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sua intima essenza dell' infinito, pure, allorquando con le linee, con i colori, coi suoni, con le parole è rappresentato, ha determinati confini, che a niuno è lecito oltrepassare senza alterare l'indole sua. E perciò vediamo che, avendo Lucano tentato di superare Virgilio nella grandezza delle immagini e dello stile, riuscì ampolloso ed esagerato, e come Seneca, perchè non istette contento al modo chiaro, semplice e temperato, seguíto nelle opere filosofiche da Cicerone, adoperasse antitesi e concettini non convenienti alla gravità del soggetto da lui trattato. Così tra noi i Secentisti per avere voluto ritrarre il bello con forme diverse troppo da quelle che noi a ragione lodiamo negli eccellenti scrittori, mutarono in vizii le virtù loro: e perciò in essi la semplicità divenne goffaggine, la maestå affettazione, e nell'uso delle metafore più non ammirarono gl' intendenti la fecondità e la vivezza d'ingegni, che sanno opportunamente discernere e colorire, secondo il vero, attinenze di cose fra sé diverse; ma con fastidio e con riso videro in essi la stravaganza di menti per difetto di buon giudizio e per eccesso di fantasía deliranti. E quello, che ora, con nostra grande vergogna, avviene tra noi, dimostra, con nuovo esempio, non potere mai gli scrittori dalle norme dei classici allontanarsi, se vogliono che alle loro invenzioni ed al loro stile non manchino le qualità necessarie a conseguire da' presenti e dai posteri degna lode..

Conciossiachè, siccome la licenza negli ordini dello Stato è cagione che la libertà venga meno, così la licenza nelle lettere toglie all' uomo la facoltà di bene rappresentare il vero poetico e il naturale. E che? ardiremo noi dare il nome di belle a certe poesie e a certe prose, in cui nessuna delle inviolabili leggi poste allo scrivere ed al comporre dai grandi maestri antichi viene osservata? Chè, dove non è ordine nella distribuzione della materia, non è proprietà nei vocaboli, non è nel suono del verso l' armonía corrispondente alla qualità delle immagini e degli affetti dallo scrittore significati, dove i traslati peccano di esagerazione e di falsità, e i periodi nel discorso corrono a salti, non essendo da particelle e da modi copulativi o illativi congiunti a quelli che li seguono o li precedono, ivi certo niuno ardirà affermare che sia bellezza.

Dono splendidissimo di natura è la fantasía: la quale simile al sole, che dà con la sua luce colore a tutte le cose, rende sensibili e quasi visibili le idee astratte, veste i concetti di grazia o di maestà, e fa lo scrittore abile a persuadere, a commovere, a dilettare. Ma se la potenza immaginativa non sia saviamente dentro a certi limiti contenuta, viziose saranno le sue invenzioni, e nella qualità dello stile biasimeremo la deformità cagionata dal disordine e dalla oscurità delle idee e dalla falsità dei giudizii. Ed in vero, quale ingegno

è più vigoroso di quello di Vittor Hugo? Quale immaginazione più della sua è ricca e viva? Pure egli scrive, come scriveva il Marini, accoppiando insieme antitesi strane, e usando metafore e fantasie, che sembrano ai savii sogni d' infermi e vaneggiamenti. E quanti per irreparabile nostra disavventura non sono tra noi coloro che seguono ciecamente l'esempio suo? Quanti con intelletto meno inventivo e con meno gagliarda immaginazione non si arrogano il vanto d'esser poeti, e non sono come tali onorati da scrittorelli ignoranti o presuntuosi, mentre per l'ampollosità dei loro concetti, per la forma bizzarra del loro stile fanno piangere di dolore e arrossire per disdegnosa vergogna i pochi, che sono ancora zelanti del virginale decoro della italiana letteratura! Perchè molti, instancabili gridatori di libertà, riducono in servitù ignominiosa l' ingegno loro pigliando i forestieri a modello, e sdegnando l'imitazione dei classici, coi quali noi abbiamo tale rassomiglianza d' indole, di pensieri, di affetti, che imitandoli non perdiamo le qualità assegnate alle nostre menti dalla natura? Perchè, a me pare, non furono nella giovinezza assuefatti a sentire il bello, nè dai maestri loro vennero per tempo educati nella nobilissima scuola dell' Alighieri, di Virgilio, di Orazio, del Machiavelli, del Guicciardini, da cui uscirono tanti eccellenti scrittori, dei quali mi basterà ricordare il solo Leopardi. Chi non sa come que

sti, che degnamente è dai nostri tanto ammirato, consumasse la giovinezza sua nello studio dei classici greci, latini, italiani, e questi avesse ad esempio di scrivere e d'inventare in tutta la vita? Onde imparò da essi a nobilitare le sue scritture con la ingenua grazia, con l'amabile e naturale semplicità degli antichi, siccome da essi eziandio apprese il modo di dare meravigliosa lucidità alle sue idee e di adoperare traslati, cui mai non manca la proprietà e l'efficacia. A volere però che la nostra venerazione verso il Leopardi produca salutevoli effetti, fa d'uopo che i nostri studii siano ordinati all' esempio suo: dovremo cioè avere i classici a norma, guardando al modo con cui espressero le umane passioni, e all'arte con che mutarono la parola in pittura viva. Studio è questo di certissima utilità, al quale però è necessaria instancabile diligenza nell' osservare, continua attenzione dell'intelletto a discernere le cagioni del bello: e, se in principio riuscirà faticoso, sarà poi di un diletto da niun altro, a parer mio, superabile. Certo il Leopardi non avrebbe in non poche parti eguagliato i grandi maestri, dove, come ora fanno molti fra noi, avesse occupato il tempo nel leggere riviste e giornali: o, secondo l'uso di alcuni, pigliato avesse opinioni e sentenze dai libri altrui in luogo di rendere in sè feconde con lunghi studii le facoltà d'inventare e di ragionare. E s' egli visse povero e solitario, e non ebbe gli onori e i pre

mii, che per effetto di cieco o di passionato giudizio ora vengono dispensati alla facile e boriosa sapienza di alcuni moderni autori, ebbe la lode dei savii, ed avrå dai posteri, meno di noi corrotti, e più di noi estimatori sinceri del vero bello, la gloria dovuta a quelli, che hanno con l'esempio loro mostrato, come lo studio dei classici affini, rinvigorisca, nobiliti e perfezioni le naturali virtù dell' umano ingegno. Imperocchè, quando io dico doversi da noi imitare gli antichi, non intendo lodare chi servilmente si pone sulle orme loro, siccome fecero i Petrarchisti del Cinquecento, nei quali la bontà della elocuzione non ci libera dalla noia, che dai vuoti concetti vien generata. Io voglio che i giovani si sforzino d'imitare i classici in quella guisa, con cui Dante imitò Virgilio. Chè, se quegli fu creatore di una forma di poesía al tutto nuova e quasi della lingua nostra inventore, è innegabile che Virgilio gli fu maestro nell'arte di rappresentare e porre in rilievo le idee, gli affetti dell' uomo e le qualità delle cose. Certo niuno sarà di così stolida presunzione da credere o da sperare che, seguitando la via tenuta dall'Alighieri, gli sia concesso di pervenire alla eccellenza insuperabile, a cui egli giunse: ma però è vero che qualunque farà nei classici assiduo studio, se non riuscirà scrittore perfetto (lode meritamente ottenuta solo da pochi), saprà adoperare costrutti e modi sempre italiani, parole efficaci

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