scrittori di là dall'Alpe, non siano fatte per lei. Perciò sebbene la imitazione diminuisca la gagliardia intellettiva, quella dei classici non ci rende al tutto servili. Concios. siachè fra essi e noi è tale conformità naturale, che anche esprimendo i loro pensieri esprimiamo i nostri, nè mai tanto possiamo esser loro, che sempre non siamo noi. Non è così di chiunque negli studii si pone sulle orme dei forestieri. Essi lo trasportano in un cammino, ove egli non trova cosa che si concordi con il suo ingegno. Hanno quelli natura di mente, ch'è dalla nostra molto diversa. Quindi il pigliare da essi la forma delle invenzioni, l'ordine, la qualità delle immagini e dei concetti, è un pretendere di sforzare, anzi d' imbastardire le nostre potenze intellettuali. Io non biasimo che i giovani dopo di avere studiato nei classici si volgano ad ammirar le bellezze delle esterne letterature. Mi dolgo però che molti pregino queste più delle antiche, e più della loro propria, sicchè danno a sè stessi una educazione francese, inglese, tedesca, non italiana. Pure quale letteratura è più bella, più variata, più splendida della nostra? Abbiamo poeti che tra i moderni portano il primo vanto della eccellenza; abbiamo storici insigni per la rettitudine del giudicio, per la vivacità delle narrazioni, per la gravità dei concetti, pel maestoso ed ornato stile. I forestieri ci han superato nella eloquenza, perchè diventarono popoli liberi o forti nazioni, quando noi più non avemmo la facoltà di parlare di ciò che presta facondia e spirito all' oratore. L'Italia si gloriava di Dante, allorchè la Francia non aveva che rozzi verseggiatori, nè in Germania, nè in Inghilterra era surto chi con poetica veste adornasse. il bello. Pertanto calpesta l'onore della nazione qua lunque tiene tra noi in dispetto gli antichi nostri. I quali, cioè l'Alighieri, il Boccaccio, il Petrarca e alcuni scrittori di schiette prose, hanno reso immortale il nome del secolo XIV. La memoria di esso vive eziandio per i viaggi e per le scoperte fatte nell' Asia da Oderico da Pordenone, da Marino Sanuto, dal Cornaro, dal Pegoletti, che seguiron l' esempio di Marco Polo, l' ardito visitatore della Tartaría, della Cina, della Mongolia; vive nelle arti risorte durante il suo corso a novella gloria; vive nei monumenti con rara magnificenza innalzati per tutta Italia; vive nei lavori degli eruditi in lui cominciati, i quali, quasi buon seme in fertil terreno, portarono nel futuro abbondanti frutti. Il secolo XIII fu il tempo eroico dell'Italia. Guerre da noi combattute con gran valore, pel solo fine di utilità nazionale: libertà conquistata dai cittadini su i forestieri e su gli ordini feudali: unione di lei con la religione, essendone stati i papi i propugnatori: bontà di costumi nelle famiglie: desiderio in molti di vincere l'ignoranza: moto ed attività nel pensiero, fecero grande questo secolo uscito appena dalla barbarie, che in sè conteneva i germi di nobilissima civiltà, e li avrebbe per certo fatti fiorire, se le passioni di parte fossero state meno insensate o meno feroci. Ove queste non poterono adoperare la loro forza, cioè nelle lettere e nelle arti, prosegui quella il suo corso, e l'Italia diede esempio invidiato a tutta l'Europa. Quindi il secolo XIV è tanto glorioso intellettualmente, quanto forse non fu poscia neppure il secolo XVI. Perchè se questo ebbe copia maggiore di eccellenti scrittori e di sommi artisti, non ebbe Dante, il più gran poeta, il più vasto ingegno di tutta l' età moderna. Quello però ci ha lasciato lagrimevole eredità di odii, di vizii, di servitù. In esso germogliarono i primi semi della sacrilega irriverenza verso la Chiesa: in esso i costumi pubblici ed i privati perdettero la nativa ingenua schiettezza. Cominciò con tumulti terribili e fiere guerre: segno però di vita e di giovinezza in una nazione: finì con quiete, non riposata, ma paurosa. Lo avea salutato al suo nascere il canto dell'Alighieri; lo salutò al suo cadere la supplichevole voce dei penitenti, che a turbe affannate e meste andavano qua e là correndo l'Italia, chiedendo pace a Colui, che solo può darla al mondo. Patì questo secolo pestilenze, fami, tremuoti. Ebbe prima armi proprie, poscia venali; vide mutarsi i suoi capitani in perfidi condottieri, l'agitazione dei popoli nell' ossequio di timidi cortigiani. Esso ha pertanto colpe assai gravi con i suoi posteri. Noi però tutte le perdoniamo, perchè ci diede il Petrarca, il Boccaccio e Dante. A questo principalmente sia sempre vòlta la mente degli studiosi. Imparino da esso ad avere italiana la lingua e la fantasía; italiano il giudizio, l'affetto, il gusto, ad essere d'animo invitto, sdegnoso d'ogni viltà, sprezzatore dell' ire della fortuna, amante del vero. I tristi tolsero a Dante la patria, i civili onori e tutte le cose che gli erano care: non gli tolsero, finchè visse, la sicurtà dignitosa della coscienza, nè dopo morte la gloria. Questi son veri beni e durano sempre: cerchiamo di farli nostri con la rettitudine della vita e con la sapienza. FINE DEL VOLUME PRIMO. INDICE DEL VOLUME PRIMO. 423 DEDICA.. PROEMIO della prima edizione.... - - Invasioni dei Bar- - LEZIONE I. Decadimento delle lettere latine. Come LEZIONE II. Quale sia stata l'origine della lingua italiana. - - Primi poeti italiani. LEZIONE III. - - - Necessità di studiare la storia civile de' tempi di LEZIONE V. Come Dante sapesse dare veste poetica alle idee filosofi- 82 |