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forza di questo, debbono essere specialmente rivolte le cure degl'insegnanti. Parmi eziandio che il fare leggere e tradurre ai giovani, siccome si usa oggidi nelle nostre scuole, quando alcuni passi di Cicerone, di Orazio, di Tacito, di Virgilio, quando alcuni canti dell' Alighieri, dell'Ariosto, del Tasso, non possa mai porli in grado di conoscere e d'imitare l'ordine nelle opere loro osservato dai classici, nè di sentirne la intera bellezza, quella cioè che risulta dall' armonía delle parti col fine ultimo del poema o dell'orazione. Anche reputo necessario che il buon maestro parli ai suoi discepoli dei costumi, dei riti, delle leggi e di tutti gli ordini religiosi e civili delle nazioni, a cui appartennero gli scrittori, ne' quali essi studiano: onde veggano per quale maniera questi adempissero degnamente l'ufficio loro, poichè non ebbero a loro fine il solo diletto, ma intesero a rendere gli uomini più costumati e più savii, inspirando in essi l'amore delle virtù, che sopra le altre dovevano essere avute in onore nei tempi loro. Nè si ometterà di notare, siccome i classici nel dipingere i sentimenti dell'animo non mai dal vero si discostassero, dando però alla rappresentanza di esso ora con immagini di concetto, ed ora di elocuzione, nuova evidenza e bellezza nuova. Che dirò poi dell'arte mirabile veramente, onde con efficace naturalezza, fuggendo ogni ombra di affettazione, lumeggiano e coloriscono il loro stile? Il quale negli ottimi fra gli

scrittori greci, latini e italiani è sempre di rarissima perfezione in ogni sua parte, diverso pressochè in tutto da quello di molti moderni prosatori e poeti, in cui sono sovente i vizii ripresi da Orazio con questi versi:

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Brevis esse laboro,

Obscurus fio: sectantem levia nervi

Deficiunt animique: professus grandia turget;
Serpit humi tutus nimium timidusque procellæ:

In vitium ducit culpæ fuga, si caret arte.

Ma non potrà mai imparare l'arte difficilissima dello stile colui, che, spregiando le leggi poste dai classici allo scrivere ed al comporre, speri di giungere a diventare scrittore eccellente, per sola bontà d'ingegno, o pretenda avere la facoltà di degnamente trattare soggetti elevati e gravi, adoperando la lingua parlata dal nostro popolo, senza cercare di ampliarla e nobilitarla con quella usata dai classici; siccome indarno vorrebbe essere ottimo dipintore o scultore chi prendesse a rappresentare e a copiare la natura qual' è realmente, e non quale venne ritratta da Raffaello e dagli altri artisti del Quattrocento e del Cinquecento. Ne' quali è d'uopo studiare, per conoscere in quale maniera la imitazione di lei debba farsi da chi abbia bontà di gusto e rettitudine di giudizio. Imperocchè il bello, che si palesa agli occhi o alla mente, quantunque per essere come un raggio del bello eterno tenga nella

sua intima essenza dell' infinito, pure, allorquando con le linee, con i colori, coi suoni, con le parole è rappresentato, ha determinati confini, che a niuno è lecito oltrepassare senza alterare l'indole sua. E perciò vediamo che, avendo Lucano tentato di superare Virgilio nella grandezza delle immagini e dello stile, riuscì ampolloso ed esagerato, e come Seneca, perchè non istette contento al modo chiaro, semplice e temperato, seguíto nelle opere filosofiche da Cicerone, adoperasse antitesi e concettini non convenienti alla gravità del soggetto da lui trattato. Così tra noi i Secentisti per avere voluto ritrarre il bello con forme diverse troppo da quelle che noi a ragione lodiamo negli eccellenti scrittori, mutarono in vizii le virtù loro: e perciò in essi la semplicità divenne goffaggine, la maestà affettazione, e nell' uso delle metafore più non ammirarono gl' intendenti la fecondità e la vivezza d'ingegni, che sanno opportunamente discernere e colorire, secondo il vero, attinenze di cose fra sé diverse; ma con fastidio e con riso videro in essi la stravaganza di menti per difetto di buon giudizio e per eccesso di fantasía deliranti. E quello, che ora, con nostra grande vergogna, avviene tra noi, dimostra, con nuovo esempio, non potere mai gli scrittori dalle norme dei classici allontanarsi, se vogliono che alle loro invenzioni ed al loro stile non manchino le qualità necessarie a conseguire da' presenti e dai posteri degna lode.

Conciossiachè, siccome la licenza negli ordini dello Stato è cagione che la libertà venga meno, così la licenza nelle lettere toglie all' uomo la facoltà di bene rappresentare il vero poetico e il naturale. E che? ardiremo noi dare il nome di belle a certe poesie e a certe prose, in cui nessuna delle inviolabili leggi poste allo scrivere ed al comporre dai grandi maestri antichi viene osservata? Chè, dove non è ordine nella distribuzione della materia, non è proprietà nei vocaboli, non è nel suono del verso l' armonía corrispondente alla qualità delle immagini e degli affetti dallo scrittore significati, dove i traslati peccano di esagerazione e di falsità, e i periodi nel discorso corrono a salti, non essendo da particelle e da modi copulativi o illativi congiunti a quelli che li seguono o li precedono, ivi certo niuno ardirà affermare che sia bellezza.

Dono splendidissimo di natura è la fantasía: la quale simile al sole, che dà con la sua luce colore a tutte le cose, rende sensibili e quasi visibili le idee astratte, veste i concetti di grazia o di maestà, e fa lo scrittore abile a persuadere, a commovere, a dilettare. Ma se la potenza immaginativa non sia saviamente dentro a certi limiti contenuta, viziose saranno le sue invenzioni, e nella qualità dello stile biasimeremo la deformità cagionata dal disordine e dalla oscurità delle idee e dalla falsità dei giudizii. Ed in vero, quale ingegno

è più vigoroso di quello di Vittor Hugo? Quale immaginazione più della sua è ricca e viva? Pure egli scrive, come scriveva il Marini, accoppiando insieme antitesi strane, e usando metafore e fantasíe, che sembrano ai savii sogni d' infermi e vaneggiamenti. E quanti per irreparabile nostra disavventura non sono tra noi coloro che seguono ciecamente l'esempio suo? Quanti con intelletto meno inventivo e con meno gagliarda immaginazione non si arrogano il vanto d'esser poeti, e non sono come tali onorati da scrittorelli ignoranti o presuntuosi, mentre per l'ampollosità dei loro concetti, per la forma bizzarra del loro stile fanno piangere di dolore e arrossire per disdegnosa vergogna i pochi, che sono ancora zelanti del virginale decoro della italiana letteratura! Perchè molti, instancabili gridatori di libertà, riducono in servitù ignominiosa l' ingegno loro pigliando i forestieri a modello, e sdegnando l'imitazione dei classici, coi quali noi abbiamo tale rassomiglianza d'indole, di pensieri, di affetti, che imitandoli non perdiamo le qualità assegnate alle nostre menti dalla natura? Perchè, a me pare, non furono nella giovinezza assuefatti a sentire il bello, nè dai maestri loro vennero per tempo educati nella nobilissima scuola dell' Alighieri, di Virgilio, di Orazio, del Machiavelli, del Guicciardini, da cui uscirono tanti eccellenti scrittori, dei quali mi basterà ricordare il solo Leopardi. Chi non sa come que

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