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ed amor di patria, potrà da sè medesimo giudicare, dove la legga e la ponderi attentamente, in essa bellissime essendo tutte le parti. La prima, la seconda e l'ultima stanza, sono, per quel ch' io ne penso, sopra le altre da commendare:

O patria, degna di trionfal fama,

De' magnanimi madre,

Più che in tua suora, in te dolor sormonta:
Qual'è de' figli tuoi, che in onor t'ama,
Sentendo l'opre ladre

Che in te si fanno, con dolore ha onta.
Ahi quanto in te l' iniqua gente è pronta
A sempre congregarsi alla tua morte,
Con luci bieche e torte,

Falso per vero al popol tuo mostrando.

Alza il cor de' sommersi, il sangue accendi,
Su i traditori scendi

Nel tuo giudicio; sì che in te laudando

Si posi quella grazia, che ti sgrida,

Nella quale ogni ben surge e s' annida.

Tu felice regnavi al tempo bello,

Quando le tue rede

Voller, che le virtù fossin colonne.
Madre di loda e di salute ostello,

Con pura unita fede

Eri beata, e con le sette donne.
Ora ti veggio ignuda di tai gonne;
Vestita di dolor, piena di vizi;
Fuori i leai Fabrizi;

Superba, vile, nemica di pace.
O disnorata te! specchio di parte,
Poichè se' aggiunta a Marte

Punisci in Anténora qual verace
Non segue l'asta del vedovo giglio;

E a quei, che t'aman più, più fai mal piglio.

Tu te n'andrai, Canzone, ardita e fera;
Poichè ti guida Amore,

Dentro la terra mia, cui doglio e piango;
E troverai de' buon, la cui lumiera
Non dà nullo splendore,

Ma stan sommersi, e lor virtù è nel fango.
Grida: sorgete su, chè per voi clango.
Prendete l'armi, ed esaltate quella;
Chè stentando viv' ella;

E la divoran Capaneo e Crasso,
Aglauro, Simon Mago, il falso Greco,
E Macometto cieco,

Che tien Giugurta e Faraone al passo.
Poi ti rivolgi ai cittadin suoi giusti,

Pregando sì, ch' ella sempre s' augusti.

È chiaro che questa canzone fu scritta quando gran parte della Divina Commedia era già compiuta; poichè vi si trovano gli stessi nomi che in quella sono impiegati, siccome simboli, o più veramente come ricordo di alcuni vizii. E lo stile vi è forte, rapido, concettoso, quale doveva essere di poeta, che grande per la natura si era con l'arte e con il lungo esercizio di scrivere in verso perfezionato.

Innanzi di porre termine al mio discorso intorno alle rime dell' Alighieri, parmi opportuno toccare un poco delle cagioni, per cui ora noi non abbiamo poeti lirici. È difficile agl' Italiani salire in fama nella epopea, avendone l'Ariosto e il Tasso già colte le prime palme. Ma il campo della lirica ci rimane, se non intatto, per fermo aperto. Essendo i suoi modi varii, come gli affetti del nostro cuore, e le sue forme tanto diverse, quanto sono diverse le fantasie, che da immaginativa commossa sono create. Ella è tutta nel

l'animo del poeta, e muta di qualità quante volte non muova da subita inspirazione. Accumuli pure l'uomo a sua posta le immagini ardite, le metafore, le figure, i trapassi; sciolga il volo alla fantasia, e abbagli di luce improvvisa i suoi leggitori: s'egli non sente quello che dice, le sue parole, comecchè belle e sonanti, cadranno a vuoto, e dilettando l'orecchio non sarà mai che giungano insino al cuore.

Un solo grande scrittore di liriche poesie avemmo noi ai nostri giorni: cioè il Leopardi. Un dolore sin. cero, senza conforto, cosi eccessivo, che quasi volse a disperazione, fu la sua Musa. Ottenne la pietà nostra, perchè scriveva di quello che aveva nel cuore, ed impresse negli alti versi l' anima sua. Studioso delle latine e delle italiane eleganze, educato alla grazia semplice e cara dei Greci, diede a tutti i concetti splendida veste, onde per la varietà, per la copia, per la purezza del suo dettato non poeta moderno, ma parve, antico. Adunque le due qualità, che il lirico deve avere, sono la verità dell' affetto e la nobiltà dello stile. E se queste doti siano in coloro, che vanno oggidì scrivendo canzoni ed odi, ognuno che abbia fiore di senno da sè lo vede. In alcuni di quelli è potente ingegno, mobilità ed arditezza di fantasía; ma perchè la natura da sè non basta a fare il poeta, mancando ad essi lo studio accurato e l'arte, non è ne' loro componimenti quello splendore di lingua, d'immagini, di sentenze che vuole la lirica, forse assai più di qualunque altra maniera di poesia. Vi scorgi una stanza assai ben condolta, poi un' altra intralciata, piena di antitesi, di falsi concetti, di voci vili o di modi gonfi. Il dettato vi

manca di proprietà: le metafore vi sono strane, ampollose, mal derivate; l' una con l' altra in opposizione per forma, che risvegliando nell' intelletto del leggitore idee disparate, e fra sè contrarie, inducono in quello spiacevole confusione.

Ne a questo è di scusa il dire, che il lirico, essendo a un tratto come invasato dalla poetica inspirazione, non può badare alla qualità delle voci, nè all' ordine e alla giustezza delle sentenze, come farebbe chi scrive dietro i dettami della ragione. Ma l'estro non è furore: è luce, che rischiara la mente; è fuoco, che infiamma l'anima e che riscalda la fantasía; è virtù, che rivela all' uomo il bello ideale. E perchè ufficio della parola è prestare ad esso forma sensibile, se questa non abbia corrispondenza con quella idea, che vuole il poeta significare, o non sia pari all' altezza sua, il concetto non ne risulta evidente, e quindi non ha bellezze.

Pertanto a dare all'Italia una lirica, che sia degna di questo nome, fa d'uopo che gli odierni poeti da nobili e forti affetti siano commossi, e che abbiano bene imparata l'arte di dipingere i sentimenti e le idee con i vocaboli proprii o co'figurati. E qui mi accade ripetere ciò che ho già detto altre volte: i nostri affetti mai non saranno nè nobili nè gagliardi, fin chè ci ondeggia la mente in balía del dubbio, finchè con la morta fede non si ridesta l'amore nei nostri petti. Nè mi si opponga mancarci la facoltà di trattare. i tèmi, che alla qualità della lirica sono conformi. Se non possiamo celebrare il valor guerriero, se ci è disdetto cantare di patria e di libertà, abbiamo Dio, la morale, la religione, le passate sventure, le antiche

FERRUCCI, Lezioni. I.

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glorie abbiamo la compassione, l'amore, la carità: abbiamo i trovati mirabili della scienza, le sempre nuove bellezze della natura, l'arcano mondo, che opera e vive con certe leggi dentro di noi. Quęsti sono argomenti che possono fortemente commovere il cuore del poeta, eccitarne la fantasía, fargli trovare immagini nuove e nuovi modi di stile. Dante fu grande, perchè nel credere stette saldo, perchè amò e seppe con l'arte nobilitare la natura. Chè niuno fluttuando nel dubbio, o avendo per la superbia o per l'avarizia indurito il cuore, in alcun tempo fu mai poeta. E però la lirica poesía avrà dolcezza di suoni non mai tra i moderni uditi, quando la fede, l'arte, l'amore tempereranno l'ingegno degl' Italiani.

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