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glianza. E perchè quelle insegnano a noi, come sia nostro speciale decoro, anzi necessario ornamento, la pudicizia, nella dolcezza dei modi e delle parole essere posta la nostra forza, la dignità nostra nella pazienza, dovere ciascuna di noi intendere a sempre accrescere e a conservare non la bellezza del corpo, caduco fiore, ma quella dell'animo e della mente, la loro efficacia fu così grande, che in breve i nostri costumi presero qualità ad esse conformi. Quindi poi avvenne che gli uomini divenuti cristiani, vedendo risplendere nelle donne virtù del tutto nuove, ebbero tosto per esse venerazione amorosa, e perciò loro dettero sulla casa, sui figli, sui loro cuori impero tanto più saldo, quanto da quelle non era nè ambíto nè domandato. Poichè adunque fu dai precetti dell' Evangelo per tale maniera la condizione nostra mutata, che da serve dell'uomo noi diventammo le sue compagne, e la nobiltà delle cristiane virtù ci fece da esso amare con un amore, che dura sempre vivace anche quando il decoro della persona e le giovanili grazie svanite insieme con gli anni più non lo alimentano in lui; parmi certissima verità, che dove noi, repudiando la nostra fede, ci diamo a vita scorretta, indegna di menti ragionevoli e di cristiane, indarno pretenderemo avere dagli altri sincero ossequio e costante benevolenza. Chè l'amore acceso in alcuno da naturale bellezza è al pari di lei fugace: e da tutti è dispregiata la donna, che

non rispetta le leggi dell'onestà, siccome quella che si vanta impudentemente di essere libera pensatrice, cioè senza freno di religione, senza regole fisse ne'suoi costumi, sia pure di rara avvenenza, di acuto ingegno, graziosa negli atti e nella favella, sarà dai savii estimatori del retto avuta in

orrore.

Essendo chiaro che dalla cognizione del vero ci è reso meno difficile di acquistare quella del bene, io lodo che sia coltivata con cura la nostra mente, purchè gli studii femminili vengano sempre rivolti ad un fine di pratica utilità, cioè a farne atte ad amare e a bene adempire i nostri doveri. In oltre io credo che la buona coltura data all'ingegno abbia virtù di fare buoni affetti e costumi. Imperocchè col preservarci dall'ozio ci libera dalla noia, instigatrice sovente a vani piaceri: e in noi mettendo l'amore del vero bello raffrena la fantasía nostra per sua natura troppo variabile e impetuosa. Onde io stimo quasi impossibile ad accadere che una donna, la quale dalla lettura dei classici apprese ad avere in pregio la semplicità, la eleganza e la proprietà nello stile, la chiarezza e l'ordine nel discorso, la verità nelle immagini e nella pittura delle passioni, trovi diletto nei libri dei romanzieri, o inutilmente consumi il tempo nel frivolo conversare di gente vana. Ma io credo che a lei piacerà di vivere solitaria, assegnando parte della giornata agli ufficii della famiglia ed ai fem

minili lavori, parte occupandola in buone letture, che riescano profittevoli a sẻ ed ai figliuoli, in cui essa deve inspirare l'amore del bello e quello del vero. E dove gli studii nostri abbiano per principalissimo loro fine di fare più lucida e vigorosa in noi la ragione, in breve ci sarà manifesto, siccome chiunque ha fama di sapere molto sappia assai poco, se la dottrina da lui acquistata si paragonerà con l'ampiezza, quasi infinita, della sapienza. Della quale innegabile verità essendo noi persuase, non saremo condotte mai ad invanire di ciò che imparammo, nè a guastare ed a rendere altrui increscevole ogni eletta dote dell' animo e dell' ingegno per la boriosa vaghezza di avere il nome di letterate. Anzi in donna bene avviata nei buoni studii tanto maggiore e non finta vedrai essere la modestia, quanto ella più sa e meglio intende i pregi dei classici, e la difficoltà sempre nuova dello scrivere e del comporre.

Certamente le savie madri con le parole, con le opere e col consiglio hanno efficacia grandissima sull'animo dei figliuoli: onde i più di essi, finchè vivono sotto la loro custodia, hanno retto il giudicio e puri i costumi. Spesso però alcune di esse spargono lagrime inconsolabili, vedendo audaci sofisti rapire loro il frutto di tante amorose cure. Imperocchè il giovinetto che per dare opera a più gravi studii è costretto di uscire dalla sua casa, dove all' amore d'Iddio, alla verecondia ed alla

osservanza de' suoi doveri venne educato, se per sua mala ventura entri in alcuna di quelle scuole, in cui apertamente o velatamente si oppugnano le dottrine da lui sino a quel tempo, siccome certe, credute, tosto egli ondeggia nel dubbio; sicchè offuscata da questo la sua ragione vede tenebre dove prima era da luce vivissima rischiarato, si trova solo là dove già securamente moveva, avendo a compagno Iddio, e scorge il nulla in luogo della felicità ai buoni promessa dopo la morte. Quindi in lui le passioni non sono più dall' autorità del dovere tenute in freno: e poichè nei brevi confini di questa vita racchiude ogni suo desiderio e ogni sua speranza, per inebbriarsi di perfide voluttà, non bada, quasi fosse animale bruto, a voltolarsi nel fango d'ogni sozzura. A che dovrà egli osservare le norme della giustizia, se violandole può diventare ricco e potente? Poichè gli è stato insegnato, essere il pensiero dell' uomo con le sue mirabili operazioni effetto della materia, questa, non Dio, avere creato e conservare immutabilmente nel primitivo suo ordine l'universo, a che dovrà egli vincere, e alla ragione tenere soggette le sue passioni, amando meglio di vivere povero con virtù e buona fama, anzi che ricco con vizii e spregiato nome? Imperocchè agli occhi di quello, il quale ha perduto la fede in Dio e nella immortale natura dell'anima umana, non apparisce divario alcuno tra il disonesto e l'onesto, guardando egli

FERRUCCI, Lezioni.-I.

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solo all' utile ed al piacere: e mentre ha cura di non offendere apertamente le leggi umane, non ha riverenza alcuna per le divine.

Io tengo per fermo che dove le dottrine dei materialisti prevalessero fra noi a quelle della buona filosofia, non sarebbe più da sperare che avesse di nuovo la nostra patria ottimi prosatori e poeti ed ottimi artisti. Imperocchè qualunque siasi nelle lettere esercitato, sa per esperienza sua propria, apparire alla mente, ricercatrice di nuove e belle invenzioni, immagini e fantasie, le quali se fossero nel vero esser loro rappresentate sembrerebbero a tutti cose divine, rivelandosi in esse al nostro intelletto non poca parte della bellezza infinita. Per ciò l'uomo più le contempla, e più ne innamora. Ma quando vuole la celestiale visione alle menti degli altri manifestare, si accorge la virtù sua non bastare a tanto. Pure dove altro non ne ritragga che l'ombra, farà con sommo diletto le genti meravigliare. Che la fede nelle suprannaturali dottrine dia al nostro ingegno una fecondità ed un vigore, che da sè non potrebbe avere, n'è prova la Divina Commedia, e massime quella parte di lei, in cui si descrive la beatitudine degli eletti. Credo eziandio che in tutte le opere dei classici si scorga chiaramente l'impronta della bellezza ideale, e potrei dimostrarlo con molti esempii, dove non fossi costretta a racchiudere in brevi termini il mio discorso. Colui però, il quale non ammette

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