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e le regole dagli esempi. E per la congiunzione sovraccennata, che è tra il vero, il buono ed il bello, io spero che la mia presente fatica sia per essere di qualche utilità ai nostri costumi. Conciossiachè quando l'uomo ammirando il bello se ne innamora, e poi lo ritrae con l'arte, come avrà in odio il disordine der concetti, la stranezza delle immagini, il soverchio dell' ornamento e la viltà dello stile, così avrà pure in orrore il vizio, vedendo in lui bruttezza morale; e vorrà con misura condurre la vita sua, siccome regge pur con misura il corso de' suoi pensieri.

Non è tanto in potere degli uomini, quanto in quello della fortuna, o a meglio dir della Provvidenza, dare all'Italia' nuove forme ed ordini nuovi di politico reggimento. Nè io credo che quelle e questi, poniamo ancora che in sè avessero bontà vera, possano fermare la sua grandezza su stabile fondamento, finchè dagli animi nostri non sia sterpato l'amor del lusso, dell' ozio, dei piaceri, dell' oro, e in tutti non sorga operoso e vivo quello della virtù. Agli scrittori, e a chiunque per carità della patria e per debito di cristiano assume l'educazione de'giovani, si appartiene di rifare l'Italia intellettuale, a ciò adoperando i modi che usavano i nostri antichi, e quelli in alcune parti ampliando, secondo vuole la natura speciale di questi tempi, in cui essendosi meravigliosamente allargato il campo alle scienze sperimentali, deve l'ingegno seguire le nuove idee, arricchirsi delle nuove dottrine, e alle une e alle altre ritrovar conveniente forma,

1 Ricordo che queste Lezioni furono scritte nel 1856.

senza alterare nè la sua propria natura, nè quella della italiana favella.

Certo se io guardassi alla povertà degli studii miei e alla debolezza della mia mente, non dovrei tentare, come ora faccio, di ricondurre gl' Italiani alla riverenza de' nostri grandi scrittori. Ma poichè non già la speranza, nè il desiderio di acquistar lode, ma l'amore e la pietà m'indussero in altri tempi a scrivere e a far palesi i pensieri miei, anche ora seguitando il consiglio della pietà e dell'amore ardisco alzar la mia voce, per dire con affetto di madre e con cuore di amica ai giovani dell' età nostra: Voi tenete, e non sempre per vostra colpa, una mala via. Perchè cercate fra gli stranieri le norme e gli esemplari del bello? Non abbiamo noi forse ricchezze a noi proprie ? Perchè avete del continuo alle mani libri ripieni d'immagini lusinghiere, eccitatrici d'immoderate passioni, persuasive maestre di voluttà? Non è a voi forse permesso di contemplare nelle lettere veramente italiane la dignità e la schiettezza delle Muse greche e delle latine? Le torbide fantasie venute dal settentrione non son per le menti vostre: il pazzo tumultuare di affetti eccessivi o falsi non è fatto pel vostro cuore. Voi siete Italiani; cioè disposti dalla natura ad amare la verità nell' arte, nella filosofia, nella vita; e la verità. rispetto all'arte non si ritrova se non nei libri de'nostri classici; non già disadorna e nuda, quale è sovente in effetto, ma dalle grazie abbellita di fantasia vereconda, ma illuminata dallo splendore della bellezza ideale. Perchè poi osate guastare con modi improprii, con vocaboli forestieri, con metafore troppo

ardite, o troppo lontane dalle idee, che dovrebbero rischiarare, la più armoniosa fra quante lingue moderne abbiano facoltà di dare voce all' affetto e vita al pensiero? Tornate alla imitazione di quelli che furono grandi, perchè essendo sapienti furono buoni e, avendo cara la gloria, più di lei amarono la virtù. Prendete a sdegno i troppo facili studii: chè niuno ebbe vanto di dotto senza fatica; e però in erudire il vostro intelletto nelle nobili discipline impiegate il tempo, che ora perdete nelle vanità e ne' piaceri. Considerando la storia della nostra Letteratura, vedrete come il savio e fermo volere abbia vinto gli uomini e la fortuna, e come in tutte le condizioni dei tempi i buoni ingegni siano potuti venire in fama; non essendo in altrui potere di fare schiava la mente, o sterile e fiacca la fantasia.

LEZIONE PRIMA.

SOMMARIO.

Decadimento delle lettere latine. - Invasioni dei Barbari: effetti che ne seguirono: come l'ignoranza universale in que' tempi fosse combattuta dal Cristianesimo. -Della instituzione de'Comuni in Italia, e quindi delle Crociate. Si tocca della filosofia italiana nei tempi di mezzo, e dei beni recati dalla religione all'ingegno nostro.

La virtù aveva dato principio ed augumento alla romana grandezza, i vizi la fecero in basso precipitare: onde, spenta la libertà, lo sdegno mancò nei cuori, il vigore negl' intelletti. Se la ragione, l'interno senso, l'esperienza della vita e l'autorità della storia non si concordassero ad insegnarci, niun popolo essere stato mai grande senza virtù, l'esempio di Roma antica basterebbe a farcene persuasi. Poichè, siccome ne' terreni poveri e arsicci le biade non crescono rigogliose, così ne' popoli, in cui vien meno l'amore del retto, le intellettive potenze perdono in breve l' ingenita gagliardia.

È opinione di molti non avere le lettere latine conservato la semplicità e la bellezza loro, perchè gli scrittori venuti dopo Virgilio e gli altri del secolo d'oro volendo superarli nell'arte di dare figura al bello, oltrepassarono i limiti a quella posti; onde per fare maestoso lo stile lo fecero gonfio e caddero nell'affettazione cercando la grazia. Ciò è vero in parte:

ma non è vero che solo per questo la letteratura latina si corrompesse. Gli scrittori perdettero la misura e l'amore del bello, perchè aveano innanzi perduto quello del buono: onde l' inutile affaticarsi, ch' essi fecero a spingere l'arte oltre ai suoi certi confini, deve dirsi non la cagione del gusto viziato, ma si l'effetto della licenza degli animi e de' costumi. La quale fu cosi grande che, da lei guasto ogni ordine dello Stato, guaste furono pure le leggi della famiglia, onde turpe fu ne' soggetti la servitù, come tremenda negl' imperanti la tirannia. Niun freno più ritenne dal male il mondo corrotto dal predominio de' sensi sulla ragione. Vero è che negli stoici rimase pure alcun segno della virtù passata, ma questa era in essi o rigida troppo o priva di quella forza, che fa l'uomo potente sulla fortuna. Onde, se la vita sembrava loro grave od infame, si ammazzavano taciti e disdegnosi, quando era tempo di fortemente operare.

Nè le altre dottrine filosofiche allora in voga potevano ricondurre gli uomini al bene. Chè quella col ripor nel piacere il fine del viver nostro troncava i nervi alla volontà, questa teneva incerte nel dubbio le umane menti; e a tutte mancava l'autorità della fede nelle verità sovrumane. Imperocchè i popoli addetti al culto de' falsi dii erano piuttosto superstiziosi che religiosi, non essendo nelle antiche teogonie alcuna parte che avesse forza di persuadere la ragione. I pochi, cioè i sapienti, che dalla plebe si allontanavano col pensiero, seguivano le dottrine del panteismo, il quale tanto a Dio toglie, quanto superbamente ardisce arrogare all' uomo: anzi quello annichila col volere a tutte

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