metodo e di un sistema: nè a lui innamorato della verità, in cui vedeva un raggio di Dio, potevano piacere le arguzie della dialettica. Quindi studiati i libri si degli antichi, si de' filosofi de' suoi tempi, ne trasse da tutti ciò ch'ei stimava essere concorde col vero, ed ebbe un modo di filosofare suo proprio, pratico in parte ed in parte speculativo, applicando ai costumi e al viver civile i principii assoluti e le astratte idee, e dallo studio dell' uomo innalzandosi col pensiero alla contemplazione di Dio.

San Tommaso aveva cercato di ricondurre la filosofica scienza al suo fine, fondando la legge morale nel vero eterno; onde la sua dottrina astratta e metafisica nella essenza, siccome dicemmo innanzi, fu pratica nelle sue applicazioni. Dante lo seguito in questa via meditò sull' eterno; contemplò l'immutabile e l'infinito: congiunse quindi queste sue ardite speculazioni con la scienza de' fatti, con lo studio prima dell' individuo, poscia di tutto il genere umano, posando i giudizii suoi sulla storia, e da lei derivando le sue opinioni; e però disse dirittamente, che cielo e terra avevano posto mano al suo gran poema.

È da notare, che, mentre egli aveva a sdegno il sofistico modo e le sottigliezze degli scolastici, i quali

abusavano l'autorità di Aristotile, chiama questo « il maestro di color che sanno, » e lo mette al di sopra di Socrate e di Platone. Da ciò si vede, che discerneva, essere ben diversa la vera dottrina del filosofo di Stagira da quella ch' era insegnata da' suoi espositori. I quali invertendone il senso, o studiandola sulle traduzioni degli Arabi, dediti per natura alle astruserie, e quindi poco atti a bene intendere una dottrina piuttosto pratica che ideale, la facevano parere ciò che non è. E nell' artificioso viluppo, nella intricata catena di cavillosi ragionamenti confondevano in guisa le loro idee, ch'era impossibile quasi scoprirvi il vero. Pure l'autorità del maestro bastava a convincere il volgo degli studiosi: onde Aristotile, alla scolastica travestito, diede nome di verità a molti errori. Dante non tenne la via battuta: solo, o con pochi, ricercò il vero nel modo che si conviene, e mostrandosi ora seguace di Aristotile, ed or di Platone, fece che il nome di filosofo avesse in lui il suo proprie significato, amando la sapienza in sè stessa, non per sostenere l' onore di una scuola o quello dell'avversa abbassare.

L' Etica di Aristotile fu molto da lui studiata : spessissimo la cita nel libro del Convito, e due o tre volte nella Divina Commedia. Anzi espressamente dice nel primo, essere maestro de' costumi lo Stagirita. Dal

1 << Intra operai e artefici di diverse arti e operazioni, ordinate » a una operazione e arte finale, l'artefice ovvero operatore di quella >> massimamente dee essere da tutti obbedito e creduto, siccome » colui che solo considera l'ultimo fine di tutti gli altri fini. Onde » al cavaliere dee credere lo spadaio, il frenaio e il sellaio e lo >> scudaio, e tutti quelli mestieri che all' arte di cavallería sono or» dinati. E perocchè tutte le umane operazioni domandano un fine,

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