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LEZIONE SETTIMA.

SOMMARIO.

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Verità ed universalità del soggetto della Divina Commedia. · -Donde il Grandezza e vastità del poema. poeta lo trasse. Come in Dante fossero riunite le parti che son necessarie a formare un grande poeta. Perchè le immagini del sensibile campeggino sopra le altre nella cantica dell' Inferno. - Come sia filosofica la distinzione de' vizii fatta da Dante. - Del modo con cui dipinse gli affetti e i caratteri. Si pigliano in esame le più notevoli fra le bellezze di questa cantica. Effetto che dallo studio di essa nasce in chi legge.

Perchè nessuno nel mondo vive felice? che cerca, che vuole l'anima nostra col suo lungo e affannoso desiderare? Dalemi un uomo abbondevole d'ogni dono della fortuna fate ch' ei sia di tanto potere da tenersi soggette grandi nazioni, e d'animo così eccelso da meritare con le sue imprese la gloria; poi domandategli se del suo stato sia pago, e da lui saprete, siccome reputa un nulla il tanto ch' egli ha, a petto di quello che aver vorrebbe. Allorchè sono congiunti due cuori da casto affetto, soavissima è la dolcezza che li consola. Ma il reciproco loro amore non li contenta. Poichè si è appreso in due creature mortali, deve aver fine; e l'anima nostra per naturale tendenza ancor nell'affetto desidera l'infinito. La cognizione del vero conforta il savio, ma non lo sazia. Più egli s' interna col suo pensiero nel mare degli esseri e delle cose, e più ne vede

lontane l'estreme sponde. Limpido e puro non splende il raggio ideale nella sua mente: chè a traverso del senso vi giunge annebbiato e fosco. Nè l' errante pastore, nè il semplice contadino, nè il fanciulletto, che scherza e dorme in grembo alla madre sua, benchè non abbiano l' acutezza dei desiderii, ch'è così grande negli uomini usati al viver civile, non provano mai quel senso perfetto d'interna quiete, pel quale potremmo a ragione dirci felici. Chè quanti noi siamo, in tutte le gradazioni diverse di età, di fortuna, di stato, di educazione, udiamo una voce nel nostro cuore, che ci domanda assai più di quello, che vivendo nel mondo possiamo avere.

Pertanto io chiedo di nuovo: che vuole, che va cercando l'anima nostra? Essa non altro cerca, che Dio sospira a riunirsi a Lui, e vagheggia in tutte le cose l'immagine sua, che in sè medesima porta, benchè velata. Se la vita dell' uomo tenesse il suo vero corso, si calmerebbe il suo inquieto desiderare, quando si appressa il fine di lei. Perocchè, fatti ogni giorno progressi nella virtù, e sentendosi quindi meno lontano da Dio, con piacere saluterebbe la morte, che per sempre con Esso lo ricongiunge. Ma le passioni ed i vizij nati da quelle c'inducono a sperar dalla terra la contentezza, che solo può darne il cielo. L'uso insensato che noi facciamo del nostro libero arbitrio ci porta fuori del buon cammino, nè ci è permesso di ritornarvi, se, pentiti del tempo male impiegato, non rivolgiamo di nuovo l' anima a Dio.

Ognuno, che abbia pigliato un poco in esame le inclinazioni ed i sentimenti del cuore umano, vede

in sè stesso e negli altri la naturale tendenza, che a Lui ci porta. La quale si manifesta nei buoni con la inalterabile pace della coscienza, nei malvagi col pertinace rimorso. Verità è questa che non bisogna di alcuna dimostrazione, poichè appartiene al senso comune, ed a tutti è provata per evidente dalla esperienza. Un ingegno di sovrumano vigore la fece soggetto di altissima poesía, e alla sua voce risposero tutti i cuori, non solo perchè egli diede alle sue parole tanta dolcezza e tanta efficacia, che niuno le udiva senza commoversi, ma perchè era da lui cantato il pensiero di tutto il genere umano, perchè diede forma poetica a sentimento ingenito, universale.

Andarono alcuni indagando con molta cura le origini della Divina Commedia, e si argomentarono di trovarle nelle leggende ed in alcuni racconti maravi gliosi, che correvano tra la gente ai tempi di Dante. Io però penso ch'egli traesse il soggetto del suo poema dalla sua propria coscienza, e da quella di tutti gli uomini in generale. Aveva certamente notate in sè medesimo prima, e quindi negli altri, le cose di che ho discorso. Con la sua potentissima fantasía le animò, le ristrinse in quadri con vivi colori pennelleggiati, ed ai divini consigli (se così è lecito dire) partecipando, dispensò con giusta misura le pene e i premii, secondo le opere di ciascuno. Espresse il faticoso ritorno dell'uomo a Dio per mezzo del pentimento, e l'allegrezza dell' anima ricondotta al principio suo dalla carità, dalla fede, dalla speranza. Ma per essere libero al tutto ne' suoi giudizii, dal fugace mondo terrestre si trasportò nell' eterno col suo pensiero. E in cambio di

narrare la battaglia della ragione e del senso, e gli sforzi perseveranti dell' uomo per ritornare all'emenda, di quella e di questi espose gli effetti, ponendo al sommo dell' universo spirituale, da lui con arte meravigliosa dipinto, Dio, di punizioni e di premii severo, ma giusto dispensatore. Ed avendo egli la persuasione: ch'esser conviene

Amor semenza in noi d'ogni virtute,

E d'ogni operazion, che merta pene,

immaginò da filosofo e da cristiano che l'amore, consolazione delle anime tormentate nel purgatorio, beatitudine delle elette, accrescesse ai dannati l' acerbità delle pene, essendo converso in odio; e però quelli nello smanioso loro furore

Bestemmiavano Iddio e i lor parenti,

L'umana specie, il luogo, il tempo e il seme
Di lor semenza e di lor nascimenti.

(Inferno, canto III.)

Nè solo ritrasse Dante nel suo poema il corso segnato alla nostra vita, cioè l'inclinazione che ha ogni uomo di congiungersi mentalmente col suo creatore in mezzo alle guerre e agl' impedimenti delle passioni, ma vi dipinse eziandio il corso di tutto il genere umano. Il quale, creato all' onesto e al vero, deviò dal cammino che Dio gli aperse, nella persona del primo padre. Onde poi vennero gli errori del paganesimo, la passionata morale, la forza tirannica violatrice della giustizia, e tutti i vizii dell' intelletto e del cuore, che fecero tanto imperfetta la civiltà degli antichi. Dal Redentore imparammo per qual maniera possiamo espiare le nostre colpe, e come il cielo, che ci era chiuso da

queste, ci sia riaperto per mezzo del pentimento. Seguendo la celestiale dottrina di nuovo l'uomo si accostò a Dio: e benchè la lotta tra la coscienza e la volontà non sia mai finita, pure fu quegli dalla grazia aiutato a fuggire il male, e la civiltà prese forma dall'Evangelo, comecchè le ribelli passioni ci conducessero spesse volte a non concordare con le sue leggi azioni e costumi. Il Cristianesimo adunque, il quale sul dogma della espiazione ha il suo fondamento, ci porterebbe, dove non fossero i nostri vizii, al grado di perfezione, nel quale l'uomo si unisce a Dio. E però ancora nel tempo potremmo arrivare al fine, pel quale fummo creati, come nella eternità vi giungiamo, usando in bene la libertà dell' arbitrio.

Dal concetto generale e finale del gran poema si vede essere in lui contenuto il sensibile e l'ideale. Nessun poeta prima di Dante aveva preso a trattare un tèma di tale altezza: onde s'ei non ha imitatori, non ha modelli. E come le piramidi dell'Egitto, che s'inalzano solitarie in mezzo al deserto, vincitrici del tempo e della fortuna, attestano quanto sia grande la forza meccanica e materiale dell' uomo; così la Divina Commedia ci è chiara prova della forza intellettuale di lui. Essa è tanto al di sopra di tutte le opere, cui diè vita la poe. tica facoltà dell'ingegno umano, quanto (a spiegare con paragone sensibile il mio pensiero) i monti dell'Himalaia stanno al di sopra di tutti i monti del globo: ed è tanto di tutte nel suo concetto più vasta, quanto l'Oceano più largamente si estende degli altri mari, che, apertosi tra le interposte terre lo sbocco, si addentrarono in esse violentemente, e in parte dei loro flutti le ricopersero.

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