Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Al venire di Beatrice Virgilio sparisce agli occhi di Dante, perchè dinanzi alle verità della fede la ragione rimane come abbagliata. Bellissimo è il modo, con cui è dal poeta espressa la compassione che hanno gli angioli santi del Paradiso delle nostre sventure e dei nostri errori. La donna in atto sdegnoso si volge a lui, e lo riprende molto aspramente dicendo:

Guardami ben: ben son, ben son Beatrice:
Come degnasti d'accedere al monte?
Non sapei tu, che qui è l'uom felice?
(Purgatorio, canto xxx.)

Egli l'ascolta tacito, e non si attenta di riguardarla: continua quella a rimproverargli di avere amato cose e persone che non doveva: gli angioli tosto intonano pietosamente un dolcissimo cantico di speranza, invitandolo a confidarsi nella divina bontà. Allora dice il poeta:

poichè intesi nelle dolci tempre

Lor compatire a me, più che se detto
Avesser: Donna, perchè sì lo stempre?
Lo gel che m'era intorno al cuor ristretto
Spirito ed acqua fessi, e con angoscia
Per la bocca e per gli occhi usci del petto.
(Purgatorio, canto XXX.)

A questo punto la purgazione è compiuta; Matelda prende il poeta, lo immerge nel fiume Lete, e mentre ei vi perde la rimembranza di tutti i commessi falli, gli angioli con soavissimo canto ne rendono grazie a Dio. Beatrice gli volge gli occhi sereni, ed egli, abbagliato al loro fulgore, esclama:

O isplendor di viva luce eterna,

Chi pallido si fece sotto l'ombra
Si di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
Che non paresse aver la mente ingombra,
Tentando a render te qual tu paresti
Là, dove armonizzando il ciel t'adombra,
Quando nell'aere aperto ti solvesti?

(Purgatorio, canto XXXI.)

Da indi in poi Dante è disposto a salire al cielo. Ma come nella sua propria persona ha simboleggiato la purgazione dell' uomo, così egli prende nell' ultima parte di questa cantica a figurare la purgazione della civile comunanza. E prima mostra essere ella viziata nei due poteri, su i quali ha il suo fondamento, cioè, nell' ecclesiastico e nel laicale. Quindi fa dire a Beatrice che la sua corruttela avrà presto fine per opera d'un capitano da Dio mandato, forse per quella di Arrigo di Lussemburgo, il quale doveva, secondo sperava Dante, cessare la servitù della Chiesa, facendo che il papa tornasse a Roma, spegnere i tiranni e le sette per tutta Italia, e sotto il suo impero ridurre a giustizia e a pace popoli e re. Nè perchè i fatti contradicessero alle parole dell' Alighieri, si deve reputar falso il concetto espresso da lui con arditissime fantasie. Essendochè è indubitato, non poter le nazioni avere quieto governo, nè stabile libertà, se l'emenda degli individui non precede la riformazione politica degli Stati. Perchè le leggi o avranno in sè alcuna parte che sia viziosa, o non potranno portare l'effetto loro, quando gli uomini schiavi delle passioni abbiano dagli errori e dal senso offuscata la mente e guastato il cuore.

Da ciò si vede come ciascuno possa contribuire al bene comune col far migliore sè stesso, e coll' educare

all' onesto e al vero quanti per volontà di natura o per condizione di vita sono disposti a seguire l'esempio suo. Fate pertanto che ognuno sia buono in sè, e intenda a far buoni gli altri, e senza tumulti, senza sollevamenti di popolo, senza sangue vedrete il mondo quasi da sè medesimo pervenire a tranquillo stato, e otterrete quello che fu sempre da tanti affannosamente cercato indarno; perchè disgiunsero la libertà dalla religione, dalla carità la giustizia, dal dovere il diritto e l'uomo da Dio.

Con questa nobilissima verità, sotto allegorico velo significata, chiude il poeta la parte seconda della Divina Commedia. La lettura della quale ci lascia nell'animo meraviglia grandissima e riverenza verso il suo ingegno, conforto e speranza per l'avvenire. Conciossiachè la forza non può impedirci nè di emendare i nostri costumi, nè di risvegliare nei nostri petti la morta fede. Questa a noi manca, e per questa sola potremo avere altri tempi ed altra fortuna.

262

LEZIONE NONA.

SOMMARIO.

Come gli antichi stimassero, che di natura sensibile fosse la felicità delle anime giuste dopo la morte. In che la riponga Dante. Come egli seguisse e poeticamente esponesse il sistema di Tolomeo.- Grandi difficoltà da lui vinte in questa terza cantica. -Si riprendono coloro che la giudicano inferiore alle altre. - Verità, altezza, sublimità de' concetti in essa racchiusi. — Sue grandi bellezze di stile e di fantasia. - Quanto sian vere le opinioni di Dante intorno alle cose, che fanno liberi e quieti gli Stati. - Si tocca della dottrina di lui e del meraviglioso poetico. -Utilità dello studio della Divina Commedia.

Quando gli antichi descrissero la felicità degli Elisi, poco diversa da quella che l'uomo ricerca in terra la figurarono. Dissero, invero, che un' aria più della nostra sottile vi circolava,' e che quelli avevano il loro sole e le loro stelle: ma finsero che i guerrieri, come facevano essendo vivi, dell'armeggiare e del condurre cavalli si dilettassero, mentre i poeti dentro un boschetto di allori continuavano i loro canti, o traevano dalla lira armoniosi suoni.

Dante, informato dallo spirito e dalle dottrine del Cristianesimo, nella cognizione della verità e nell' amore ripose la beatitudine delle anime su nel Cielo:

E dei saver che tutti hanno diletto,

Quanto la sua veduta si profonda

Nel vero, in che si queta ogn' intelletto.

1 Virgilio, Eneide, lib. vi.

Quinci si può veder come si fonda
L'esser beato nell'atto che vede,

Non in quel ch' ama, che poscia seconda.
(Paradiso, canto XXVIII.)

Nell' uomo, allorchè fuori del corpo s'innalza a Dio, non si cancellano le qualità e le tendenze essenziali alla sua natura; ma di umane, ch' erano in prima, fatte divine si perfezionano; quindi per le stesse cagioni, onde sarà beato nel cielo, egli sopra la terra sarà felice. E per certo la cognizione del vero infinita, lucida, intera pe'giusti nel Paradiso, riempie l'animo dei viventi di tal diletto, comecchè qui l'abbiamo solo adombrata, che altro maggiore dal mondo speriamo indarno. Oltre a ciò, qualunque ha veduto l' ugualità originaria di tutti gli uomini, ha per ciascuno di essi affetto di riverenza e di carità. L'avere studiato le leggi dell' universo ci aiuta a meglio conoscere Dio: sicchè l'amore portato ad Esso si accresce per la sapienza, la quale rende più vivo in chi la possiede il senso della giustizia. E non sentiamo noi forse dentro di noi un insaziabile desiderio del vero? E che significa l'odio. della menzogna, ingenito in tutti, se non che siamo fatti per quello, e quindi in lui solo può riposare la nostra mente? Pertanto io credo e sempre più la esperienza degli uomini e della vita in questa opinione mi riconferma, la sola felicità, che aver noi possiamo, venirci dalla carità e dalla scienza. Non solo dalla scienza speculativa, o da quella ch'è infaticabile indagatrice d'ogni segreto della natura, ma dall' altra, di cui Socrate favellava, allorchè per divino comandamento ci esortó a bene conoscere noi medesimi. Oh quanta man

« ÖncekiDevam »