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D'un grand'avello, ov'io vidi una scritta 7 Che diceva: Anastasio papa guardo, Lo qual trasse Fotin della via dritta.' 'Lo nostro scender conviene esser tar[do, 10

Sì che s'ausi in prima un poco il senso Al tristo fiato; e poi non fia riguardo.' Così il maestro; ed io 'Alcun compenso,' 13 Dissi lui, trova che il tempo non passi Perduto.' Ed egli: Vedi che a ciò [penso.'

'Figliuol mio, dentro da cotesti sassi,' 16 Cominciò poi a dir, 'son tre cerchietti Di grado in grado, come quei che lassi. Tutti son pien di spirti maladetti;

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Ma perchè poi ti basti pur la vista, Intendi come, e perchè son costretti. D'ogni malizia, ch' odio in cielo acqui[sta, 22 Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale O con forza o con frode altrui contrista. Ma perchè frode è dell'uom proprio male,25 Più spiace a Dio; e però stan di sutto Gli fródolenti, e più dolor gli assale. Di violenti il primo cerchio è tutto; 28 Ma perchè si fa forza a tre persone, In tre gironi è distinto e costrutto. A Dio, a sè, al prossimo si puone Far forza, dico in loro ed in lor cose, Come udirai con aperta ragione. Morte per forza e ferute dogliose

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Ipocrisia, lusinghe e chi affattura
Falsità, ladroneccio e simonia,
Ruffian, baratti, e simile lordura.
Per l'altro modo quell'amor s'obblia
Che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,
Di che la fede spezial si cria;
Onde nel cerchio minore, ov'è il punto 64
Dell' universo in su che Dite siede,
Qualunque trade in eterno è consunto.'
Ed io: Maestro, assai chiara procede 67
La tua ragione, ed assai ben distingue
Questo baratro e il popol ch' e' possiede.
Ma, dimmi, quei della palude pingue, 70
Che mena il vento, e che batte la piog.

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Bestialitade e come incontinenza Men Dio offende e men biasimo accatta? Se tu riguardi ben questa sentenza, 85 E rechiti alla mente chi son quelli, Che su di fuor sostengon penitenza; Tu vedrai ben, perchè da questi felli 88 Sien dipartiti, e perchè men crucciata La divina giustizia li martelli.' 'O sol che sani ogni vista turbata, Tu mi contenti sì, quando tu solvi, Che, non men che saper, dubbiar m'ag[grata.

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Ancora un poco indietro ti rivolvi,' 94
Diss' io, là dove di' che usura offende
La divina bontade, e il groppo solvi.'
'Filosofia,' mi disse, a chi la intende, 97
Nota non pure in una sola parte,
Come natura lo suo corso prende
Dal divino intelletto e da sua arte; 100
E se tu ben la tua Fisica note,
Tu troverai non dopo molte carte,
Che l'arte vostra quella, quanto puote, 103
Segue, come il maestro fa il discente;
Si che vostr'arte a Dio quasi è nipote.
Da queste due, se tu ti rechi a mente 106
Lo Genesì dal principio, conviene
Prender sua vita ed avanzar la gente.

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E quando vide noi, sè stesso morse, Sì come quei, cui l'ira dentro fiacca. Lo savio mio inver lui gridò: 'Forse 16 Tu credi che qui sia il duca d'Atene, Che su nel mondo la morte ti porse? Partiti, bestia; chè questi non viene 19 Ammaestrato dalla tua sorella,

Ma vassi per veder le vostre pene.' Qual è quel toro che si slaccia in quella 22 Che ha ricevuto già '1 colpo mortale, Che gir non sa, ma qua e là saltella, Vid' io lo Minotauro far cotale;

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40

Da tutte parti l'alta valle feda
Tremò sì, ch' io pensai che l'universo
Sentisse amor, per lo qual è chi creda
Più volte il mondo in Caos converso: 43
Ed in quel punto questa vecchia roccia
Qui ed altrove tal fece riverso.
Ma ficca gli occhi a valle; chè s'approc

[cia 46 La riviera del sangue, in la qual bolle Qual che per violenza in altrui noccia.' O cieca cupidigia, e ria e folle,

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Che sì ci sproni nella vita corta, E nell'eterna poi sì mal c'immolle ! Io vidi un'ampia fossa in arco torta, 52 Come quella che tutto il piano abbraccia, Secondo 'ch'avea detto la mia scorta; E tra il piè della ripa ed essa, in traccia 55 Correan Centauri armati di saette, Come solean nel mondo andare a caccia. Vedendoci calar, ciascun ristette, 58

E della schiera tre si dipartiro Con archi ed asticciuole prima elette ; E l'un grido da lungi: 'A qual martiro 61 Venite voi, che scendete la costa? Ditel costinci; se non, l'arco tiro.' Lo mio maestro disse: 'La risposta Farem noi a Chiron costà di presso: Mal fu la voglia tua sempre si tosta.' Poi mi tentò, e disse: Quegli è Nesso, 67 Che morì per la bella Deianira,

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70

E fe' di sè la vendetta egli stesso; E quel di mezzo, che al petto si mira, È il gran Chirone, il qual nudrì Achille; Quell'altro è Folo, che fu sì pien d'ira. D'intorno al fosso vanno a mille a mille, 73 Saettando quale anima si svelle

Del sangue più che sua colpa sortille.' Noi ci appressammo a quelle fiere snelle ; Chiron prese uno strale, e con la coc

[ca 77

Fece la barba indietro alle mascelle. Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, 79 Disse ai compagni: Siete voi accorti, Che quel di retro move ciò ch'ei tocca? Così non soglion fare i piè de' morti.' 82 E il mio buon duca, che già gli era al

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Che dier nel sangue e nell'aver di piglio. Quivi si piangon gli spietati danni; 106 Quivi è Alessandro, e Dionisio fero, Che fe' Cicilia aver dolorosi anni; E quella fronte c' ha il pel così nero, 109 È Azzolino; e quell'altro ch'è biondo, È Obizzo da Esti, il qual per vero Fu spento dal figliastro su nel mondo.' 112 Allor mi volsi al poeta, e quei disse: 'Questi ti sia or primo, ed io secondo.' Poco più oltre il Centauro s'affisse

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Non rami schietti, ma nodosi e involti; Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco. Non han si aspri sterpi, nè sì folti 7 Quelle fiere selvagge che in odio hanno Tra Cecina e Corneto i luoghi colti. Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, 10 Che cacciar delle Strofade i Troiani Con tristo annunzio di futuro danno. Ali hanno late, e colli e visi umani, 13 Piè con artigli, e pennuto il gran ventre; Fanno lamenti in su gli alberi strani. E il buon maestro' Prima che più entre, 16 Sappi che se' nel secondo girone;' Mi cominciò a dire, e sarai, mentre Che tu verrai nell'orribil sabbione. Però riguarda ben; e sì vedrai Cose che torrien fede al mio sermone. Io sentia da ogni parte tragger guai, 22 E non vedea persona che il facesse; Per ch'io tutto smarrito m'arrestai. Io credo ch'ei credette ch'io credesse, 25 Che tante voci uscisser tra que' bronchi Da gente che per noi si nascondesse. Però disse il maestro: Se tu tronchi 28 Qualche fraschetta d'una d'este piante, Li pensier c'hai, si faran tutti monchi. ' Allor porsi la mano un poco avante, 31 E colsi un ramicel da un gran pruno; E il tronco suo gridò: 'Perchè mi schian[te?' 34

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Da che fatto fu poi di sangue bruno,
Ricominciò a gridar: 'Perchè mi scerpi?
Non hai tu spirto di pietate alcuno?
Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi: 37
Ben dovrebb'esser la tua man più pia,
Se state fossim'anime di serpi.'
Come d'un stizzo verde, che arso sia
Dall'un de' capi, che dall'altro geme
E cigola per vento che va via;
Si della scheggia rotta usciva insieme 43
Parole e sangue; ond'io lasciai la cima
Cadere, e stetti come l'uom che teme.
'S'egli avesse potuto creder prima, ' 46
Rispuose il savio mio, anima lesa,
Ciò c'ha veduto pur con la mia rima,
Non averebbe in te la man distesa;
Ma la cosa incredibile mi fece
Indurlo ad opra che a me stesso pesa.

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DANTE, Op.

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76

Vi giuro che giammai non ruppi fede Al mio signor, che fu d'onor sì degno. E se di voi alcun nel mondo riede, Conforti la memoria mia, che giace Ancor del colpo che invidia le diede!' Un poco attese, e poi 'Da ch'ei si ta[ce,' 79

Disse il poeta a me, 'non perder l'ora ; Ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace.' Ond'io a lui: Domanda tu ancora 82

Di quel che credi che a me satisfaccia; Ch'io non potrei, tanta pietà m'accora!' Perciò ricominciò: Se l'uom ti faccia 85 Liberamente ciò che il tuo dir priega, Spirito incarcerato, ancor ti piaccia Di dirne come l'anima si lega

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Sente il porco e la caccia alla sua posta, Ch' ode le bestie e le frasche stormire. Ed ecco due dalla sinistra costa, 115 Nudi e graffiati, fuggendo sì forte, Che della selva rompieno ogni rosta. Quel dinanzi : 'Ora accorri, accorri, mor[te!' 118

E l'altro, cui pareva tardar troppo, Gridava: Lano, sì non furo accorte Le gambe tue alle giostre del Toppo!' 121 E poi che forse gli fallìa la lena, Di sè e d'un cespuglio fece un groppo. Diretro a loro era la selva piena

124

Di nere cagne, bramose e correnti
Come veltri che uscisser di catena.
In quel che s'appiattò, miser li denti, 127
E quel dilaceraro a brano a brano;
Poi sen portar quelle membra dolenti.
Presemi allor la mia scorta per mano, 130
E menommi al cespuglio che piangea,
Per le rotture sanguinenti, invano.
'O Giacomo,' dicea, 'da sant'Andrea, 133
Che t'è giovato di me fare schermo ?
Che colpa ho io della tua vita rea?'
Quando il maestro fu sopr'esso fermo, 136
Disse Chi fosti, che per tante punte
Soffi con sangue doloroso sermo?
Ed elli a noi: 'O anime, che giunte 139
Siete a veder lo strazio disonesto,
C'ha le mie fronde sì da me disgiunte,
Raccoglietele al piè del tristo cesto! 142
Io fui della città che nel Battista
Mutò 'l primo padrone; ond'ei per que-
[sto

Sempre con l'arte sua la farà trista; 145
E se non fosse che in sul passo d'Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista,
Quei cittadin, che poi la rifondarno 148
Sovra il cener che d'Attila rimase,
Avrebber fatto lavorare indarno
Io fei giubbetto a me delle inic case.' 151

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22

Che piangean tutte assai miseramente, E parea posta lor diversa legge. Supin giacea in terra alcuna gente; Alcuna si sedea tutta raccolta, Ed altra andava continuamente. Quella che giva intorno era più molta, 25 E quella men, che giaceva al tormento; Ma più al duolo avea la lingua sciolta. Sovra tutto il sabbion, d'un cader lento 28 Piovean di foco dilatate falde, Come di neve in alpe sanza vento. Quali Alessandro in quelle parti calde 31 D'India vide sopra lo suo stuolo Fiamme cadere infin a terra salde; Per ch'ei provvide a scalpitar lo suolo 34 Con le sue schiere, acciò che lo vapore Me' si stingeva, mentre ch'era solo; Tale scendeva l'eternale ardore ;

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64

Sì com'ei fece alla pugna di Flegra, 58
E me saetti con tutta sua forza,
Non ne potrebbe aver vendetta alle-
:་ [gra.'
Allora il duca mio parlò di forza 61
Tanto, ch'io non l'avea sì forte udito:
'O Capaneo, in ciò che non s'ammorza
La tua superbia, se' tu più punito:
Nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
Sarebbe al tuo furor dolor compito.'
Poi si rivolse a me con miglior labbia, 67
Dicendo: Quel fu l'un de' sette regi
Ch'assiser Tebe; ed ebbe e par ch' egli
[abbia
Dio in disdegno, e poco par che il pre-
[gi; 70
Ma, com'io dissi a lui, li suoi dispetti
Sono al suo petto assai debiti fregi.
Or mi vien dietro, e guarda che non met-

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Fuor della selva un picciol fiumicello, Lo cui rossore ancor mi raccapriccia. Quale del Bulicame esce ruscello Che parton poi tra lor le peccatrici, Tal per la rena giù sen giva quello. Lo fondo suo ed ambo le pendici Fatt'eran pietra, e i margini da lato; Per ch'io m'accorsi che il passo era lici. Tra tutto l'altro, ch'io t'ho dimostra[to, 85

82

Poscia che noi entrammo per la porta, Lo cui sogliare a nessuno è negato, Cosa non fu dalli tuoi occhi scorta

88

91

Notabile, com'è il presente rio, Che sopra sè tutte fiammelle ammorta.' Queste parole fuor del duca mio: Per ch'io il pregai che mi largisse il paDi cui largito m'aveva il disio. [sto, In mezzo mar siede un paese guasto,' 94 Diss'egli allora, che s'appella Creta, Sotto il cui rege fu già il mondo casto. Una montagna v'è che già fu lieta D'acqua e di fronde, che si chiamò Ida. Ora è diserta come cosa vieta.

97

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