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Queste cose mi parve fossero da ricordare a dichiarazione del poema di Dante e della sua vita. Durante la quale, benchè non lungo ne fosse il corso, accaddero tanto meravigliosi, improvvisi e fieri accidenti, che certo la sua fantasía ne dovè essere impressionata profondamente, sicchè la naturale disposizione che egli aveva alla poesía per quella impressione molto si accrebbe, e per essa e per altri affetti vivamente sentiti egli fu poeta. Dante era ancor fanciulletto, quando il santo re di Francia Luigi IX passò in Affrica con grande naviglio e con molti armati a combattere i Saracini: e poi sulla nuda terra in abito e con parole di penitente là si mori, presso alle rovine dell'antica Cartagine, aggiungendo nuove e meste memorie a un luogo, che per sè stesso tacitamente insegnava quanto sia grande la vanità delle cose umane. Indi a poco i Pisani furono rotti dai Genovesi presso allo scoglio della Meloria, onde in Pisa, siccome scrive il Villani, non v'ebbe casa o famiglia, che non >> rimanesse vota di più uomini morti o presi in detta » sconfitta, e d'allora innanzi Pisa non ricoverò mai » suo stato, signoría, nè podere. » E perchè alla pisana infelicità mancasse il più dolce d' ogni conforto, la compassione cioè dell'universale, la miserabile morte del conte Ugolino e de' suoi figli e nipoti commosse tutti i buoni in Italia a vivissima indignazione contro di lei. E che questa sentisse Dante, meglio di ogni altro lo provano i versi, con cui ha dipinto il disperato dolore di quell' uomo, colpevole forse con

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'Storie florentine, lib. vii, cap. XCII.

tro la patria, ma più che colpevole, sventurato; lo provano specialmente le fiere parole, con cui vitupera la crudeltà dei Pisani. Dante era giovine allora, e il cuore de' giovani non si arrende alle ragioni di Stato, si apre facile alla pietà; quindi i giovanili giudizii si fondano quasi sempre sopra di questa.

Il gran poeta non aveva compiuto i diciassette anni, quando i Palermitani e gli altri popoli di Sicilia, non potendo più tollerare la tirannía del re Carlo, alzarono quel feroce concorde grido di muoiano, muoiano tutti i Francesi, » e tutti i Francesi furono morti. Poi udi narrare o forse vide con gli occhi suoi la crudeltà di Filippo il Bello contro i Templarii, vide le scellerate rapine, le apparecchiate torture, gli accesi roghi, e udi da quelli levarsi tremenda voce, annunziatrice di morte al re peccatore. Quasi nel tempo stesso all'orecchio dell' esule ghibellino, o più veramente a quello dell' intrepido difensore della giustizia giungeva il grido dell' elvetica libertà, la quale rimane e perdurerà a lungo immota, siccome i monti presso cui nacque; mentre gli ordini di que' tempi sono per tutta Europa caduti, spente le famiglie dei re dominanti allora, morte le passioni che agitavano tutti i cuori e tutte le menti. L'impresa tentata da pochi rozzi pastori sorti lieto fine: i disegni degli ambiziosi caddero a vuoto, od ebbero corta vita, quasi a Dio piacesse far manifesto, nè le città nè i regni poter durare senza giustizia, e l'aiuto suo non mancare a quelli che prendono virilmente l' armi per lei.

Anche noi vedemmo rovine di troni, sollevamenti di popoli, furori di sètte, crudeli guerre dai cittadini

nella loro patria medesima combattute. Anche noi ci trovammo in mezzo a odii feroci, e inorridimmo più volte alla narrazione di eccessi osati appena dalle masnade di Attila e di Alarico. Anche ai nostri tempi molti uomini d'alto cuore e di forte ingegno si videro andare esulando o languire in tetra prigione, e il pianto degli orfanelli chiedenti il padre ci fece piangere ora di sdegno ed or di pietà. Pure dov'è il poeta, che, avendo impressa nell'anima la memoria, anzi l'immagine delle vedute sciagure, l'abbia quindi ritratta ne' versi suoi? dov'è il poeta, io dimando, il quale abbia avuto stile, fantasía, cuore, intelletto conforme ai tempi, siccome gli ebbe il grande Alighieri? Io non credo che l'ingegno moderno abbia tanto negl' Italiani perduto di gagliardía da non potere dipingere secondo il vero que' fatti, de' quali fummo noi testimoni; ma il dubbio ci ha svigoriti: esso ha fatto sterile il nostro cuore, ha troncato le ali alla nostra immaginazione. Più non crediamo, e quindi più non amiamo : nè dove è morto l'amore, ha vita la poesía. Però gli avvenimenti ond' è stato, noi presenti, turbato e sconvolto il mondo, hanno fatto negli animi nostri quella impressione che i correnti navigli fanno sul mare: il quale, aprendosi dietro ad essi in solchi spumanti, poi subito si richiude, appianandosi come prima in lucido specchio, o tempestoso agitando i suoi vasti flutti.

FERRUCCI, Lezioni. — I.

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LEZIONE QUARTA.

SOMMARIO.

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Come Dante vivesse la vita pratica e l'ideale. Effetti che ne seguirono pel suo ingegno. Sua nascita, sua prima educazione, suo primo amore, sue amicizie. Prende le armi in servigio della sua patria. Come s' innamorasse della filosofia.. Si narra quello che fece durante il suo priorato. - Esilio di Dante, il quale di Guelfo si fa Ghibellino. Suoi viaggi. Si dà a comporre in volgare il poema, già cominciato in latino. — Va in Francia. — Speranze destate in esso dalla venuta in Italia di Arrigo di Lussemburgo. Perchè ricusasse di ritornare in Firenze. Ultimi suoi viaggi e sua morte.

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L'educazione dell' uomo non può essere mai compiuta, quando non riceva gli effetti della vita meditativa e della operosa. Ella fu buona presso gli antichi, perchè questi, dopo di avere con faticosi studii acquistato la cognizione del vero e il senso del bello, si davano al reggimento della repubblica, nè trascuravano l'arte della milizia, onde erano al tempo stesso oratori, poeti, uomini di Stato e guerrieri. Ciò non accade tra noi: colpa in parte della fortuna, più ancora del nostro fiacco volere. Perchè se i tempi non ci consentono quello che agli antichi fu lecito di operare, dove in noi fosse desiderio non meno del comun bene, che di estendere virtuosamente la fama del nostro nome, potremmo far molte cose, che non facciamo, per le quali ci saría dato di porre in atto i principii e le verità,

che speculando abbiamo trovato. Io qui favello di quelli che danno diligente coltura all'ingegno loro, senza curarsi che ne venga buon frutto all' universale, godendosi nella solitudine le dolcezze de' loro studii. Non mi degno parlare degli altri che si pascono d'ignoranza, pascendosi d' ozio e di voluttà. La vita di costoro no, non è vita: è sonno che da febbrili sogni viene agitato; è delirio torbido ed affannoso: onde assai meglio saria per essi non esser nati. Vorrei pertanto che i giovani d'intelligenza e di cuore (e spero non siano pochi in Italia), dopo di avere fortemente studiato nelle lettere e nelle scienze, si dessero a fare cose utili, cose buone, quali richiede la condizione presente della civile comunanza, quali si convengono a cittadini teneri della patria, a veri cristiani. E molte di queste si possono fare, senza recare offesa o sospelto nè a principi, nè a governi: essendo vastissimo il campo della sapienza, quello della verità e dell'amore quasi infinito. Non altro manca a noi, dunque, che il buon volere, o più veramente l'uso di bene accordare insieme la vita pratica e la vita meditativa.

Quanto poi sia grande l' utilità dell' educazione, che l'uomo dà a sè medesimo col maneggio de' civili negozii, con la cognizione del mondo e delle passioni umane, dopo che dai maestri, dai libri e dalla consuetudine presa di conversar con sè stesso, fu al vero e al bello educata la mente sua, chiaramente si vide nell'Alighieri: il quale, d' indole solitario e disposto dalla natura a starsene meditando ristretto ne' suoi pensieri, si adoperò a procurare in pace ed in guerra la salute e la gloria della sua patria; nè disdegno di starsene in

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