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» devansi uomini: e quando una casa ardea forte, » messer Carlo dimandava: che fuoco è quello? Era

gli risposto, che era una capanna, quando era un » ricco palagio. E questo mal fare durò giorni sei, che » così era ordinato. Il contado ardea da ogni parte. I >> Priori per pietà della città, vedendo moltiplicare il >> mal fare, chiamarono mercè a molti popolani poten» ti, pregandoli per Dio avessero pietà della loro città: » i quali niente ne vollero fare, e però i Signori la» sciarono il priorato. »

Racconteremo nella vita di Dante la parte da lui avuta negl' incidenti, che qui abbiamo stimato opportuno di ricordare non solo per necessità di storica narrazione, ma per dimostrare da che nascesse nel gran poeta l'odio de' Neri, e la sua indignazione contro il pontefice, in nome del quale era Carlo di Valois venuto a Firenze.

Esiliati gli uomini più famosi di parte Bianca, e Dante fra essi, la città a lungo non stette quieta per la superbia di messer Corso, al quale non parve tenervi il luogo, che al suo valore e alla sua ricchezza, secondo la sua opinione, si competeva: sicchè di nuovo i tumulti e le guerre cittadinesche spaventarono i buoni, e aggiunsero animo a' rei per macchinar novità contrarie al bene ed all'ordine dello Stato. Onde il popolo armossi, non tollerando che un uomo co' suoi seguaci volesse a suo senno fare e disfar le leggi. Messer Corso non potendo resistere all' impeto popolare uscì combattendo della città, e sopraggiunto poi dai soldati fu preso e condotto verso Firenze. Allora con disperato consiglio, per non vedere l'allegrezza de' suoi nemici, e

tornare come colpevole e prigioniero in un luogo, ove era stato quasi signore, lasciossi cadere giù dal cavallo, e quindi da quelli che lo menavano fu scannato. Tale miserabile fine ebbe un uomo, che, non tenendosi pago de' primi onori, per essere al di sopra di ogni altro, tentò di togliere alla sua patria la libertà: e benchè questo non gli riuscisse, le fece della sua stolta ambizione portar la pena; essendochè le civili discordie mosse da lui non le diedero per molti anni pace nè tregua.

Intanto Bonifazio VIII, mal comportando che il re di Francia, Filippo il Bello, fosse in Italia il capo di parte Guelfa, e parendogli che per questo la sua grandezza ne patisse diminuzione, volse in odio il favore che prima gli avea mostrato; e di ciò gli diede palesi segni. Del che Filippo sdegnatosi fieramente mandò con armati Sciarra Colonna in Anagni, dove era il papa. Aveva il Colonna antiche e recenti offese da vendicare, standogli fisso nella memoria il crudele sterminio della sua casa, la fede violata e l'indegno esilio. Sicchè senza guardare alla maestà del pontefice, senza avere rispetto alla sua vecchiezza, entrato per forza di armi nel suo palagio lo scherni, lo ingiuriò, lo prese, tenendolo per alcuni giorni prigione. Sollevossi il popolo della città e del contado alla novella di sì empio eccesso, e corse a liberar Bonifazio. Il quale, avendo mostrato fortezza meravigliosa, mentre era in mano de' suoi nemici, senti si fiero dolore di quell' oltraggio, che, andatone fuori del senno, tra pochi giorni se ne mori.

Indignossi tutta Cristianità contro il re di Fran

cia, e Dante stesso, comecchè avesse il pontefice per cagione di tutte le sue sventure, se ne commosse, siccome ne fanno fede i seguenti versi:

Perchè men paia il mal futuro e il fatto,
Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso,
E nel Vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un'altra volta esser deriso;
Veggio rinnovellar l'aceto e il fele,
E tra vivi ladroni essere anciso.

(Purgatorio, canto XX.)

Bonifazio VIII ebbe molta parte nella politica italiana de' tempi suoi; e benchè volesse mettere pace nelle divise città, vi sparse, forse senza volerlo, i semi di nuove discordie. Si propose in esempio Gregorio VII, ma perchè gli uomini e i tempi erano quasi al tutto variati, diminui l'autorità della Chiesa col dimostrarsi ambizioso e vendicativo, e fu cagione all' Italia di scandali e di rovina, prima per l'amistà, poi per la nimicizia ch'egli ebbe col re di Francia.1 Gli successe Be

1 Qui si giudica l'uomo, non il pontefice. Giudizio simile al mio, e forse ancor più severo, portò su questo papa il buon Muratori, del quale niuno può mettere in dubbio la fede e la religione: «Bonifazio VIII, dic' egli, nella grandezza dell'animo, nella

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magnificenza, nella facondia, nell' accortezza, nel promuovere >> gli uomini degni alle cariche e nella perizia delle leggi e de'ca» noni, ebbe pochi pari; ma perchè mancante di quell' umiltà, >> che sta bene a tutti, e massimamente a chi esercita le veci >> di Cristo, maestro d'ogni virtù e sopra tutto di questa, e » perchè pieno di albagía e di fasto, fù amato da pochi, odiato da >> moltissimi, temuto da tutti. Non lasciò indietro diligenza alcuna >> per arricchire ed ingrandire i suoi parenti, per accumulare te>> sori anche per vie poco lodevoli. Fu uomo pieno di idee mon» dane, nemico implacabile de' Ghibellini, per quanto potè: ed >> essi in ricompensa ne dissero quanto male ne seppero, e il cac

nedetto XI, uomo d' indole dolce, quale a pontefice si conviene.

Era grave a Filippo il Bello che il papa, non inclinando nè ai Guelfi nè ai Ghibellini, tenesse solo per la giustizia. Onde a mantenere in Italia l'autorità del suo nome voleva un pontefice a lui devoto in tal guisa, che per crescere ad esso riputazione esaltasse i Guelfi, abbassando i nemici loro. Però dopo la morte di Benedetto XI, chiamato a sè l'arcivescovo di Bordeaux, fece segretamente con esso turpe mercato, nel quale la pontificale tiara fu messa a prezzo. Tempi assai dolorosi furono questi per la cattolica Chiesa, perchè Clemente V salito sul trono, in luogo di andare a Roma, si trasferì in Avignone, facendosi per tal modo ligio a Filippo. Onde per lui e per i papi che gli successero insino ad Urbano V, o più veramente insino a Gregorio XI (perocchè il primo rimase appena tre anni in Roma), la Chiesa perdette in parte la sua grandezza col perdere ch' ella fece l' indipendenza. Vivendo poi la romana Corte in paese, ove i costumi del clero erano già in antico venuti a gran corruttela, secondo ne fanno fede i versi de' trovatori, più non ebbe l'ecclesiastica disciplina la sua primitiva severità. Però niuno, che abbia senno, non vede come dalla dimora de' pontefici in Avignone abbiano avuto principio gli umori, che, serpeggiando per tutta Cristianità, furono

» ciarono nei più profondi burroni dell' inferno, come si vede nel » poema di Dante. Benvenuto da Imola parte il lodò, parte il bia» simò, conchiudendo, in fine, ch' egli era un magnanimo pecca» tore. E divulgarono aver papa Celestino V detto ch'egli entre» rebbe nel pontificato qual volpe, regnerebbe qual lione, morrebbe

» come cane. »

in prima cagione del grande scisma di Occidente, e poscia delle diverse eretiche sètte, che hanno disgiunto dalla cattolica Chiesa molti popoli della Germania e dell'Inghilterra. Queste cose io ricordo per ossequio alla verità, e perchè siano palesi i motivi del fiero sdegno avuto dall' Alighieri verso i pontefici de' suoi tempi.

Essendo il papa fuori d' Italia, presero i Ghibellini nuove speranze. E saputo che Arrigo di Lussemburgo si preparava a calarvi per cingere la corona imperiale, prima ch' ei, valicasse le Alpi gli mandarono ambascerie, pregandolo volesse affrettarsi al loro soccorso. Venne Arrigo, e tentò di pacificare la Lombardia, rimettendo nelle città i fuorusciti dell' una e dell' altra parte. Altro però non fece con questo che lasciarvi materia a discordie ancor più crudeli delle passate, e porvi stabile fondamento alla signoría de' Visconti. Nè segui dalla sua venuta migliore effetto in Toscana, dove Firenze con nobilissimo ardire gli tenne fronte, comecchè Arrigo per tre mesi la campeggiasse, mettendone al ferro e al fuoco tutto il contado. Indi per febbre, altri dicono per veleno, mori a Buonconvento nelle maremme sanesi, facendo col suo esempio vedere come la parte imperiale avesse perduto riputazione in Italia. Perchè, aiutato dai Ghibellini sol di parole, non potè porre in esecuzione alcun suo disegno, ovvero le piccole mutazioni fatte da lui finirono insieme con la sua vita. Sicchè l'Italia rimase, com'era prima, in preda alla popolare licenza, battuta da' suoi tiranni, divisa dalle nemiche fazioni, che già le andavano preparando secoli vergognosi di servitů.

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